La Stampa 10/12/2007, pag.20 ALBERTO MATTIOLI, 10 dicembre 2007
L’ultimo Tristano cresciuto in miniera. La Stampa 10 dicembre 2007. MILANO. Esagerando un po’, il Guardian l’ha chiamato «the Billy Elliot of opera», citando il film dove il ragazzino sensibile cresciuto fra i rudi minatori sogna di fare il ballerino
L’ultimo Tristano cresciuto in miniera. La Stampa 10 dicembre 2007. MILANO. Esagerando un po’, il Guardian l’ha chiamato «the Billy Elliot of opera», citando il film dove il ragazzino sensibile cresciuto fra i rudi minatori sogna di fare il ballerino. In realtà, anche lui fra i pozzi carboniferi c’è nato, ma poi un po’ per caso (una frattura alla caviglia che è la prova provata che non tutto il male viene per nuocere) e molto per forza di volontà dal 1991 è un tenore. Da venerdì scorso, anche un tenore star. Si chiama Ian Storey ed è la rivelazione e la prima metà del titolo del Tristan und Isolde che ha aperto con clamoroso successo la stagione della Scala. Ora, che Daniel Barenboim fosse un grande direttore wagneriano e Patrice Chéreau un grande regista tout court, «sapevamcelo», come diceva Petrolini. Idem che la divinissima Waltraud Meier facesse un’Isotta somma. Ma donde uscisse questo marcantonio di quasi due metri in grado di cantare una delle parti più massacranti mai scritte senza massacrarsi o, come dicono stavolta i loggionisti, «restarci in mezzo», non lo sapeva nessuno. La sua è una storia curiosa che più curiosa non si può. Storey nasce 49 anni fa a Chilton, contea di Durham, Britannia tutt’altro che verde, anzi grigissima dopo un paio di secoli di rivoluzione industriale alimentata a carbone. Uno di quei posti che immagini in un film di Ken Loach: minatori, pioggia, pub, fish&chips, sussidi di disoccupazione, battaglie sindacali prima contro Ted Heath e poi contro miss Thatcher, anzi «Tina» dall’acronimo della sua espressione preferita: «There Is No Alternative», per esempio alla chiusura di miniere antieconomiche, poi puntualmente avvenuta. In realtà, minatori erano i nonni. Il padre era tecnico, sempre per le miniere, ma senza amarle: «Papà era adamantino: né io né mio fratello avremmo mai dovuto scendere nei pozzi». Come spesso accade da quelle parti, la musica la praticano un po’ tutti: i nonni cantavano, la mamma suonava l’organo in chiesa. «Del resto, mi è sempre piaciuta la musica classica», dice lui che con l’italiano ha qualche problema più che col tedesco. Ian prende il suo bravo «degree», il diploma in design, e con lode. Poi va a metterlo a frutto in Nuova Zelanda, un posto che sta all’opera come Totti a Kant. «Dopo due anni decisi di restare lì, dopo quattro avevo la cittadinanza, dopo sei me ne sono andato». Grazie al famoso incidente: «In realtà, il mio vero sport è il badminton. Ma un giorno giocai a basket, caddi male, mi strappai i legamenti della caviglia, fui operato e mi dissero che per due anni non avrei più potuto fare sport. Allora decisi di cantare: il piano lo suonavo già, sapevo che ero intonato, lessi la pubblicità di un coro di dilettanti nella mia città, Hamilton, e provai. Dopo tre mesi il maestro del coro mi chiese: hai mai pensato all’opera? La risposta, ovviamente, era no (segue risata ciclopica, ndr)». L’opera, voleva dire tornare in Europa, anzi a Londra, ma con una maestra italiana, Laura Sarti. E il doppio lavoro: di giorno insegnante di disegno industriale, di sera tenore. Prima della «prima» della Scala, non solo non aveva mai cantato Tristano, ma non aveva mai nemmeno visto l’opera in teatro: «Stare seduto cinque ore? Impossibile, per me. Certo, il Tristano me l’avevano già proposto, ma avevo sempre detto di no. Poi un giorno mi telefonarono: vuoi fare un’audizione con Barenboim? Andai a Berlino e cantai il terz’atto del Tannhäuser, lungo, difficile e duro come il terzo del Tristan. Poi incontrai di nuovo Daniel a Milano, mi guardò negli occhi e mi disse: ok, tu sei Tristano. Ho studiato l’opera per sei mesi, alternando Wagner e la palestra, perché bisogna avere il fisico allenato». E venerdì? Emozione, paura, panico? Macché. Il gigante buono non ha fatto una piega. «Sono un tipo tranquillo, non ho problemi di nervi. Diciamo che mezz’ora prima di cominciare ero un po’ agitato. Barenboim è venuto in camerino e mi ha detto semplicemente: perché sei nervoso? L’opera la sai. Adesso vai fuori e canti». Detto fatto. «La prima della Scala? Mai vista una cosa del genere. Anche se al gala di Palazzo Marino sono arrivato tardi. Dovevo lavarmi per levarmi di dosso il sangue di Tristano». La famiglia? «Moglie e figlio. Ma Jack era influenzato ed è rimasto in Inghilterra, non potevo rischiare il raffreddore. Anche mia moglie non stava benissimo, quindi è venuta, ma dormiva in un’altra stanza». L’uomo è così. Tutti i teatri del mondo, da sabato, gli stanno chiedendo Tristano, sempre Tristano, fortissimamemte Tristano. Lui frena: «Carlo Cossutta (celebre Otello degli anni Sessanta, ndr), che mi consiglia, dice di alternare le opere». Probabilmente, Storey presto sarà anche ricco: quelli wagneriani sono i cantanti più pagati perché sono i meno numerosi, e anche qui la legge della domanda e dell’offerta, come dire?, opera. Ma non si scompone: «Vivo al confine con il Galles, in aperta campagna. E la casa me la sono costruita da solo, con queste mani». Ed ecco spiegate certe foto con vanga e carriola, decisamente poco glam... ALBERTO MATTIOLI