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 2007  dicembre 14 Venerdì calendario

MILANO

Gli italiani? Un popolo triste, il più triste d’Europa. L’Italia? Un Paese alla frutta. Lo ha scritto ieri il New York Times in un lungo e documentato reportage di prima pagina firmato da Ian Fisher, corrispondente da Roma del quotidiano Usa. Il giornalista ha girato la Penisola, ha incontrato gente (Veltroni, Montezemolo, Illy, comuni cittadini) e ha tirato le somme. Il risultato è un’impietosa cartolina del fu Bel Paese, oggi malato grave affetto da un virus chiamato «malessere»: «Tutto il mondo ama l’Italia, ma l’Italia non si vuole più bene: c’è un senso di malessere generale nel Paese». L’Italia è più povera (l’11 per cento delle famiglie italiane vive sotto la soglia della povertà, il 15 per cento fatica ad arrivare a fine mese), più vecchia (basta guardare l’età media dei presentatori tv, scrive Fisher), la qualità della vita peggiora di anno in anno, i divorzi aumentano, il tasso di natalità è tra i più bassi d’Europa, la tecnologia è poco sviluppata. Il resto del mondo corre, noi restiamo al palo, bloccati nelle riforme da tante piccole corporazioni, con debito pubblico e costo della politica tra i più alti del Pianeta. E, se non correremo ai ripari, faremo la fine della Florida: un ricovero per turisti anziani.
Il tutto suffragato dai dati. Per esempio, saremo anche tra gli alleati più fedeli di Washington ma, come aveva già rivelato al Corriere l’ambasciatore Usa a Roma, Ronald Spogli, nel 2004 gli investimenti americani in Italia ammontavano a 16,9 miliardi di dollari, quelli in Spagna a circa 50 miliardi. Oppure, meglio archiviare lo stereotipo dell’italiano pizza e mandolino. Perché una ricerca dell’Università di Cambridge, condotta dall’economista italiana Luisa Corrado citata dal
NYT, dimostra come, in Europa, siamo i più infelici. Tristezza causata dalla nostra scarsa fiducia nelle istituzioni (il 36 per cento degli italiani si fida del Parlamento contro il 64 per cento dei danesi, i più spensierati del Continente).
Sull’economia, meglio sorvolare, dato che le piccole e medie imprese, cuore del nostro business, non possono competere nel mercato globale. Nemmeno le arti resistono: «Non ci sono più Fellini, Rossellini o la Loren, cinema, musica, letteratura italiani non sono più all’avanguardia ». Siamo così tristi che per tirarci su il morale leggiamo La casta, che denuncia i costi della politica, e Gomorra,
che racconta l’impero economico della camorra.
Un malessere che spiega, secondo il giornale americano, l’ascesa di Beppe Grillo «il personaggio che più di ogni altro identifica lo stato d’animo degli italiani», il cui video, bippato sui «vaffa», è stato messo sul sito del NYT.
Non ci rimane che il made in Italy, marchio di prestigio ancora riconosciuto in tutto il mondo. Può bastare? «Credo proprio di no», dice al Corriere
Ian Fisher, l’autore del reportage. «A Roma sono arrivato tre anni fa senza pregiudizi. L’idea di questo articolo mi è venuta parlando con la gente. Tutti a ripetermi: perché la politica non ascolta i cittadini? Perché abbiamo solo Prodi e Berlusconi? Perché la Spagna va avanti e noi no?». Fisher ha vissuto a Praga e Varsavia: «Anche lì le persone erano tristi, ma con la voglia di cambiare le cose. Da voi, manca questa speranza».
In difesa dell’Italia è intervenuto, proprio da New York, il presidente Giorgio Napolitano: «Scommettete sull’Italia, sulla nostra tradizione e il nostro spirito animale», ha detto il capo dello Stato citando l’economista Keynes e i suoi «animal spirits » (l’economia è in parte guidata da ondate di ottimismo e pessimismo, ndr). «Ci sono molti problemi e non si può fare del facile ottimismo – ha aggiunto Napolitano ”. E poi, invece di prendere a modello un noto comico per capire la nostra società, perché non parlare anche dei punti di forza, come le gare vinte dalla nostra industria della Difesa dato che i presidenti americani viaggeranno su elicotteri italiani».