Il Sole 24 Ore 11/12/2007, pag.3 Morya Longo, 11 dicembre 2007
Per i fondi sovrani il conto della spesa è già a 66 miliardi. Il Sole 24 Ore 11 dicembre 2007. Le banche occidentali hanno bisogno di capitali dopo la crisi dei mutui subprime
Per i fondi sovrani il conto della spesa è già a 66 miliardi. Il Sole 24 Ore 11 dicembre 2007. Le banche occidentali hanno bisogno di capitali dopo la crisi dei mutui subprime. I fondi sovrani arabi e orientali hanno invece così tanti soldi che non sanno più dove investirli. Tanti problemi da una parte, tanti dollari dall’altra. Sono iniziati così i matrimoni finanziari più "multietnici" degli ultimi anni: quelli tra le banche occidentali e gli investitori arabi e dell’Estremo Oriente. Dieci giorni fa è stato il fondo sovrano di Abu Dhabi ad andare in soccorso di Citigroup, iniettando nella banca americana 7,5 miliardi di dollari. Ieri un salvataggio simile è toccato alla banca svizzera Ubs: il salvagente è arrivato, in questo caso, dal fondo sovrano di Singapore e da un fondo arabo (si dice dall’Oman). Ma questi sono solo gli ultimi casi di una lunga serie: colossi come Hsbc, Barclays, Deutsche Bank, Bear Stearns e Fortis Bank hanno già visto l’ingresso nel capitale di questi facoltosi investitori. Secondo le stime di Morgan Stanley, quest’anno i fondi sovrani asiatici hanno già investito in istituzioni finanziarie estere qualcosa come 55 miliardi di dollari. Sommando gli 11,5 di ieri su Ubs, si arriva a 66,5 miliardi di dollari. Un fiume di denaro. Il mondo dei fondi sovrani è molto variegato. Ci sono da un lato quelli dei vari Emirati del Golfo persico, diventati straricchi grazie al prezzo del petrolio alle stelle. Poi ci sono quelli di altri Paesi che hanno accumulato risorse grazie all’export o ad altre materie prime. Questo vasto panorama di investitori, stima Morgan Stanley, ha qualcosa come 2.500 miliardi di dollari di patrimonio: cifra enorme, pari al Prodotto interno lordo della Germania. E destinata a crescere ancora: nel 2015, secondo le stime, arriveranno alla cifra di 12mila miliardi. Con tutti questi soldi da impiegare, i fondi sovrani arabi e i colossi dell’Estremo Oriente hanno iniziato ad investire in lungo e in largo. Un tempo compravano quasi esclusivamente titoli di Stato. Ma da qualche anno hanno iniziato a rilevare pacchetti azionari di società quotate sui listini occidentali. Tra i bocconi preferiti di questi fondi ci sono da tempo le istituzioni finanziarie occidentali: banche, fondi di private equity, hedge fund e Borse. I fondi speculativi e le Borse, infatti, rendono bene. Invece le banche sono solide e, dopo la crisi dei mutui subprime, sono anche in "saldo". Tutto questo ha creato, senza quasi che nessuno se ne accorgesse, un intreccio di nuovi azionisti orientali nel capitale delle principali banche mondiali. Il fondo di Singapore Temasek, che ha il 38% del proprio portafoglio investito in titoli finanziari, a luglio ha per esempio acquistato il 2% di Barclays, con l’accordo di aumentare la quota se avesse vinto la gara per rilevare Abn Amro. Barclays non ha vinto, ma Tamesek è ancora lì con il suo 2%. A fargli compagnia, nell’azionariato della banca inglese, c’è anche la China Developement Bank con il 3% circa. Ma anche dal Golfo Persico hanno puntato su Barclays: la Kuwait Investment Authority ha lo 0,2% e la Gulf International Bank lo 0,11%. Più del 5% della banca, insomma, è in mano a questi nuovi e facoltosi investitori. Sul colosso Hsbc, prima banca al mondo, a maggio aveva invece puntato la Dubai International Capital: in una nota ha annunciato infatti di avere investito una somma «sostanziale», senza però specificare quanto. Ma anche il questo caso l’ingresso non è stato isolato: con piccole quote, Hsbc era già "occupata" dal Governament of Singapore Investment e dalla Kuwait Investment Authority. Discorso analogo per Deutsche Bank, di cui il Dubai International Financial Centre detiene più del 2%. Il secondo maggior assicuratore cinese, Pin An Insurance, ha invece rilevato recentemente il 4,18% di Fortis. Ma se fino a pochi mesi fa questi fondi compravano azioni bancarie semplicemente per diversificare i loro investimenti, nelle ultimissime settimane hanno fatto un salto di qualità. Hanno infatti iniziato ad andare letteralmente in soccorso delle banche in difficoltà per la crisi dei mutui. Il Governo di Abu Dhabi, attraverso il fondo Adia, a fine novembre ha dato 7,5 miliardi di dollari a Citigroup, zavorrata dalle svalutazioni sui mutui subprime, rilevando una quota del 4,9% del capitale attraverso speciali "equity units" convertibili in azioni ordinarie. Il fondo si è trovato titoli speciali che offrono un rendimento dell’11% e Citigroup si è vista iniettare 7,5 miliardi preziosi per i suoi bilanci. Morale: quella che per tanti anni è stata la più grande banca al mondo ora ha il 9% del capitale in mano a investitori arabi (Adia e il principe saudita Alwaleed). Ieri Ubs ha seguito le sue orme. E molti analisti sono convinti che nei prossimi mesi potrebbero avvenire altri salvataggi. D’altra parte alcune banche occidentali hanno un sacco di problemi. E i fondi sovrani arabi o dell’Estremo Oriente hanno un sacco di soldi. Che dire: matrimonio perfetto. Morya Longo