Antonio Carioti, Corriere della Sera 13/12/2007, 13 dicembre 2007
La vita media dell’uomo sta aumentando a un ritmo costante di circa un trimestre l’anno e questo andamento continuerà almeno per altri venti-trent’anni
La vita media dell’uomo sta aumentando a un ritmo costante di circa un trimestre l’anno e questo andamento continuerà almeno per altri venti-trent’anni. La vita media delle donne si porterà così a novant’anni e quella dei maschi a ottantatrè-ottantaquattro. Senza fare praticamente nulla di nuovo, se non continuare a lavarsi, a disinfettare gli ambienti, a nutrirsi e a curarsi come abbiamo fatto negli ultimi vent’anni. Questa è già di per sé una prospettiva non irrilevante e non priva di conseguenze, anche per quanto riguarda l’organizzazione della compagine sociale. Non ha senso, d’altra parte, prolungare la vita se non si cerca concomitantemente di viverla mantenendosi il più a lungo possibile in forma, almeno in forma fisica. L’argomento che viene subito in mente a questo proposito è quello dei trapianti e, più in genere, della medicina rigenerativa. Fondamentale per affrontare la maturità e la vecchiaia, stando in una forma accettabile, è la possibilità di sostituire senza eccessivi problemi tessuti e organi danneggiati. Questi possono essere di volta in volta danneggiati per un incidente, per un tumore, per un evento circolatorio avverso, per una malattia degenerativa o semplicemente per l’operato degli anni. Il ricorso a uno o più trapianti dovrebbe divenire insomma domani una pratica ordinaria, piuttosto che un intervento straordinario come è oggi. Per fare questo occorre poter disporre di tessuti e organi in quantità e varietà sufficienti. Ciò non può essere ottenuto che attraverso l’uso delle cellule staminali. Occorre cioè disporre di cellule staminali in abbondanza e di metodiche adatte e affidabili per indirizzare le stesse verso il destino biologico a noi desiderato. Ciò non è ancora alla nostra portata, per tutti i problemi ben noti riguardanti la maniera di procurarsi cellule staminali efficienti in abbondanza e per il fatto, ben più grave, che non si conoscono ancora che pochi trattamenti ai quali assoggettare le cellule stesse per ottenere quei tessuti e quegli organi che ci saranno necessari. Per quanto riguarda in particolare le cellule staminali cosiddette adulte, ci sono laboratori che ci giocano da trent’anni senza risultati apprezzabili. Tutti sono convinti però che nel giro di un paio di decenni la maggior parte di questi problemi saranno superati e si potrà contare così su veri e propri «pezzi di ricambio» biologici ogniqualvolta questo si rivelerà necessario, anche allo scopo cioè di un puro e semplice «ringiovanimento » di qualche parte rilevante del nostro corpo. proprio a questo proposito che non è chiaro se i maggiori avanzamenti verranno dalla medicina o dall’ingegneria e dalle cosiddette nanotecnologie. Se è vero che organi come il fegato o come il pancreas non potranno essere tanto facilmente sostituiti con una protesi ingegneristica, molte funzioni degli organi di senso e, entro certi limiti, nervose, potranno essere espletate da protesi più o meno miniaturizzate e quindi invisibili (...). Recentemente è stato compiuto poi un passo avanti gigantesco anche per quanto riguarda le funzioni esecutive del cervello. Se si impianta un microchip in una data regione della corteccia motoria, si può ottenere che questo amplifichi di molto il debole segnale elettrico che quella produce allorché si mette in atto, o si pensa di mettere in atto, una specifica azione. Il segnale amplificato può essere raccolto e ulteriormente amplificato da un apparecchio esterno che mette poi in moto un congegno a motore. Si può così pensare di aprire la finestra e aprirla effettivamente senza toccarla. Un sistema del genere può avere un’importanza pratica immediata per persone paralizzate (...). Oltre a mantenersi in forma, occorre anche non essere gravati da troppe malattie serie. Appena si pensa a una grave malattia nel mondo di oggi si pensa ai tumori. Su questo versante nei prossimi decenni ne vedremo delle belle, anche se non è proprio il caso di cedere a eccessivi entusiasmi. I tumori sono un complesso di patologie, piuttosto che una patologia singola, e si ripresenteranno sempre finché ci saranno esseri viventi. Soprattutto esseri che vivono a lungo. Si possono prevedere e curare, ma non estirpare. Occorre quindi prepararsi a una lunga battaglia. In questa battaglia potrebbero entrare a pieno titolo alcune delle ultime conquiste delle cosiddette nanotecnologie. A tal proposito si parla sempre più spesso di nanovettori e nanosonde da inviare all’interno del nostro corpo. Si possono oggi costruire nanoveicoli delle dimensioni di qualche decina di nanometri – miliardesimi di metro o milionesimi di millimetro – che possono entrare nella nostra circolazione sanguigna e addirittura dentro le cellule. Questa impresa può avere due finalità: portare un farmaco fino nel cuore della cellula, e in questo caso si parla di nanovettori, oppure inviare una nanosonda a «dare un’occhiata» a quello che sta succedendo dentro una cellula, per poi farcelo «raccontare». Uno degli obiettivi principali dell’uso delle nanosonde è proprio quello della diagnosi precoce dei tumori. Per nostra fortuna, questi ultimi nascono per lo più assai piccoli: un gruppetto minuscolo di cellule perde il controllo della propria moltiplicazione e comincia a espandersi in maniera sregolata, a danno delle cellule normali circostanti. Per secoli ci siamo accorti dell’esistenza di un tumore soltanto quando questo aveva raggiunto una massa considerevole. La moderna biologia molecolare ci mette invece in condizione di rilevare l’insorgenza di un tumore quando questo è ancora piccolo o piccolissimo. Se riuscissimo in questo intento, nessun tumore rappresenterebbe più un pericolo. Gli strumenti biologici per far questo esistono, perché sappiamo con una certa precisione che cosa caratterizza la cellula divenuta tumorale rispetto a tutte le altre. Il problema è piuttosto quello di rilevare un segnale cellulare straordinariamente debole sullo sfondo di un organismo vivente composto di decine di migliaia di miliardi di cellule. Non sappiamo, al momento, se questo problema sarà risolto con strumentazioni globali sempre più sensibili e selettive o se si ricorrerà proprio alle nanosonde, strumento impensabile fino a qualche anno fa. La prospettiva è affascinante e, secondo, qualcuno inquietante. Oltre a mandare satelliti e shuttle nello spazio extraterrestre, l’uomo si accinge a inviare «navicelle» miniaturizzate all’interno delle singole cellule del proprio corpo. Tali nanosonde potrebbero viaggiare nel torrente sanguigno, uscire da questo e penetrare agevolmente in una nostra cellula, se non nel suo nucleo, per rilevare con opportuni nanosensori la presenza di sostanze dotate di significato diagnostico. La navicella microscopica in questione potrebbe anche portare farmaci in loco, oltre che spiare che cosa sta succedendo in questa o quella cellula. Data la loro potenziale versatilità, qualcuno ha già battezzato nanorobot queste navicelle attrezzate per compiere diverse funzioni in maniera semiautomatica (...).