Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  dicembre 08 Sabato calendario

Un bordello per le strade di Milano. La Stampa 8 Dicembre 2007. Milano. L’altra sera sono andato al cinema e ho assistito a una fellatio

Un bordello per le strade di Milano. La Stampa 8 Dicembre 2007. Milano. L’altra sera sono andato al cinema e ho assistito a una fellatio. Ma non in sala, durante lo spettacolo, bensì fuori, all’uscita. L’atto di sesso orale si è accampato dinanzi ai miei occhi - e a quelli di centinaia di spettatori di tutte le età - all’angolo di una strada cittadina, in zona semicentrale, su un viale di grande circolazione, ben illuminato dalle vetrine di bar alla moda. La ragazzina che nell’abitacolo di un’auto ben in vista dava piacere mercenario a un uomo maturo non era un’attrice di un film osé. Era la vita vera, nuda e cruda. Era lo spettacolo della dilagante prostituzione. Vivo a Milano, in zona Città Studi, nei pressi di Viale Abruzzi, a pochi minuti d’auto dal centro storico e a pochi minuti a piedi da Corso Buenos Aires, la principale arteria commerciale della città. Da tempo Viale Abruzzi è divenuta una delle roccaforti della prostituzione di strada. La novità è che un comitato spontaneo di cittadini, dopo aver protestato energicamente, ha cominciato a filmare gli incontri a luci rosse, aggiungendo gli occhi di telecamere private a quelle già installate dal Comune per scoraggiare il mercimonio sessuale a cielo aperto. Il risultato è stato una ingente mole di materiale pornografico. Gli occhi spalancati delle telecamere, ben lungi dallo scoraggiare la pratica sessuale, hanno prodotto un sovrappiù di eccitata osservazione. Un mucchio di immagini di atti innominabili e intollerabili. Ecco tutto quel che ci resta della sollevazione antiprostituzione degli abitanti del mio quartiere. Un buona metafora di una cittadinanza ridotta al ruolo di spettatore, catturata nella falsa alternativa tra l’inerzia e l’impotenza. Un popolo di guardoni, ipocriti o autenticamente sdegnati, ma comunque guardoni. Ecco quello che siamo di fronte allo spettacolo della dilagante prostituzione di strada. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, passiamo accanto a un vero esercito di prostitute (solo a Milano se ne calcolano più di diecimila). Moltissime di loro sono minorenni. Schiave bambine di negrieri delle carni tenere e bianche. Ragazzine dei Paesi dell’Est in tutto e per tutto simili alle ragazzine dei Paesi dell’Ovest. Le vediamo lì in strada a vendersi in una tenuta da lavoro che non ha più niente dell’abbigliamento madornale e sguaiato della puttana vecchio stile, che nella sua mîse triviale cercava il segno di distinzione rispetto alla donna costumata. No, queste nuove prostitute ragazzine sono pressoché indistinguibili dalla nostre liceali. Ma non si può dire che fingano l’innocenza. Fingono l’innocenza perduta. Le nostre liceali, infatti, ostentano a loro volta - negli indumenti e nelle movenze - un’estrema disinibizione e promiscuità sessuale. Le prostitute si mimetizzano con le liceali e queste con quelle. Noi uomini adulti, uomini dabbene, di giorno scrutiamo con concupiscenza le ragazzine dell’Ovest, poi di notte sfoghiamo le nostre pulsioni represse sui corpi mercenari delle ragazzine dell’Est. Sì, perché la verità è questa: fingiamo di non vedere la condizione di prostrazione in cui versano decine di migliaia di giovani donne che vivono da schiave in mezzo a noi perché noi di quella prostrazione godiamo. Siamo noi i loro clienti. Proprio la settimana scorsa, proprio qui a Milano, sono stati presentati i risultati di una approfondita ricerca sul tema della prostituzione: otto milioni di clienti. Una rilevante fetta della popolazione maschile fissata a uno stadio di sottosviluppo della propria sessualità, a quello stadio in cui l’atto sessuale si colora di una sinistra sfumatura sadica, diventa un esercizio predace di possesso e disprezzo, una richiesta di sottomissione strumentale e, al tempo stesso, una dichiarazione di resa alla frustrazione erotico-sentimentale. E’ questo che fingiamo di non vedere anche quando spianiamo gli occhi delle nostre civiche telecamere sulle strade notturne: il nostro desiderio sessuale ha delle tinte fosche, gli stessi colori nero-violacei che si osservano sulla scena dei moltissimi crimini sessuali contro le donne consumati quotidianamente nel nostro Paese. Ancora un Paese di ipocriti guardoni e di sordidi puttanieri. E allora, si dirà: piantiamola con questa ipocrisia! Riapriamo le case chiuse. Facciamo della prostituzione un mestiere «onorato». Facciamo con le ragazzine dell’Est ciò che andrebbe fatto con le Filippine che vivono in mezzo a noi in clandestinità prendendosi cura delle nostre case e dei nostri vecchi. Legalizziamole, tassiamole, sottoponiamole a controlli medici e di polizia. Non potrebbe considerarsi anche la prostituzione di massa una prima, imperfetta forma di integrazione di popolazioni immigrate?  già pronto un disegno di legge di An che vorrebbe indurci a crederlo. Proprio il Vicesindaco di Milano, e assessore alla sicurezza, Riccardo De Corato, ne è uno dei primi firmatari. Magari lo firmeremo anche noi, magari daremo ragione ai nostalgici dei vecchi bordelli. Ma allora dobbiamo prepararci anche a riconoscere che una legge del genere sancirebbe la fine della modernità in materia di sessualità, il tramonto dell’illuminismo umanistico che per secoli ha sperato nell’emancipazione dalle oscurità individuali e collettive, psichiche e sociali, da quelle tinte fosche che ci avvolgono quando ci chiudiamo con una ragazzina in un abitacolo di un auto per una fellatio a pagamento. E segnerebbe anche il divorzio tra etica e politica, quell’etica kantiana che prescrive di agire in modo che la massima della nostra volontà possa valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale. Una legge del genere, infatti, noi stessi la riterremmo immorale perché non supererebbe il test kantiano della «generalizzabilità». Non la riterremmo, infatti, universalizzabile perché non ammetteremmo che si applicasse a noi stessi. E il test è presto fatto. Si chieda il vicesindaco De Corato: ammetterebbe che, al riparo di questa legge dello Stato italiano, sua moglie e le sue figlie di dessero liberamente e legalmente alla prostituzione? Lo ammetteremo noi per quelle che consideriamo le «nostre donne»? No di certo. Sarebbe una legge che vale solo per «le donne degli altri». Non per l’umanità tutta, ma solo per la subumanità serva dei nostri istinti. Antonio Scurati