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 2007  dicembre 13 Giovedì calendario

CASALE

CASALE Giulio Treviso 13 marzo 1971 • «[...] già bambino dotato di un tiro da lontano inesorabile, già playmaker della Benetton a Treviso, già filosofo teoretico a Venezia, traduttore di Tim e Jeff Buckley, chitarrista e cofondatore degli Estra, poi solista, cantautore, padre, attore e scrittore in versi e prosa – sul serio, tutto questo prima di avere quarant’anni, chissà poi [...]» (Adriano Sofri, ”Il Foglio” 12/12/2007) • « impressionante vedere come Giulio Casale sappia trasfigurarsi in Giorgio Gaber per riproporre [...] lo spettacolo di teatro-canzone che Gaber e il fedele Sandro Luporini usarono come un arpione da conficcare nel cuore di una Milano che usciva dal miracolo economico, dalla contestazione, dall’utopia e si consegnava al riflusso. Era il 1978. All’epoca Giulio Casale aveva soltanto sei anni. Gaber entrava in scena con la sua figura dinoccolata, il viso aquilino, il corpo che non era mai in posizione verticale ma s’inclinava da una parte e dall’altra, spesso poggiava su una gamba portata avanti e si dondolava sul tempo della nevrosi istrionica. A quel punto, partiva con la sua chiacchierata ora allibita, ora turbata, spesso grottesca, e su di essa agganciava la canzone, che scoccava sommessa, espositiva, ma poi, nella seconda parte, s’inarcava, affrettava il ritmo, gridava di rabbia. Gradualmente, veniva fuori Milano notturna intrisa di paura (’Mi compro una pistola”) con le schizofrenie e le impotenze private, le tristezze di coppia, la persuasione che gli oggetti abbiano cominciato a impadronirsi degli uomini, la perdita dell’individualità e del pensiero libero, l’impressione che ciascuno si sia definitivamente trasformato in un pollo d’allevamento. Forse soltanto il suicidio può metter fine alla parata dell’inutile e, come si diceva allora, della massificazione. Anche Giulio Casale entra in scena dinoccolato, il corpo mai in posizione verticale, la gamba portata avanti. Anche Casale comincia a chiacchierare allibito e, subito dopo, si butta a corpo morto nel fiume delle canzoni che portano dentro al proprio flusso il ”68, il sinistrese, i jeans, l’autocoscienza, la partecipazione, la critica, il femminismo visto da lui e da lei. Ma con minuscole varianti. [...] Cabaret a parte, se socchiudi gli occhi credi proprio che sul palcoscenico sia tornato Gaber in forma di miraggio. Casale gli è uguale nella silhouette, nel timbro, nel modo di tener sospesa una nota: un uomo-fotocopia. Nuovo Signor G, si è consegnato a un mito e lo ha ricreato per la gioia propria e per quella di un pubblico che forse non aspetta altro. E lui non delude nessuno. Nella ri-creazione è perfetto. Ma, ad esser pignoli e dopo le giuste lodi, non è che in questa perfezione si nasconda il limite dello spettacolo? Non è che il possibile inizio di un percorso artistico sia in realtà una conclusione? Poiché tutto vorremmo, meno che un Gaber d’allevamento. [...]» (Osvaldo Guerrieri, ”La Stampa” 21/10/2006).