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 2007  dicembre 20 Giovedì calendario

Bersani perde il TAXI. L’Espresso 20 dicembre 2007. Pierluigi Bersani superstar per gli assatanati del telefonino e per i fanatici dell’aspirina

Bersani perde il TAXI. L’Espresso 20 dicembre 2007. Pierluigi Bersani superstar per gli assatanati del telefonino e per i fanatici dell’aspirina. Tra gli innegabili successi delle liberalizzazioni fortemente volute dal ministro dello Sviluppo Economico ci sono l’abolizione dei 5 euro di costo fisso per ricaricare i cellulari e la possibilità di acquistare i medicinali senza ricetta fuori dalle farmacie. Per le tasche degli italiani, questi due interventi valgono parecchio: sono i pezzi forti della crociata liberalizzatrice che, in mezzo a mille difficoltà, il governo ha intrapreso da un anno e mezzo. Una crociata che, secondo il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, permette ai consumatori di risparmiare una cifra compresa tra 2,4 e 2,8 miliardi di euro l’anno. Questi numeri Padoa-Schioppa li ha dati a Bruxelles a inizio dicembre, parlando con i colleghi europei. Nell’occasione il ministro ha compilato una sorta di pagella - che ’L’espresso’ ha potuto consultare - delle liberalizzazioni all’italiana (riassunta nella pagina a fianco). Oltre agli interventi su carte telefoniche e farmaci, ha promosso le nuove norme sui biglietti aerei e quelle per l’apertura di panifici senza licenza. Ha rimandato il giudizio sulle novità per mutui, conti correnti e polizze assicurative. Ha bocciato infine il lento cammino per aumentare il numero dei taxi nelle città. Al di fuori del governo, il voto sulle liberalizzazioni è certamente più controverso. Nella migliore delle ipotesi, gli esperti osservano che i risultati sono stati finora inferiori rispetto alle aspettative iniziali, anche per effetto delle resistenze che lobby e potentati hanno opposto. I detrattori giudicano addirittura irrilevante l’impatto sulla vita quotidiana dei cittadini: "La gente non s’è accorta di cambiamenti importanti ed è già disillusa", dice Domenico Murrone dell’associazione per i diritti dei consumatori Aduc. Un disincanto che rischia di pesare sull’ultimo pacchetto di misure che in Parlamento fatica da mesi ad avanzare, ostacolato dallo schieramento anti-liberalizzazione. Un esercito trasversale, pronto a difendere gli interessi più diversi, dal monopolio ferroviario ai distributori, dai bus cittadini al contingentamento delle aperture domenicali degli esercizi commerciali. Un esempio positivo riguarda senza dubbio la vendita dei medicinali da banco al di fuori delle farmacie, che mantengono invece il monopolio sulle medicine vendute su ricetta e su quelle rimborsate dalla mutua. I dati del governo dicono che l’apertura di para-farmacie e di appositi corner nei supermercati è andata di pari passo con la riduzione dei prezzi. E già sono nate catene di negozi nuovi di zecca. Stefano Curti, un imprenditore di Pavia, marito di una farmacista, con la liberalizzazione ha aperto una trentina di punti vendita nel Nord Italia e ora sta per inaugurarne uno ad Agrigento, il primo in Sicilia. Metà sono di proprietà della sua azienda, battezzata Parafarmacia Italiana, gli altri sono affiliati. Vi lavorano un centinaio di persone, tutti farmacisti laureati: "Lo sconto medio è vicino al 20 per cento, con punte molto più alte: per un test di gravidanza si risparmia il 70 per cento rispetto al prezzo pieno", spiega Curti. L’imprenditore racconta che le aziende produttrici e le farmacie tradizionali, che spesso danno vita a cooperative per la distribuzione all’ingrosso, hanno ostacolato le novità in tutti i modi, con lo scopo di difendere gli elevati margini garantiti dall’esclusiva di vendita. I primi successi, tuttavia, non hanno spianato la strada per l’evoluzione più ovvia. Visto che anche nei supermercati e nelle para-farmacie è obbligatoria la presenza al banco di un farmacista, lo sviluppo naturale della riforma sarebbe arrivare alla vendita anche delle medicine per le quali è necessaria la ricetta. O, per lo meno, di quelle di ’fascia C’, non rimborsabili ma vendibili con prescrizione: è infatti incomprensibile perché la tutela della salute dei cittadini debba essere affidata al proprietario della licenza di una farmacia, e non semplicemente al farmacista laureato addetto alle vendite. Nel Bersani Ter, come viene chiamato il terzo disegno di legge ancora fermo in Parlamento, questa possibilità è in effetti prevista; il timore di molti è però che possa sparire dalla versione finale, vittima del fuoco incrociato delle lobby. L’esempio delle para-farmacie non è l’unico. Secondo i dati delle Camere di Commercio, tutti i settori che hanno visto ridotti i vincoli per la creazione di nuove società con i decreti di Bersani vivono una fase di vivace dinamismo. Il saldo positivo tra aziende che nascono e che muoiono tra bar, ristoranti, centri estetici, assicurazioni, agenzie d’assicurazione, autoscuole è in crescita assai più netta rispetto al totale. Nei primi 9 mesi del 2007, il numero complessivo di aziende italiane è aumentato di 15 mila unità: avessero marciato tutti al ritmo dei comparti liberalizzati, ci sarebbero 200 mila aziende in più. Le ombre, ma anche i fallimenti acclarati, tuttavia non mancano. Un caso è quello dell’aumento delle licenze per i taxi, bloccato pressoché ovunque (solo a Roma si è raggiunto un timido accordo). Ma anche sulla possibilità di trasferire un mutuo da una banca a un’altra o sull’assoluta gratuità della chiusura di un conto corrente non è facile tracciare un bilancio oggettivo. Così come in tanti altri segmenti economici investiti dai decreti. E i giudizi ondeggiano. "Bravo Bersani, ma ora occorre vigilare", dice Paolo Landi, segretario generale dell’Adiconsum, mentre Elio Lannutti, presidente dell’Adusbef, dopo i primi entusiasmi fa retromarcia: "In banca i costi non calano: sparisce una voce, ne arriva subito un’altra". Per certi versi, siamo di fronte al classico quesito: le bersanate sono un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? In chiaroscuro anche il pensiero di Paolo Barberini, capo dell’associazione dei supermercati e degli ipermercati Federdistribuzione, un esercito di 42 mila punti vendita che vale il 73 per cento dei ricavi dell’intera grande distribuzione italiana (cooperative Conad e Coop escluse): "L’impostazione di Bersani è corretta, lascia intravvedere un respiro che prima non c’era. Però su due fronti per noi fondamentali vediamo grandi difficoltà nell’applicazione. Mi riferisco al tema dei farmaci, che noi giudichiamo una liberalizzazione a metà, e a quello della vendita dei carburanti, dove le normative delle Regioni hanno di fatto impedito una svolta che avrebbe avuto un impatto rilevante sui prezzi". Perché, dicono in Federdistribuzione, in Italia ci sono solo una trentina di distributori nei centri commerciali, su oltre 17 mila benzinai, mentre in Francia nella grande distribuzione si vende metà del carburante del Paese? Uno dei capitoli più affascinanti delle liberalizzazioni era stato il tentativo di aprire alle forze del mercato - con l’abolizione delle tariffe minime - alcune professioni assai toste nel difendere i vantaggi corporativi, come gli avvocati, i notai, i commercialisti. Che la rivoluzione sia rimasta per ora nel cassetto, si capisce anche dal resoconto fatto a Bruxelles dallo stesso Padoa- Schioppa: "L’impatto sui consumatori non è ancora quantificabile", si è difeso il ministro, omettendo di ricordare che il governo non ha avuto la forza di abolire gli esami di Stato per accedere alle professioni, un passaggio che obbliga molti giovani ad anni di lavoro sotto-pagato. Proprio sul settore delle professioni dovrebbe chiudersi entro la fine dell’anno l’indagine conoscitiva avviata in marzo dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Per l’Antitrust presieduta da Antonio Catricalà, che sta cercando di fare da tutore sull’applicazione dei decreti Bersani, il braccio di ferro con gli ordini professionali dura da almeno dieci anni. "Dalle primissime informazioni raccolte", aveva detto nel marzo scorso Catricalà in una audizione alla Camera, "il quadro che emerge non è confortante. Molti ordini hanno mantenuto nei propri codici deontologici disposizioni intese a limitare i comportamenti economici dei professionisti. E nelle sezioni dei codici che disciplinano i rapporti tra colleghi traspare un’accezione negativa della concorrenza". Chissà se negli ultimi mesi le cose sono cambiate e procedono nella direzione di una maggior apertura? Ad ascoltare un autorevole esponente del settore, non sembrerebbe. "Non è che siamo contro le liberalizzazioni, e neppure possiamo dirci felici che tra gli avvocati o i commercialisti non sia cambiato nulla", dice Gaetano Stella, il presidente di Confprofessioni, la confederazione dei liberi professionisti. Che però, di fronte alla resistenza praticata con successo dai vari ordini, non esita a sorridere sui guai dei liberalizzatori: "Il governo è intervenuto con la scure, senza concertare con le associazioni dei professionisti. Forse tra i motivi degli scarsi risultati, c’è proprio l’approccio sbagliato nello stabilire le nuove norme, no?" DI MAURIZIO MAGGI E LUCA PIANA