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 2007  dicembre 14 Venerdì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

VALLE DI MUSAHI – L’allerta è massima negli ultimi tempi. Con il crescere di violenze e kamikaze in tutto l’Afghanistan, le basi italiane rafforzano le difese. E dopo aver trascorso più giorni con gli Alpini, è naturale chiedersi: com’è possibile che a oltre 4 anni dall’avvio della missione Nato-Isaf la situazione militare sia oggi peggiore di ieri? Le foto segnaletiche di personaggi sospetti visti aggirarsi insistentemente attorno alle mura di protezione perimetrali sono appese ben visibili nelle guardiole. Una serie di ostacoli e gimcane bloccano l’ingresso, le sentinelle tengono il colpo in canna. Misure che sono già servite con efficacia nel Fob, l’avamposto fisso, costruito dai soldati del Quinto Alpini a fine settembre nel cuore della valle di Musahi, circa 40 chilometri a sud di Kabul. Un fortino lungo 150 metri e largo 50, con le tende-dormitorio al centro per turni di una quarantina di uomini. «Il 5 ottobre siamo stati attaccati di notte a sventagliate di mitra e lanciagranate. L’intera forza ha risposto al fuoco con efficacia. Gli aggressori sono svaniti nel buio senza causare vittime o danni», conferma l’ufficiale al comando, il 32enne tenente Alberto Alleva, qui da agosto con alle spalle un’esperienza in Kosovo e già 5 mesi in Afghanistan un anno fa.
Il problema comincia però al di là delle protezioni attorno alle basi. Perché, se sino a due anni fa gli italiani, e con loro i circa 38.000 uomini degli altri 36 Paesi che compongono il contingente IsafNato, ritenevano che tutto sommato le «regole d’ingaggio» concordate corrispondessero alla «missione di pace» loro affidata, oggi la situazione sul terreno sta rapidamente precipitando. Nel 2007 vi sono stati oltre 140 attentati suicidi (furono solo 17 nel 2005), quasi 6.500 vittime dal primo gennaio, circa il 60% in più rispetto allo stesso periodo nel 2006. Un rapporto dell’Onu il 4 ottobre segnalava una crescita del tasso di violenza del 30%, da allora aumentato di altri dieci punti. E il parametro allarmante è quello delle regioni sempre più dominate dal banditismo e dalle milizie legate più o meno direttamente ai talebani. «La tragedia è che le vostre regole d’ingaggio vennero stabilite nel periodo tranquillo seguito al conflitto del 2001. Oggi sono obsolete, la situazione sul terreno è cambiata radicalmente. Occorre reagire. L’intera missione Isaf sta fallendo. Se non volete altre vittime, dovete dare attivamente la caccia ai terroristi. Comportatevi da militari, non potete piangere e minacciare di ritirarvi ad ogni vostro morto! », sostiene aggressivo Sa’ad Mochseni, proprietario della Tolo Tv, la più diffusa emittente privata. La sua è una delle voci più ascoltate tra gli intellettuali proKarzai e filoamericani nella capitale. «Inutile aggredirci, non esistono soluzioni veloci. Occorre tempo, almeno 15 anni, prima che si possa vedere qualche risultato. Qui la gente è rassegnata, pessimista, la grande maggioranza non sa cosa voglia dire pace. La vita media è di 45 anni, la guerra dura da 30. Va creata una nuova generazione che creda in un futuro migliore», risponde però il comandante del Quinto Alpini, da quasi 6 mesi a Kabul, colonnello Alfredo di Fonzo. La sua difesa delle regole d’ingaggio non è solo d’ufficio: «In caso di attacco, abbiamo la consegna di rispondere al fuoco ed allontanarci. successo più di una volta che ci venissero segnalati garage dove si costruiscono autobomba. Il nostro compito è stato quello di scortare e sostenere le truppe afghane, da noi addestrate, che hanno ingaggiato a loro volta direttamente il nemico. Solo così potranno crescere e diventare indipendenti. Aiuta il nostro contributo alla ricostruzione: strade, ponti, tribunali, ospedali, distribuzioni umanitarie. Non dobbiamo cadere nella trappola dei terroristi, che vorrebbero vederci uccidere civili per incriminarci. I talebani restano una minoranza, agendo con brutalità li rafforzeremmo ».
Le posizioni restano distanti. Mochseni è tra coloro che accusano il «ventre moderato di Isaf» (Italia, Francia e Germania) di essere troppo «pacifista », troppo preoccupati a «proteggere se stessi, dimenticando l’Afghanistan», come nota l’editorialista Javed Saabor. Si ammette senza reticenze che l’esercito e la polizia afghani non sono ancora in grado di reggersi da soli. Corruzione, malgoverno, apatia, vuoto istituzionale, speranze infrante in un rapido boom economico, fanno il resto. Si vorrebbe quindi da molti un’Isaf con il mandato di compiere operazioni commando contro i talebani, casa per casa, persino con squadre di teste di cuoio in borghese come fanno gli israeliani nei territori occupati. Ma anche un’Isaf capace di evitare i «danni collaterali» delle vittime civili. Mochseni sbotta: «Voi italiani sapete che alte fonti americane e nel governo locale rivelano che i vostri due agenti del Sismi catturati dalla guerriglia a settembre nella zona di Shindand da tre mesi stavano pagando ai talebani somme di denaro per comprare l’incolumità del contingente italiano? Purtroppo non sono i soli a farlo nell’Isaf». Dichiarazioni smentite negli ambienti militari e diplomatici italiani, ma che amplificano le tensioni crescenti. Bruciano le polemiche interne: americani, canadesi e inglesi vorrebbero ruotare periodicamente i settori loro affidati nel cuore della guerriglia con quelli più tranquilli in mano agli altri contingenti. Al comando Isaf si ammette che la recente offensiva contro la roccaforte talebana di Musa Qala, condotta da inglesi e americani, non avrebbe mai potuto vedere la partecipazione degli italiani e degli altri partner europei.
A percorrere con i blindati italiani l’ora e mezza di strada che separa il quartier generale di Camp Invicta a Kabul dalla Fob di Musahi è facile cogliere i segni dell’insicurezza. «Partiamo prima dell’alba, così da essere a Musahi entro le 7. Le statistiche rivelano che i kamikaze colpiscono più facilmente tra le 7.30 e le 16. Il ritorno a Kabul è previsto per il tardo pomeriggio », spiegano i soldati. Sulle strade sterrate autisti e mitraglieri sulla torretta si consumano gli occhi a cercare tracce di terra smossa. Una bomba artigianale, forse una mina messa di fresco, l’ennesima manifestazione di questo confronto «asimmetrico». Nella valle di Musahi danno da pensare le indiscrezioni di Sher Avzal, agente locale dello Nds, il servizio di informazioni del governo Karzai. «La situazione sta degenerando. I talebani e i loro alleati dello Hezb-e-Islami un anno fa stavano al di là delle montagne, nelle regioni pashtun del Lowgar. Ora sono qui, quasi un centinaio di uomini armati, tra i contadini, tra i villaggi, a un paio di chilometri dalla Fob italiana. Potrebbero attaccare i convogli, con risultati molto gravi. Se non prendete voi l’iniziativa, e al più presto, lo faranno loro», sostiene. La soluzione? Un’Isaf più aggressiva, simile ai 15.000 soldati di «Enduring Freedom», per lo più americani e inglesi, venuti con il mandato di fare la guerra ai talebani ed Al Qaeda? Si moltiplicano le voci in tal senso. Di recente, il quotidiano Outlook Afghanistan
ribadiva la necessità di «raddoppiare a 80.000» i soldati Nato e «rivedere i loro assetti strategici per evitare sviluppi ancora più pericolosi».
Lorenzo Cremonesi