La Stampa 08/12/2007, pag.13, MAURIZIO MOLINARI / GIUSEPPE ZACCARIA, 8 dicembre 2007
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La Stampa 8 Dicembre 2007
MAURIZIO MOLINARI
Kosovo, l’ultimo niet di Mosca. NEW YORK. Monito della Russia contro l’indipendenza del Kosovo mentre Washington si appresta a riconoscerla, assieme a numerosi Paesi europei, e la Nato va verso l’aumento le truppe nel timore di scontri armati fra albanesi e serbi. Da New York a Bruxelles e Mosca è il Kosovo che innesca fibrillazioni diplomatiche a catena. Tutto inizia al Palazzo di Vetro, quando la troika Usa-Ue-Russia rimette nelle mani del Segretario generale Ban Ki-moon un rapporto che suggella il nulla di fatto: non c’è accordo sulla sovranità del Kosovo perché Belgrado e la minoranza serba si oppongono, mentre la maggioranza albanese è pronta a proclamarla da subito.
Il nulla di fatto della troika verrà formalizzato lunedì, quando i kosovari potrebbero procedere unilateralmente nell’applicazione del piano del mediatore finlandese Martti Anthisaari: indipendenza «sotto sorveglianza» con la permanenza dei 16 mila soldati Nato, l’impossibilità di fondersi con altri Paesi, tutele per la minoranza serba e una nuova forza di polizia europea. I leader albanesi di Pristina, gli Usa e gran parte dell’Ue hanno già accettato il piano, ma resta il veto di Mosca, che impedì in autunno all’Onu di adottarlo e torna adesso ad ammonire contro i rischi di questa scelta. Il ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, non ha usato mezzi termini incontrato Condoleezza Rice a Bruxelles: «Accettando l’indipendenza unilaterale del Kosovo la comunità internazionale si avventurerebbe su un cammino molto scivoloso, dalle conseguenze imprevedibili per la stabilità dell’Europa». Mosca parla all’unisono con Belgrado e chiede di «continuare le trattative al fine di trovare una soluzione condivisa», perché teme che «l’indipendenza unilaterale» possa trasformarsi in un «precedente pericoloso» capace di moltiplicare le istanze separatiste in molte regioni russe.
Poche ore dopo il monito di Lavrov, l’ambasciatore russo all’Onu suggerisce l’adozione da parte del Consiglio di Sicurezza di una «dichiarazione del presidente» - l’italiano Marcello Spatafora - per leggere in chiave positiva i risultati della troika, puntando ad allungare i tempi del negoziato. Ma Usa, Francia e Gran Bretagna si oppongono. «Prendere una decisione non nuoce alla stabilità», afferma la Rice, confermando che Washington è pronta a riconoscere l’indipendenza. Il braccio di ferro diplomatico fra Occidente e Russia si somma a quanto sta avvenendo sul territorio: il comandante delle truppe Nato, Bantz Craddock, assicura che «abbiamo i piani per fare fronte al rischio di violenze». Potrebbero essere i serbi ad attaccare i kosovari albanesi o viceversa, oppure Belgrado potrebbe mandare i tank per attestare la sovranità sulla provincia. Proprio l’Alleanza da Bruxelles fa sapere che «potremmo mandare nuovi contingenti», incominciando con un «reparto italiano» che già si trova in area «a fini di addestramento». Sarà l’Italia ad assumere dal 1 gennaio la guida del contingente internazionale e prima l’Ue tenterà, al Consiglio Europeo di mercoledì, una posizione comune: al momento Spagna e Grecia guidano il fronte dei contrari all’indipendenza.
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LA STAMPA 08/12/2007
GIUSEPPE ZACCARIA
Una repubblica tra mafie e truppe Nato. Lungo la vecchia «magistrala», la strada che collega il Kosovo alla Serbia del Sud, gruppi di giovanotti armati si sono fatti fotografare annunciando: «Siamo qui per prepararci a difendere la nostra indipendenza». Una rete tv ha intervistato sulle colline contadini e bovari che aprivano le cantine mostrando arsenali di armi bene oliate lasciate in custodia dalla vecchia guerriglia di Hasim Thaci, per dire: «Siamo pronti a imbracciarle ancora».
A tre giorni dalla seduta dell’Onu e una settimana dal vertice europeo sullo status del Kosovo i segnali che partono dalla maggioranza secessionista albanese si fanno sempre più minacciosi, eppure non tutti credono che Pristina si autoproclamerà indipendente nei prossimi giorni. Forse anche agli ex combattenti converrà aspettare per vedere come funzionerà il «fantoccio Nato». La definizione è nata a Belgrado dove il primo ministro Kostunica continua ad affermare sprezzante che la regione sta per trasformarsi «in uno Stato di proprietà dell’Alleanza Atlantica». Da Bruxelles negano che la Nato «abbia intenzione di possedere alcuno Stato» e si preoccupa solo della sicurezza, però le scadenze paiono tratteggiare una situazione complicata e inedita.
Fra Onu e Ue si succedono vertici, polemiche politiche e scontri di potere, però intanto l’agenda «tecnica» fissa scadenze incalzanti. Fra pochi giorni, a parte il riconoscere o no l’ indipendenza, l’Europa dovrà decidere l’invio di una missione di 1.800 uomini (di cui 1.400 poliziotti) che affiancherà i 16.450 soldati della Nato e soprattutto rileverà l’Unmik, la spedizione dell’Onu. Dal 1999 a dare un quadro di legittimità era la risoluzione 1244, che mise fine ai bombardamenti contro la Serbia e, oltre a escludere l’indipendenza, affidò all’Onu la responsabilità politica del Kosovo. Adesso che l’Onu se ne va, a chi spetta il protettorato?
La base giuridica non esiste ancora, ma il vuoto di potere è impensabile. L’ultimo rapporto della Commissione europea dichiara che in Kosovo «per la mancanza di una politica chiara nella lotta alla corruzione l’illegalità è ancora molto diffusa», che «la composizione del governo non garantisce impazialità», «la società civile resta malata», «la consapevolezza dei diritti delle donne è scarsa» e «ci sono pochi progressi nella lotta al crimine organizzato e al traffico di esseri umani».
Una relazione di 124 pagine commissionata dal governo tedesco sottolinea il dramma usando meno il politichese. Quella kosovara, afferma, «è una società mafiosa basata sulla cattura dello Stato da parte di elementi criminali». Il crimine «consiste in organizzazioni multimilionarie con esperienze di guerriglia e il supporto dello spionaggio», che hanno «legami strettissimi fra i vertici decisionali della politica e la classe dominante criminale», nonchè leaders come Ramush Haradinaj, Hashim Thaci e Xhavit Haliti, «protetti in patria dall’immunità parlamentare e all’estero dalle leggi internazionali».
La giustizia ha almeno 40mila casi criminali non risolti, le inchieste contro la corruzione non sono più di 15 all’anno, la polizia «è dominata da paura, corruzione e incompetenza», l’88% del patrimonio statale è stato «privatizzato», ma la regione vive ancora delle rimesse degli emigrati e il clima per eventuali investitori stranieri rimane fortemente ostile.
A chi toccherà, dunque, governare questa simpatica regione e districarsi fra traffici di uomini e di droga, bande armate, gruppi islamici silenti e pretese d’indipendentismo? Per soppiantare l’organizzazione civile dell’Onu non occorre soltanto legittimazione ma almeno 2 mila funzionari. Gli autori del rapporto avvertono che «l’Ue corre il pericolo di seguire troppo pedissequamente i fallimenti dell’Onu, almeno fino a quando non deciderà un’aperta frattura con i metodi dell’Unmik». In mancanza di tempo, danaro e competenza pare che, per la prima volta nella storia, nei fatti il protettorato spetterà ai militari dell’Alleanza Atlantica.