Angelo D’Orsi, La Stampa 13/12/2007, 13 dicembre 2007
La patria di Zapata e Pancho Villa offre per fine anno una full immersion nella straordinaria vita di Diego Rivera, un artista gigantesco, fin dal fisico di orso bruno, troppo spesso ridotto nell’opinione corrente a «muralista»
La patria di Zapata e Pancho Villa offre per fine anno una full immersion nella straordinaria vita di Diego Rivera, un artista gigantesco, fin dal fisico di orso bruno, troppo spesso ridotto nell’opinione corrente a «muralista». Una grande esposizione in corso nella brulicante megalopoli - una delle tre maggiori della Terra, con un numero di abitanti che si aggira, con il suburbio, tra i 25 e i 30 milioni - rende giustizia a una personalità che ebbe risvolti diversi, messi a fuoco nelle sei sedi della mostra, una delle quali è nel luogo natale di Guanajuato, bella cittadina universitaria. Lì Diego nacque l’8 dicembre 1886, gemello di un fratello che morì dopo solo un anno e mezzo. Fu come se il sopravvissuto Diego ne acquisisse il patrimonio genetico, crescendo con una stazza e una forza pari a quella di due uomini. Si formò, oltre che nella sua terra, in Francia e in Spagna, e viaggiò molto: Russia, Stati Uniti, Italia. Muralista, certo, e il Palazzo del Governo affacciato sull’immensa piazza dello Zócalo, sciorina davanti al visitatore, nelle scale, nei corridoi, nelle sale la straordinaria vis immaginaria e l’enorme forza evocativa dei suoi murales. Ma la mostra ci offre una ricca rappresentazione delle altre, versatili doti di questo artista che volle sempre essere un militante della Izquierda, la Sinistra delle diverse epoche attraversate dalla sua intensissima esistenza, che si concluse il 24 novembre 1957. E ora la sua patria lo commemora nel cinquantenario della morte. Nelle varie dislocazioni della mostra, possiamo scoprire l’illustratore, che esplica la sua opera in libri, giornali, manifesti: un percorso che rivela quanto sia stato forte il demone dell’impegno in lui. Illustratore, ma anche giornalista, che diresse fogli rivoluzionari, come il celebre Machete di cui fu condirettore con Siqueiros e Xavier Guerrero: tutti membri del Partito Comunista Messicano, ma con orientamenti diversi. Lo stalinista Siqueiros organizzerà addirittura un attacco armato alla residenza di Trockij, suo estremo rifugio, nel quartiere di Coyoacán, tranquilla oasi residenziale nella caotica Ciudad de Mexico; pure Guerrero sarà granitico difensore del verbo staliniano, a cui invece, in un’esistenza politicamente e umanamente inquieta, Rivera si sottrarrà, diventando amico personale di Trockij (prima che questi fosse ucciso nel ’44 da un agente di Stalin), in un giro di straordinari personaggi, accomunati da forti passioni politiche, umane, artistiche: pittori, poeti, narratori, saggisti, musicisti, fotografi, cineasti. Eizenstein, Breton, Neruda, Cocteau, Ehrenburg, Robert Capa, Picasso, che nel ’37, con Guernica crea un simbolo di quell’età di ferro e fuoco e dà voce come meglio non si potrebbe all’artista «engagé». Una di queste figure è la mitica, bellissima Tina Modotti, il cui nudo immortalato da Edward Weston è diventata un’icona di un tempo in cui gli intellettuali erano militanti, ma sapevano apprezzare la bellezza. E del resto, non aveva scritto Gramsci: «No, il comunismo non è nemico dell’arte. Non oscurerà la bellezza»? Non andò così, e mentre Gramsci finiva in prigione, vittima del fascismo, ma non amato nell’Internazionale Comunista, Diego era espulso dal suo Partito, avviando una serie di entrate/uscite, che tuttavia non spensero la tenacia del militante, né la capacità espressiva dell’artista, che pure qualche volta si piegò a opere di maniera, per illustrare la forza della Falce e Martello e il radioso Sol dell’avvenire. In tali vicissitudini gli fu a lungo vicina una donna, perlopiù inchiodata in un letto, dopo un terribile incidente che la costrinse a una serie infinita di interventi chirurgici che ne fiaccarono il fisico, ma non lo spirito: Frida Kahlo, non a caso soggetto di una gran quantità di tele e disegni di Diego. La Kahlo fu una delle sue quattro mogli, cui si affiancò un buon numero di amanti: i rivoluzionari dell’epoca credevano nella liberazione sessuale. Attento conoscitore dell’anatomia, appassionato studioso di architettura, e progettista, egli fu infine un collezionista di genere particolare: la sua raccolta di cimeli precolombiani ebbe un preciso significato politico, volta a sottrarre a mercanti senza scrupoli e a compratori dotati solo di conto corrente cospicuo, un immenso patrimonio storico, oggi proprietà della nazione messicana. Tuttavia, personalmente, al pur efficace Mussolini (1933), benedetto dal Papa, circondato dai suoi sicari intenti a pugnalare gli antifascisti (la morte dei Rosselli, nello stesso annus horribilis 1937 in cui moriva Gramsci e veniva bombardata Guernica, sarebbe avvenuta proprio così), preferirò sempre lo stupendo Nudo di donna con calle (del ’44), ossia l’amatissima Frida che di spalle abbraccia, in una singolare composizione, un enorme mazzo di fiori bianchi. Al pittore polemico verso il fascio littorio, preferisco l’artista innamorato che fonde la figura della sua amata in un fascio di fiori virginalmente erotici. L’impegno ha le sue regole, l’arte le sue libertà. Negli Anni 30 sull’onda della fama acquisita in Messico Diego Rivera realizzò numerose opere anche negli Stati Uniti. Ma le sue tematiche comuniste provocarono molte polemiche sulla stampa. Ciò accadde in particolare con un murale del Rockefeller Center di New York raffigurante Lenin; murale che in seguito venne distrutto. Altra conseguenza di queste polemiche fu l’annullamento della commissione per gli affreschi destinati alla fiera internazionale di Chicago. Clicca sull immagine per ingrandirla Clicca sull immagine per ingrandirla Stampa Articolo