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 2007  dicembre 13 Giovedì calendario

Nonostante i novantadue anni compiuti, la figura di Arnoldo Foà non trasmette nulla di patriarcale, né di malinconico

Nonostante i novantadue anni compiuti, la figura di Arnoldo Foà non trasmette nulla di patriarcale, né di malinconico. Nei suoi occhi non si legge la paura e il risentimento, la noia e l´invidia. Ma solo una fulminante ironia a volte accompagnata dall´esplosione di una risata. Ride come pochi. Con arte. Osservando la mano che stringe la pipa, il gilè che avvolge la pancia, il tavolo su cui di tanto in tanto tamburella le dita, si ha l´impressione che la vita sia come il teatro. Una questione di ritmo. Ha molto visto e molto vissuto. Nella casa in cui mi riceve c´è anche la giovane moglie: piccola, mite, serena. Quasi mezzo secolo di distanza tra i due. Un abisso colmato dalla dissacrazione di lui e dalla tenerezza di lei. «Sa una cosa», dice il nostro meraviglioso Capitan Fracassa, indicando la moglie poco distante «quella donna lì, che lei vede, io la chiamo il culo della mia vita. Mi ha raccolto, come si raccoglie un budino tremolante scivolato da un piatto. Mi ha curato, ricomposto, delicatamente rimesso in sesto. Se non è fortuna questa, mi chiedo cosa lo sia». Già perché nello stereotipo, l´anziano è quello pieno di soldi, di potere e fascino. Mentre la giovane è quella che mette la bellezza. «Tra me e lei», dice roteando la pipa, «io sono quello da proteggere». Non si direbbe. «Ero senza soldi, senza casa. Mi sentivo immiserito, deluso, stanco. E poi, all´improvviso arriva lei che mi ha ridato il rispetto che stavo perdendo. Non capita tutti i giorni una storia così». E lei ha sposato la sua fatina. «Mi è parsa la conclusione più giusta». Guardi la cosa da un´altra prospettiva. «Quale?». Per esempio, i suoi suoceri sono più giovani di lei. «Mi adorano. E io amo loro. Il resto sono chiacchiere». Quante volte è stato sposato? «Quattro matrimoni, più un quinto, ma era falso». Quante volte ha detto: "questo è l´ultimo"? « sempre l´ultimo. Se amo una donna, può finire che la sposo». Non basta amarla? «Penso al matrimonio come a una forma di rispetto universale. A me personalmente non me ne frega niente. Ma se non la sposi le resta appiccicato il rango dell´amante».  una visione un po´ perbenista. « una visione perbene. Se ami seriamente, metti tutto in comune». Comunione e dissipazione. «Donarsi tutto è rischiare anche di perdersi». E lei si era perso. «Il fallimento fa parte della vita. Lentamente declini. Improvvisamente ti ritrovi in miseria. Ti senti un coglione e non è facile accettarti». E tutto questo quando è accaduto? «Quando ritornai in Italia, dopo quattro anni passati alle Seychelles». I giornali e la televisione avevano a lungo parlato dell´esilio che Foà si era scelto. «Colgo dell´ironia nelle sue parole». Oddio, l´attore celebre, grande, colto che sbatte la porta perché schifato dalla politica, dal paese, dalla società e si ritira alle Seychelles... «Lo dica: come i parrucchieri, le veline, i viaggiatori di nozze. questo che pensa? Pensa che non sono Gauguin e che le Seychelles non sono Tahiti?». Ecco. «Si sbaglia. Volevo andare in un luogo che avesse ancora qualcosa di naturale. E ho scelto le Seychelles per una pura questione di convenienza. Mia moglie, quella di allora, la terza, conosceva un´agenzia di viaggi che ci disse che il viaggio più bello, più lungo, meno costoso era andare lì». E quando lei è sbarcato - immagino con il camicione, il panama e gli occhiali scuri - cosa ha pensato? «Che non sarei più tornato indietro». Parola di attore. «Gli attori non mentono, fingono». Lei ha praticato tutti i mezzi: cinema, teatro, televisione, radio, perfino doppiaggio. Eppure se chiede alla gente, le diranno Foà è soprattutto un attore di teatro. «La gente può vedermi come le pare. Non mi interessa. Quando recito non importa che lo faccia al cinema al teatro o in televisione. Sono sempre lo stesso». Non crede che i linguaggi siano differenti? « diverso il mezzo. Ed è chiaro che se fai cinema devi sapere cos´è un primo piano o un campo lungo. Ma alla fine sono sempre io: Arnoldo Foà». Che definizione darebbe dell´attore? « colui che sa rendere espressivi i pensieri di un autore». Sta pensando all´interprete? «Non esattamente. Per come la vedo io, l´attore deve identificarsi con l´autore. Vibrare con lui, immedesimarsi nei suoi pensieri». Un vero innamoramento. «Se ti piace, l´autore è così». E se non ti piace? «Allora ci giochi sopra. Fai, come si dice, il gigione. Ci sono molti attori che non rispondono all´autore ma solo a se stessi». Un esempio? «Gassman. Era bravissimo. Ma era sempre ed esclusivamente lui». E trova sia un limite? «Sì. Con Vittorio eravamo molto amici. E una volta mi disse: "Arnò, perché non facciamo compagnia assieme". E io: "Compagnia teatrale o compagnia Gassman?" E lui: "Arnò, il teatro è Gassman". E non se ne fece niente». Da amico cosa le piaceva di Gassman? «La sua energia era contagiosa. Ma poi se la vedevi con la giusta distanza capivi che nasceva da una timidezza spaventosa. Dietro quella sua forza egocentrica e mattatoriale c´era la permanente minaccia della depressione». Non le sembra che tutti i grandi attori siano egocentrici e tendano in definitiva a portare se stessi sulla scena? « una cosa più complicata di come appare. Lei dice i grandi attori. vero il grande attore ha fatto sempre quello che ha voluto. E convengo che non esiste un solo modo per fare l´attore. La mia maniera di recitare si ispira a una massima semplice: non voglio essere il padrone del mio personaggio; voglio essere il personaggio. Anche se è un debole, un fallito, un poveraccio».  l´attore mimetico. «Penso che ogni grande attore che mette se stesso al centro della scena realizzi involontariamente una specie di ruffianata verso il pubblico. Invece la mia bravura consiste in questo: se il mio personaggio è un debole, farò vedere di essere debole». Sta nelle righe della recitazione? «Esattamente, è quello che tento di fare». Mi ricorda Salvo Randone. «Attore grandissimo. Un altro allo stesso livello era Ruggero Ruggeri. Ricordo che qualunque personaggio facesse, aveva sempre lo stesso modo di recitare, la stessa intonazione di voce. Ha presente le bottiglie di Morandi? Variazioni minime, eppure è grande arte. Ecco, Ruggeri e Randone erano meravigliosi, in quella loro falsa monotonia. Non avevano bisogno di uscire dal personaggio e di gridare. Amo gli attori che insabbiano la loro smisurata vanità». Altri, come Gassman o Carmelo Bene, la usano. «Carmelo Bene non è stato un grande attore». Suvvia maestro. stato un pezzo fondamentale del teatro contemporaneo. «Che le devo dire? Mi piace l´attore che fa la parte, non che fa se stesso». Il confine a volte è invisibile. «Nel caso di Bene si vedeva, eccome si vedeva». Lei ha lavorato con Strehler e Visconti. Cosa ricorda di loro? «Che si prendevano terribilmente sul serio. Con Strehler litigammo furiosamente. Molto dopo venni a sapere che parlando di me disse: "devo qualcosa ad Arnoldo"». Perché litigaste? «Per una scena del Giulio Cesare di Shakespeare. Lui voleva tagliarla e io feci notare che abolendola veniva meno tutta l´ambiguità di Antonio. Mi guardò con l´aria impettita esclamando: "Sono io il regista". Dopo di che, a due giorni dalla prima, ci ripensò. Con aria vaga si avvicinò e mi disse: "Secondo me, quella scena è meglio che la reciti". E io gli ho risposto no. E lui, meravigliato: "Perché no?". Perché io sono l´attore, risposi». Un caso di ribellione all´autore. «Mi aveva costretto». Com´era Strehler privatamente? «Borioso, ma per niente stupido». E Visconti? «Non mi è mai piaciuto. E francamente non ho mai capito quella sua ossessione di ornare la scena con oggetti autentici. Se c´era una cassettiera, pretendeva che dentro ci fossero le lenzuola di lino, o magari le posate d´argento. Dio, che stress. Ricordo che Torraca una volta che recitavamo all´Eliseo aveva costruito una macchina che serviva a far ruotare il palcoscenico. In scena era prevista una spiaggia. Visconti pretese della rena vera sparsa sul palcoscenico. La quale filtrò attraverso le tavole inceppando i congegni della macchina di Torraca. Fu un disastro». In ogni caso, Visconti non fu solo quello che lei racconta. «Non sono mica il suo biografo. Quando affermo che non mi piaceva è perché sotto tutta quella intelligenza e raffinatezza coglievo l´estetismo, il languore, il kitsch. Per me si può recitare fingendo di avere una scena, senza che la scena ci sia». Questa sua osservazione fa pensare a Beckett. «Non ho mai recitato un suo testo». Se ne rammarica? «Sinceramente non ricordo neppure cosa ha scritto. A novantadue anni la memoria fa brutti scherzi». Le succede alla sua età di fare bilanci? «I bilanci li fanno i commercialisti. Mi limito a vivere brillantemente questi ultimi scampoli. O dovrei chiamarla vecchiaia?». Più che un incubo la vecchiaia è oggi uno status. «Non ne sarei così certo. anche un incubo». Il suo qual è? «A parte che morire non è divertente, ma la cosa che mi dà fastidio è l´idea di dover soffrire. Non mi va. Proprio non mi piace. Me voi fa morì? Famme morì. Ma mentre dormo». Mi piace che si rivolge a Dio in romanesco. «La verità è che non credo in Dio. l´uomo che lo ha inventato a sua immagine e non viceversa». Se lo ha creato, una ragione c´è? «C´è sempre una ragione. Se non altro perché l´uomo si sente qualcosa di più complicato di un animale. Dovrebbe volere bene ai suoi simili, amarli, solidarizzare con i poveri. E invece non ama il suo genere. Le religioni poi, che dovrebbero ispirare bontà e fratellanza, in realtà non fanno che odiarsi reciprocamente. Dov´è Dio?». Qualcuno ha detto: Dio si ritira per far posto all´uomo. «Se si ritira è perché in precedenza ci ha invaso». A quali valori fa appello? «Non ho valori da sbandierare, ho solo onorificenze. Mi hanno fatto Cavaliere della Gran Croce.». Ironia a parte, si sente appagato? «Non me ne frega niente. La medaglietta, il riconoscimento, la targa per il grande attore. Non conta nulla».  il massimo dell´egocentrismo in un attore che annulla il suo Io. «Stiamo sfiorando l´introspezione». Cosa pensa della psicoanalisi? «Fotografa gli individui. Fa le lastre, invece che ai polmoni all´anima. La psicoanalisi è come Dio, solo più casuale». E lei non ci crede. «Ciascuno di noi cerca di essere per gli altri quello che vorrebbe essere per sé. Meglio: quello che gli piacerebbe che gli altri pensassero di lui». Siamo alla maschera. «Siamo al fatto che la vera recita è nella vita e molto meno sul palcoscenico. Solo raramente ci è dato di essere autentici». E a lei quando è accaduto? «Oltre ad essere un ateo, sono un ebreo. E può sembrare molto stravagante che parli male di Dio e della psicoanalisi. Ma sono questo e non credo che alla mia età mi convertirò. Ricordo la disperazione di una notte di tantissimi anni fa. Ero affamato, impaurito, depresso. E una sera ho cercato di tagliarmi le vene dei polsi». Che cosa l´ha fermata? «Ho pensato: ma chi me lo fa fare, verrà un giorno in cui ti potrai vendicare di tutte le angherie. Quella notte ho dormito meravigliosamente». Quella notte di che anno? «Era il 1938, l´anno in cui furono promulgate le leggi razziali». E ci pensa spesso? «Penso di essermela cavata con dignità e ragione. Penso di aver detto alla morte: passi un´altra volta, please. Oggi ho di nuovo le valige pronte. Ma mi diverte immaginare di averle smarrite». Un attore lo è fino in fondo. Su cosa sta lavorando? «Leggerò tra qualche settimana il Moby Dick. Non ricordo chi ha detto: grande è la conoscenza, infinito è il dolore. Melville ci ha messo di fronte a questo. E la balena è la nostra ossessione dell´abisso, la nostra paura di perderci. L´esorcizzo recitando, fino in fondo appunto».