Guido Furbesco, La Stampa 14/12/2007, 14 dicembre 2007
Ah, Silvio… Lo incrociavo spesso al Torre di Pisa, il ristorante in Brera dove andavamo a cenare in quegli anni: noi circondati da ragazze splendide, lui seduto al tavolo con amici e collaboratori, sempre ingrigiti, sempre a parlar d’affari e a squadrarci con invidia
Ah, Silvio… Lo incrociavo spesso al Torre di Pisa, il ristorante in Brera dove andavamo a cenare in quegli anni: noi circondati da ragazze splendide, lui seduto al tavolo con amici e collaboratori, sempre ingrigiti, sempre a parlar d’affari e a squadrarci con invidia. Una sera mi ferma e mi offre un caffè. E mi dice: ”Sai, anch’io voglio avere donne in quantità industriale e quindi ho deciso: farò la televisione commerciale. Il futuro appartiene a me”. Lo so, può sembrare una tesi strana, ma sono fermamente convinto che lui, affamato di successo, abbia fatto quello che ha fatto solo per questo motivo». Tesi originale, certo, ma forse neanche tanto, vista l’indole e la caratura dei personaggi in gioco.Era la metà degli Anni Settanta e mentre Berlusconi fantasticava lo sbarco nell’etere, Beppe Piroddi brillava come una stella all’apogeo della sua carriera mondana: un principe della bella vita, un ricco «sciupafemmine» capace di conquistare le donne più desiderate del pianeta. Ovvero, il numero uno degli «amateur», che è concetto molto più profondo del semplice «playboy»: «Il playboy è uno che ”gioca”, che colleziona, che fa parlare il cuore ma anche la testa», spiega lui, in un ristorante sul lungomare di Genova. «L’amateur, invece, insegue solo il piacere: vuole assaporare fino in fondo le sensazioni, abbandona il campo quando questo non avviene più. Questione di divertimento: ecco la bussola che ha governato la mia vita». «Meglio Romina Power» Una giostra di incontri ed emozioni. Beppe Piroddi si è fatto aiutare dall’amico giornalista Gigi Moncalvo e c’ha riempito un libro: «Amateur», Mursia edizioni, quattrocento pagine di feste, donne fatali, stelle del cinema, vacanze a Saint-Tropez e spedizioni passionali a New York e a Londra. Senza dimenticare, ovviamente, i locali da lui stesso fondati: i Number One e i Caffè Roma aperti a Milano, Roma e in America, tra le «mecche» della vita notturna di quegli anni. Da dove iniziare? Classe 1940, nato a Genova e di buona famiglia, Piroddi è figlio del medico che inventò la dieta mediterranea. Cresce con le spalle coperte tra la Liguria e il Lago Maggiore. E’ un bel ragazzo, ha charme. E ci sa fare così tanto con l’altro sesso che a vent’anni diventa l’uomo-oggetto delle signore più in vista della società genovese. Poi il grande salto, nel 1963, quando al night Chatham di Torino conquista l’attrice francese Odile Rodin, splendida moglie del diplomatico (nonché mitico playboy) Porfirio Rubirosa. Sarà lei a lanciarlo nell’empireo del jet set internazionale. «Né romanticismo svenevole né tornaconto economico: con le donne ho sempre seguito la chimica», dice, cercando di spiegare i segreti di un’infinita serie di attrazioni fatali. «Ho usato la mia peculiarità: avvertivo subito se una ragazza mi accendeva e, soprattutto, se lei era attratta da me». Esemplare la storia con Jacqueline Bisset: «Mi colpì subito, dolce come le francesi e imprevedibile come le inglesi. Siamo stati insieme nel ”66. Ricordo che una sera, a una cena, io mi misi a parlare con una bionda meravigliosa seduta di fianco a me e quando mi girai lei non c’era più, sparita con un ricco dentista francese. L’aspettai fino alle dieci di mattina. Lei mi vide nella hall dell’albergo, si avvicinò e mi disse con aria beffarda: ”Non voglio e non do spiegazioni. E ora: andiamo a fare colazione?”». «A pranzo con la Kennedy» Beppe Piroddi non aveva ancora trent’anni ed era già un mito: «Ero ricco, bello e pieno di donne: se gli dei mi avessero voluto davvero bene, mi avrebbero preso lì, in quei momenti», sorride adesso, davanti a un piatto di rucola e bresaola imposto dalla dieta. Nella Saint-Tropez degli Anni Sessanta «Be-pi» entra nel giro di Brigitte Bardot, poi intreccia una relazione con l’esplosiva Kirsten Gille. «Non vorrei sembrare irriguardoso», confessa, «ma io alla Bardot preferivo Romina Power: sì, proprio la futura moglie di Al Bano. La vidi al Palm Beach di Cannes: era giovanissima e deliziosa, ma avevo dato parola a Linda Christian (la madre) che non l’avrei corteggiata. E così feci, anche se con molta fatica». Formidabili quegli anni. Feste scatenate, sventole e... cocaina. «Nulla di sconvolgente: anche allora ne girava parecchia. Io l’ho provata, più volte, poi basta. Perché la coca è una vera truffa: esci con una donna di quarta e ti sembra di uscire con uno schianto di donna, hai la sensazione di dire cose intelligentissime e dici solo una montagna di cazzate». Ma non ci sono solo donne, negli anni d’oro di Piroddi. «Alain Delon prendeva in prestito le personalità dei suoi personaggi, mentre sono rimasto molto deluso da Marlon Brando: fragile, quasi infantile. Ricordo l’avvocato Agnelli, grande giocatore di carte: una sera Gigi Rizzi voleva spillargli un po’ di soldi, si ritrovò a staccare un assegno di tremila dollari. Ma tra gli uomini che mi colpirono di più c’è Onassis: brusco, rozzo, però dotato di un’energia animale incredibile. Lo conobbi a una colazione nel castello di Odile, a Parigi. Eravamo in sei, erano invitati anche Paul Getty e Jackie Kennedy. Lei non disse una parola. Era fredda, si limitava a osservare. Disse solo che il formaggio era meraviglioso». Altri tempi, veramente. E adesso, amateur Piroddi? «Se prima guardavo le donne con le lenti della libido», conclude lui, «ora le osservo con quelle della saggezza». Stampa Articolo