Marco Zatterin, La Stampa 14/12/2007, 14 dicembre 2007
Non tutti i parlamentari di Strasburgo avranno lo stipendio ridotto dopo il voto a dodici stelle previsto nel giugno 2009
Non tutti i parlamentari di Strasburgo avranno lo stipendio ridotto dopo il voto a dodici stelle previsto nel giugno 2009. Nel nuovo statuto degli eurodeputati appena approvato c’è un buco o, forse, un abile artificio che potrebbe consentire a molti, fra cui gli italiani, di scampare alla falciatura dell’indennità. E’ una disposizione transitoria, ricordata ancora ieri nel bilancio 2008 approvato dall’assemblea comunitaria, che garantisce ai rieletti di conservare lo stipendio ante riforma e agli altri di negoziare con le capitali una remunerazione in linea con quella dei delegati nazionali, esattamente come avviene oggi. Il che, in numeri, fa sì che quanti percepiscono ora più di 6500 euro lordi - nuovo livello di riferimento per tutti - potranno continuare a guadagnare di più. Sei i Paesi interessati, ma i nostri sono quelli che giocano la partita più ricca. In principio era sembrata una mossa straordinaria, un’apertura netta sulla strada della diminuzione dei costi della politica. Il Parlamento aveva deciso di pagare i suoi membri con uno stipendio unico, caricato sulle casse dell’Unione e non più su quelle dei singoli Stati. Circa 80 mila euro lordi annua è stata la somma decisa applicando un criterio, per la verità discusso e discutibile, che vuole che un eletto a Strasburgo percepisca un’indennità pari al 38,5 per cento del trattamento economico di base di un giudice della Corte di Giustizia. Una vera vigna per lettoni e lituani, che incassano poco più di mille euro ogni quattro settimane. Una punizione per gli italiani che navigano, insieme coi colleghi di Montecitorio e Palazzo Madama, oltre i centoventimila l’anno. «Dal 2009 guadagneremo come o meno di un nostro assistente - ha commentato nei giorni scorsi un pezzo grosso dell’assemblea -. Sarà difficile trovare gente disposta a candidarsi». E’ una frase che dà i brividi, ma che rende l’idea di come sia stata presa la rivoluzione delle buste paga in una parte, quella dei professionisti ad alto reddito, del popolo europarlamentare. Del resto, posti 6500 euro lordi come riferimento mensile, i tedeschi perderanno 500 euro, gli austriaci 1400, gli irlandesi 1200, gli olandesi 800, i britannici novecento. Gli italiani dovranno rinunciare a 5200 euro ogni trenta giorni. Un vero salasso. C’è però una via di salvezza. Nello stesso testo congedato ieri, il Parlamento «richiama l’attenzione sull’articolo 29 dello statuto dei deputati al Parlamento europeo», il quale sancisce che «gli Stati membri possono definire per i propri eurodeputati una regolamentazione in deroga alle disposizioni del presente statuto in materia di indennità, indennità transitoria, pensioni di anzianità e pensioni di reversibilità per un periodo di transizione che non può superare la durata di due legislature del Parlamento europeo». Questo implica che, ad esempio, gli eurodeputati italiani potranno chiedere agli omologhi in attività a Roma di consentire loro di garantirsi dieci anni di vecchio regime per stipendi e vitalizi. Una battaglia dura che, a quanto risulta, molti sono già pronti a combattere. Non finisce qui. L’articolo 25 del medesimo statuto stabilisce che i deputati già in carica e rieletti prima dell’entrata in vigore del testo «potranno optare, per l’intera durata del mandato parlamentare, per il regime nazionale in vigore». Tradotto vuol dire che qualunque europarlamentare italiano oggi seduto negli scranni di Strasburgo, se riconfermato, avrà facoltà di decidere se prendere 6500 euro lordi pagati dalle casse europee o 11.700 versati dalle casse del ministero delle Finanze. Si accettano scommesse su quale potrebbe essere l’orientamento. Altro che sconti sui listini della politica. L’intera riforma delle indennità e dei rimborsi parlamentari è un boomerang per le casse dell’Unione. Perché se è vero che sei Paesi avranno una indennità più leggera, è anche vero che tutti gli altri se la vedranno aumentare, col risultato di gonfiare il conto in euro per l’esercizio complessivo dell’attività parlamentare. Fatta la legge, trovato l’inganno. E, come spesso accade nella politica, persa l’occasione di risparmiare davvero.[FIRMA]STEFANO LEPRI ROMA Fiducia trina anziché una sul disegno di legge finanziaria, ma sempre fiducia è, quella che il governo ha chiesto ieri alla Camera; e su testi lunghissimi, 400 commi ciascuno. Il Presidente della Repubblica, che aveva chiesto di evitarlo, non pare contento: «Anche quest’anno mi riservo di fare il mio commento - ha detto Giorgio Napolitano, a New York dove si trova in visita - in occasione dell’incontro con le alte magistrature della Repubblica». Sarà giovedì, dopo le votazioni a Montecitorio che si concluderanno sabato notte o domenica mattina. Napolitano, un anno fa, aveva chiesto di evitare un «numero abnorme» di commi, vedeva «ormai raggiunto il limite estremo di una prassi legislativa». Peraltro, se i tre maxi-emendamenti suscitano proteste tra i deputati, è perché in quelle decine di migliaia di parole manca qualcosa. Il governo ha sfrondato qua e là il lavoro della commissione Bilancio: coperture finanziarie dubbie, o micro-misure di interesse locale, tipo 2,5 milioni alla «Agenzia per la sicurezza alimentare, con sede in Foggia». L’opposizione minaccia ostruzionismo; anche nella maggioranza qualcuno mugugna (erano emendamenti approvati all’unanimità). Il presidente della commissione Bilancio Lino Duilio (Pd) ribatte che i tre maxi-emendamenti rispecchiano in sostanza il lavoro compiuto, tranne alcune «modifiche sottrattive dovute a verifica delle coperture finanziarie». In tutto saranno 1.192 commi divisi in tre articoli, dopo che 8 non sono stati ammessi dal presidente della Camera perché non discussi in commissione Bilancio. Non si supera il record dell’anno scorso, 1.364 commi (due uguali per errore, e un altro cassato poi perché inserito di straforo) in un solo articolo. Con questi tre, il governo Prodi 2 arriva al ventisettesimo voto di fiducia, e altri cinque sono probabili da qui a Natale: sempre sulla finanziaria al Senato, sulla sicurezza e sul Welfare, per un totale di 32. Nei 5 anni della scorsa legislatura, i due governi Berlusconi ottennero la fiducia per 48 volte. Ma, soprattutto, è la sessione di bilancio che non regge più, sostiene il viceministro dell’Economia Vincenzo Visco: «La lievitazione del testo della finanziaria è una cosa del tutto folle. Basterebbe modificare il regolamento della Camera per risolvere i sette decimi dei problemi». Varato a fine settembre con 97 articoli, il disegno di legge finanziaria si è allungato a 151 al Senato e aveva raggiunto i 213 in commissione alla Camera. Resta una manovra «leggera» nell’insieme, perché riduce (circa 2 miliardi) il carico fiscale, ma è divenuta pesantissima nella miriade di erogazioni che aggiungono nuovi capitoli alla spesa pubblica. «C’è troppa roba - dice ancora Visco - ma è l’unica cosa che viene approvata nell’anno. Governo, parlamentari e Unione ci mettono dentro tutto quello che possono». Nei contenuti, i tre maxi-emendamenti del governo includono i nuovi fondi appena ottenuti dagli autotrasportatori, 30 milioni. Il tetto agli stipendi dei manager pubblici torna rigido, 274 mila euro l’anno, raddoppiato a 548 mila per 25 cariche di vertice, per la Banca d’Italia e per le autorità indipendenti. Ma il taglio ai costi alla politica locale solleva una clamorosa protesta: i consiglieri comunali del Pd di Roma, Milano e Torino si ribellano al taglio del 25% dei «poco più di duemila euro al mese» che nei loro calcoli oggi percepiscono «per un lavoro a tempo pieno».«Bisogna legare fortemente il nome dell’Europa a progetti che si realizzano nei nostri territori». Così Leonardo Domenici, Presidente dell’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci) intervenendo alla Conferenza Anci Ideali sul nuovo Trattato Ue e l’impegno delle città in Europa, che si è svolta ieri mattina nella sede dell’Anci. «Anche le città italiane dovrebbero poter mettere a punto progetti avanzati sui temi dell’energia sostenibile, dell’integrazione sociale, dell’ambiente che sono stati ampiamente affrontati in molte città europee, con eccellenti risultati. C’è la necessità - ha aggiunto Domenici - di far comprendere quanto importante sia la parola Europa e quanto sia legata alla realizzazione di una migliore qualità della vita». Le innovazioni presenti nel nuovo Trattato ed il ruolo più ampio che gli Enti locali dovrebbero esprimere nell’elaborazione e nell’attuazione delle decisioni europee è stato al centro degli interventi dell’On. Sandro Gozi. «Per rilanciare l’Europa, partendo dai territori, bisogna puntare sui giovani, su partiti politici, sugli Enti locali e sulla formazione del personale della pubblica amministrazione il cui tasso di formazione sulle tematiche europee è ancora bassissimo».