varie, 12 dicembre 2007
CATALANOTTI
CATALANOTTI Bruno Tripoli (Libia) 22 novembre 1939. Avvocato • «’Se quest’uomo ti interroga, non rispondere, perché se ti piace il comunismo sei illegale e lui lo sa”. Una mattina di primavera del 1977 il giudice istruttore Bruno Catalanotti uscì dalla sua casa in Largo Caduti del Lavoro e si accorse che la strada, e i portici, e l’intera Bologna erano tappezzati di manifesti con la sua immagine. ”Katalanotti” su tutti i muri, con il K, in genere associato ai più famosi Kossiga, Pekkioli, Kappler. Lui era un giudice poco più che ragazzino, aveva 36 anni, gli erano toccate le inchieste sui ”fatti di marzo”, l’omicidio dello studente Francesco Lorusso, ucciso dalla fucilata di un carabiniere, gli scontri di piazza, le indagini sul Movimento. Era diventato il nemico pubblico di un’intera generazione, in quegli anni poi. [...] Dopo anni blindati, la scorta sul pianerottolo e la pistola in tasca, Catalonotti abbandonò la magistratura. Oggi fa l’avvocato, si divide tra Bologna e Milano, ogni tanto qualcuno lo tira ancora in ballo nelle rievocazioni di quell’anno, il suo è un nome evocativo. ”Le aggressioni a livello personale, quelle vere, sono tutt’altra cosa. Io sono stato il primo, dopo di me c’è stato Pietro Calogero per la sua inchiesta su Autonomia operaia; in anni recenti è toccato a Giancarlo Caselli, forse a Ilda Boccassini. Minacce continue, telefonate anonime, volantini e poca, pochissima solidarietà da quelle comunità e istituzioni che un giudice aspira a rappresentare e difendere”. A lui toccarono due manifestazioni da diecimila persone sotto casa. La seconda pochi giorni dopo aver fatto arrestare il carabiniere che aveva ammazzato Lorusso. ”Mi attendevo almeno il riconoscimento dell’equidistanza: indago su di voi, per quel che avete fatto in città, ma ho identificato e messo in manette chi ha ammazzato uno di voi, un rappresentante delle forze dell’ordine, per di più”. Invece, ”Katalanotti/Kappler”, in diecimila sotto le finestre di casa, e nelle piazze di Milano, Roma, Padova. ”[...] All’epoca non venne tutelata la mia dignità personale, agivo in assenza di uno Stato, le istituzioni latitavano. Due o tre pacche sulle spalle di qualche collega, fu tutta la solidarietà che ricevetti. [...]”. Si definisce un laico moderatamente di sinistra, cresciuto leggendo il Mondo di Pannunzio. [...]» (Marco Imarisio, ”Corriere della Sera” 24/4/2006).