L’Espresso 20/12/2007, pag.167 Primo Di Nicola, 20 dicembre 2007
TRAMEZZINO
selvaggio. L’Espresso 20 dicembre 2007. il ristorante più affollato e confuso d’Italia. Quello dove tutti i giorni si riversano per il pranzo più di due milioni di lavoratori. Che non pagano direttamente, ma tirano fuori un trattato economico in miniatura: una triplice intesa che coinvolge aziende, il mediatore che si fa garante del patto e chi mette i piatti in tavola. Perché dietro i ticket lunch c’è tutto questo: una piramide più complessa di quella stampata sui dollari. Ben 24 aziende che si occupano di emettere i buoni pasti, addentando un mercato triplicato in sei anni: adesso vale 2,3 miliardi di euro. E dove si sta scatenando una guerra senza quartiere tra i colossi francesi del buono pasto e la resistenza delle imprese italiane.
Ovviamente la torta più grande è quella servita dallo Stato, che deve apparecchiare per tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e quindi di fatto stabilisce i parametri del mercato. La Consip nella veste di superchef ha appena assegnato un contratto di quasi un miliardo, aprendo una guerra senza quartiere per l’ultimo libretto di ticket. Ci sono ribassi da capogiro, anche del venti per cento e la caccia a ogni possibile servizio accessorio come le inserzioni pubblicitarie sui tagliandi o l’offerta di contabilità ai ristoratori. Tutto pur di abbassare qualche centesimo di costi. La Consip a settembre ha assegnato quasi tutti i lotti della grande abbuffata a un pool di società francesi, i nomi più noti. A questo punto per gli italiani la gara è diventata una lotta per la sopravvivenza: si sono rivolti al Tar riuscendo a bloccare il contratto e invocano l’Antitrust per impedire ’un monopolio’ transalpino. Una paralisi che però adesso potrebbe aprire le porte al caos.
La gara telematica conclusasi nell’aprile scorso ha visto trionfare in tre lotti su sei due aziende italiane: Qui! Ticket service (due lotti) e Repas. Ma in sede di assegnazione, il 2 agosto, Consip le ha escluse assegnando l’intero business ai quattro moschettieri francesi che dominano il menù: Ticket Restaurant, Sodexho, Day e Ristochef, tutte e quattro affiliate alla Anseb (Associazione nazionale società emettitrici buoni pasto), una creatura della Confcommercio. La ragione dell’esclusione? Le offerte erano state considerate da Consip "basse in modo anomalo" in quanto avevano conteggiato anche i ricavi dei ’servizi aggiuntivi’ (fatturazioni, ritiro dei buoni, contabilizzazione) forniti agli esercizi collegati. Ma l’Autorità per la vigilanza sugli appalti ha contestato i criteri adottati dalla Consip nell’escludere la pattuglia di aziende italiane: in nome della ’abilità imprenditoriale’, tutti i servizi accessori andavano considerati parte dell’offerta. Perché avrebbero permesso di risparmiare diversi milioni - si stima una ventina - e perché ormai il mercato è talmente complesso da aprirsi a ogni escamotage. Come andrà a finire è difficile dirlo: quello che è certo è che sia in sede giudiziaria sia in lettere ai ministri Pierluigi Bersani (Sviluppo Economico) e Tommaso Padoa Schioppa (Economia) Qui! ticket service denuncia pesanti pressioni delle multinazionali francesi su Consip.
Guerra all’ultimo ticket, dunque, anche se non è la sola che si combatte sul mercato dei buoni pasto. Tutte le gare di appalto, soprattutto quelle on line, da tempo si sono trasformate in battaglie feroci, in terribili partite a poker nelle quali il rilancio non conosce limiti con ribassi possibili anche dopo la prima offerta. E tutto questo mentre il piatto diventa sempre più ricco. Ogni giorno circolano infatti nel nostro paese 2,2 milioni di biglietti per un valore di 11 milioni di euro. A chi finisce questa torta miliardaria? Soprattutto alle multinazionali francesi. In testa alla lista, la parigina Accor, titolare di due importanti marchi: Ticket Restaurant (913 milioni di fatturato, 55 mila aziende-clienti, 104 mila tra ristoranti, fast food e bar convenzionati), che da sola vale il 40 per cento del mercato, e City Time (un altro 4,4 per cento). Staccatissima ma molto attiva c’è la Sodexho, che con i Passlunch si mangia più dell’11 per cento del business; a ruota seguono la Ristoservice con il marchio Day (250 milioni di fatturato), azienda italo-francese di proprietà del gruppo bolognese Camst (Lega delle cooperative) e della multinazionale Cheque Dejeuner. Infine Ristochef della multinazionale transalpina Elior: il suo marchio Buonchef (145 milioni di fatturato) vale l’8,5 della torta. Per trovare la prima azienda interamente italiana, ’Qui! Ticket service’, bisogna arrivare al quinto posto: fattura 220 milioni, detiene il 7,8 per cento del mercato (tra i suoi clienti Ferrovie, Enel e Regione Liguria) e, soprattutto, cerca di fare valere (anche attraverso l’Aieb, altra associazione delle aziende del settore) le ragioni degli operatori più piccoli reclamando una maggiore concorrenza. Come? Favorendo il massimo della competitività negli appalti attraverso una maggiore attenzione alla qualità dei servizi, a cominciare da quelli aggiuntivi.
Una strategia che i colossi francesi della Anseb vedono come fumo negli occhi perché dietro di essa si celerebbe la volontà di mantenere in vita l’attuale sistema selvaggio delle gare. Che innesca la processione degli sconti a catena che nella circolazione dei buoni pasto tende sempre a scaricare a valle i costi relativi. Di cosa si tratta? Quando un’azienda acquista i ticket lunch per i dipendenti (generalmente di 5,29 euro perché entro questo valore non paga tasse né contributi), chiede il massimo dello sconto: in molti casi si arriva anche al 20 per cento, abbassando così il costo effettivo del buono a 4,23 euro. Normale che a questo punto l’azienda di emissione cerchi di recuperare la ’perdita’ con l’anello successivo della catena, il ristoratore che fornisce il pasto e al quale, al momento del ritiro dei buoni, chiede ribassi. Un giochetto con il quale bar e ristoranti si vedono alla fine pagare dall’emettitore persino 4,09 euro a ticket. Quasi 1 euro di differenza rispetto al valore nominale e che proiettato su un fatturato di 30 mila finisce per costare all’esercente circa 3.000 euro.
Il governo Berlusconi con un decreto del 2005 aveva fissato dei paletti molto rigorosi. Garantiva rimborsi rapidi agli esercenti, ma pareva tagliato su misura per i criteri dei colossi francesi. Così la Repas, uno dei piccoli imprenditori italiani, è riuscita a far bloccare tutto dal Tar. C’è poi un altro problema: i peggiori clienti sono proprio gli enti pubblici. Le regioni, per esempio, che spesso fanno mangiare a sbafo i loro dipendenti. Sì, perchè Asl e assessorati comprano pacchetti di ticket e rinviano il saldo di anno in anno: ritardi di 24 mesi sono spesso la regola. Così a morire di fame è chi emette i buoni, che poi trascina sul lastrico anche i ristoratori che si ritrovano le casse piene di foglietti colorati senza valore. E i lavoratori che si vedono respingere le cedole. La Soreco di Torino è fallita proprio per un appalto della Regione Calabria, un successo diventato una caporetto.
Ma il potere dei ticket non è sfuggito a un’altra italica categoria di grandi appetiti: quella dei falsari. In molti supermarket il buono è diventato moneta corrente, più facile da riprodurre rispetto alle bancanote. Per contraffarlo basta poco, si va dai cloni artigianali alle stamperie in odor di camorra. E alla fine il barista incauto si ritrova truffato. Ecco perché grafica e colori dei ticket si fanno sempre più sofisticati, sperando di rendere il pasto meno indigesto.
La situazione è dunque talmente confusa e la concorrenza così feroce da spingere alcuni a proposte paradossali. Come quella di far risorgere la ristorazione di Stato, ovviamente declinata nella stagione dei ticket: creare dei buoni pasto garantiti da un fondo statale. Edi Sommariva, direttore generale della Fipe - la federazione della Confcommercio che raggruppa i pubblici esercizi ed è schierata tramite Aseb con il poker francese Ticket Restaurant, Sodexho, Day e Ristochef - ne parla come il male minore: "Mi rendo conto che può sembrare anacronistico ma piuttosto che assistere a questo Far west che sta portando al fallimento di un mercato molto remunerativo, meglio che intervenga lo Stato attraverso la costituzione di un fondo nazionale per i buoni pasto. Un fondo finanziato dalle aziende che offrono questo servizio ai dipendenti".
Primo Di Nicola