Natalia Aspesi, la Repubblica 14/12/2007, 14 dicembre 2007
Berlino è diventata la capitale sperimentale degli uomini che hanno imparato a rifarsi il letto da soli e delle donne che il Principe Azzurro lo vogliono ogni tanto, perché sanno che nella quotidianità potrebbe diventare un Cavaliere Noiosissimo o addirittura un Dittatore Manesco
Berlino è diventata la capitale sperimentale degli uomini che hanno imparato a rifarsi il letto da soli e delle donne che il Principe Azzurro lo vogliono ogni tanto, perché sanno che nella quotidianità potrebbe diventare un Cavaliere Noiosissimo o addirittura un Dittatore Manesco. Fa impressione: un milione e settecentomila persone che vivono senza un partner (ma molti, è probabile, con figli), più della metà degli abitanti della città. In tutto il mondo, qualunque sia la lingua, questi solitari dalla vita desolata o sfolgorante, si chiamano single, un marchio abbastanza recente per una nuova popolazione di egoisti o di sfigati che cercano affannosamente qualcuno disposto a sposarli o comunque a far loro compagnia, o che con altrettanto affanno si difendono da qualunque intrusione nella loro pace solitaria o nella loro sfrenata promiscuità. Single è una parola che dà una connotazione positiva e allegra alla scapolaggine e allo zitellaggio, ne fa una scelta ardita di modernità, mette nell´angolo la coppia con prole, ridicolizza i family day, spinge le industrie alimentari a produrre confezioni individuali per chi ritiene inutile sbattersi in cucina solo per se stesso, crea un nuovo mercato per un nuovo consumatore in bilico tra disordine e malinconia, convincendolo della sua fortuna, come se la solitudine fosse un privilegio raro: un mercato di giovani momentaneamente soli, di non più giovani e di anziani con poche possibilità di non esserlo più. Single è onnicomprensivo: uomini e donne, non sposati, separati, vedovi, divorziati, (che la legge italiana chiama "liberi di stato"), persone non legate ad altre, non conviventi, sole per diverse ragioni; sono tutti single. E gli scapoli, e le nubili, e le zitelle? Appartengono al passato, e per esempio i giovanotti che un tempo vivevano soli, scapoli per eccellenza, inutilmente molto bramati da signorine e loro madri ingenue, erano talvolta omosessuali impossibilitati a dichiararsi tali: oggi anche loro vivono spesso in coppia (o con la mamma) e se imborghesiti, si sposano tra uomini (in Inghilterra o Spagna) o anelano a leggi che in qualche modo sanciscano la loro unione (in Italia, con Binetti e Mastella noiosamente contrari). Un tempo la capitale degli scapoli maturi e contenti era Londra, vedi Gli scapoli di Muriel Spark, pubblicato da poco da Adelphi. E comunque l´Inghilterra era, o è, la patria di uomini di discreto fascino e possibilità economiche, terrorizzati dalla sola idea di una possibile convivenza con una creatura di sesso femminile: figura esemplare quella creata da Edward Frederic Benson negli anni Venti del secolo scorso per la magnifica serie dedicata alla imperiosa Lucia; Georgie Pillson, il molto corteggiato ma inafferrabile dandy dedito al ricamo, al collezionismo e alla pittura all´acquarello. Abbondanti, nella letteratura inglese, anche le zitelle contente e ficcanaso, come la famosissima Miss Marple creata da Agatha Christie. Cose anglosassoni, di simpatica saggezza, totale indifferenza erotica, discreto conto in banca e marmoreo egoismo. Da noi tutto diverso, nessuna parità per esempio tra scapolo e zitella. Nei secoli scorsi era più facile trovare vedovi che scapoli, uomini cioè la cui prima signora se ne andava al creatore dopo qualche parto, sicché a lui era possibile sostituirla con una più giovane, in attesa che anche lei spirasse consentendo all´uomo di ricominciare da capo. Scapolo era una bella parola e lo è tuttora, a trovarne: già giovanissimi da noi oggi i maschi si impegnano, con una lei o un lui, mancano quindi se non per qualche eccezione, quei bei quarantenni mai sposati, fascinosi ed etero che occupavano le operette di Offenbach o le commedie di Oscar Wilde. In ogni caso adesso non si trovano neppure più vedovi, tanto sono veloci a risposarsi. Una signora non giovane ma molto giovanile raccontava come nel giro di pochi mesi tre suoi coetanei avevano perso l´amata sposa, e lei, vedova, ci aveva fatto un pensierino. Peccato che in un baleno gli inconsolabili si erano risposati, naturalmente con signore più giovani di almeno vent´anni. In Italia le ragazze che non riuscivano ad accaparrarsi un marito (impresa, nei dopoguerra, di estrema difficoltà data la scarsità di uomini sopravvissuti ai conflitti), entravano in uno strano non luogo, in una vita non vita, diventando un fastidio, un peso in famiglia, non avendo accesso a un lavoro che non fosse servile. C´erano le nubili e le zitelle: le prime anche se non maritate, meritavano rispetto almeno apparente, in quanto sufficientemente provviste di denaro ereditato, vedi Eugenie Grandet come la raccontano appassionatamente il romanzo di Balzac e il film di Soldati. Le zitelle, un disastro. L´idea era quella che una donna privata dal magico potere taumaturgico del sesso maschile, (non essendo immaginabile che pur senza marito, una signorina di buona famiglia potesse fornicare) e della ancora più indispensabile maternità, doveva subire orribili conseguenze, diventando isterica o pazza. La zitella poteva essere indicata dagli studiosi come "disastro per l´umanità" o più semplicemente come "donna superflua". Siccome, non procreando, aveva più possibilità di vivere e invecchiare rispetto alle spose che morivano come mosche partorendo (sino almeno alla fine del XIX secolo per ignoranza medica), il suo calvario era lunghissimo. E visto che zitella era anche sinonimo di cattiveria, sempre a causa della mancanza del maschio, molte diventavano cattive sul serio, per difesa o vendetta; come La cugina Bette di Balzac, interpretata nel film da una ultracattiva Jessica Lange. Zitella, zitellona, e anche zitellone (usato raramente, per uomini assolutamente impresentabili), divenne un insulto dei più virulenti. Danno e beffe, in passato, e adesso? Si è almeno eliminata la parola offensiva, sostituita dall´amabile e neutro single: per educazione, per buon gusto, ma anche perché almeno formalmente le cose sono molto cambiate. Le donne sono diventate autonome economicamente, possono vivere come vogliono, restare, o tornare zitelle. Non è l´inferno se non si sposano, non è la fine se divorziano: essere single può essere una condizione vivace e serena soprattutto per le donne che magari ci restano a lungo o per sempre, per scarsità di uomini disponibili ma anche perché loro stesse sono diventate più esigenti e cercano certe perfezioni che non esistono, non sono mai esistite (ma in passato si chiudeva un occhio, adesso più): essere sole non è più un fastidio familiare e un anatema sociale, anche se ancora devi avere almeno un gentile amico meglio se gay che ti fa da cavaliere ai pranzi eleganti dove è obbligatoria la coppia per ragioni di etichetta e posti a tavola. La zitella, quella che non si sposa, è rara, ma c´è invece un fiume di separate, di divorziate, che si confrontano con un rivoletto di separati, divorziati, molto sfuggenti, e molte di loro, dopo una rovinosa esperienza matrimoniale, se la godono. Per le signore chiamarsi single può essere una consolazione, addirittura un ardimento, come racconta Maria Rita Parsi nel suo libro Single per sempre. Storie di donne libere e forti in cui dieci donne raccontano come hanno smesso di farsi illusione sul maschile e hanno quindi rinunciato alla presenza fissa di un uomo nella loro vita. Ma non sono poi così tante quelle che scoprono i piaceri della solitudine: molte sono ancora lì ad aspettare una nuova anima gemella, e scrivono alle rubriche del cuore, entrano nelle chat, si danno da fare e spesso prendono nuove fregature. L´Italia non è Berlino: anche se la coppia è un disastro, se non si è un´eroina, la si sopporta meglio della beata solitudine.