Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  dicembre 10 Lunedì calendario

Branson, il pilota hippy in volo sulle macerie della Northern Rock. Affari & Finanza La Repubblica 10 dicembre 2007

Branson, il pilota hippy in volo sulle macerie della Northern Rock. Affari & Finanza La Repubblica 10 dicembre 2007. Lo chiamano l’ imprenditore capellone, ma anche l’ hippye, il ribelle e il vanitoso. Ha attraversato l’ Atlantico a vela, ha fatto il giro del mondo in mongolfiera e vuole portare passeggeri, a pagamento, sulla luna. La sua conglomerata si chiama "Virgin", ma negli affari non usa modi da educanda: quando vuole qualcosa, usa ogni mezzo per impossessarsene, e generalmente ci riesce, come testimoniano le 360 aziende del suo impero, che comprende di tutto, dalle linee aeree ai telefonini, dalla grande distribuzione alla musica. Adesso sta cercando di aggiungere un altro gioiello alla sua corona, l’ unico che forse gli mancava: una banca. E’ una scommessa pericolosa, ma senza il rischio, per Richard Branson, gli affari non sono affari. Non è ancora chiaro come andrà a finire la sua offerta d’ acquisto per la Northern Rock, l’ istituto di credito specializzato in prestiti per le case, messo in ginocchio il mese scorso dalla crisi dei "subprime", i cosiddetti mutui troppo facili, scatenando la prima corsa agli sportelli di una banca in un secolo e mezzo in Inghilterra. Salvata da un’ infusione di contante, con gli interessi, dalla banca centrale, la Northern aspetta un nuovo assetto proprietario. Fra mezza dozzina di offerte, il governo e il consiglio d’ amministrazione hanno scelto quella di Branson, pronto a ripagare allo stato 11 dei 25 miliardi di sterline dati alla banca, e a rimetterla in piedi senza licenziamenti di massa. Ci sono ostacoli e resistenze, da parte degli azionisti, che forse vorrebbero più soldi, e del mercato, che continua a tremare: i risparmiatori, non fidandosi più di nessuno, ritirano 200 milioni di sterline al giorno dalle casse della Northern, che entro un paio di settimane potrebbe ritrovarsi con i propri depositi dimezzati. Se va avanti così, insomma, fra non molto l’ imprenditore capellone potrebbe scoprire di avere rilevato un guscio vuoto, ovvero una banca senza correntisti. Ma intanto la sua offerta lo ha riportato sulle prime pagine dei giornale e al centro dell’ attenzione: un ruolo che sicuramente gli piace. E in cui si ritrova spesso, fra business, beneficenza e clamorose sfide sportive. Perché Branson appartiene alla schiera dei capitalisti intenzionati a cambiare il mondo, possibilmente in meglio: somiglia, in questo, un po’ a Bill Gates. Con la vistosa differenza che mentre Gates è un introverso che rifugge dalle luci della ribalta e preferisce operare nell’ ombra, lui adora la pubblicità. Positiva o negativa, poco importa, purché si parli di Richard Branson. E quanto se ne parla. Il settimanale americano Time lo ha messo quest’ anno nell’ elenco dei cento uomini più influenti del pianeta. La graduatoria annuale del Sunday Times sui più ricchi del Regno Unito lo piazza attualmente all’ ottavo posto, con un patrimonio di 4 miliardi di sterline, circa 6 miliardi di euro: e fra quelli davanti a lui in classifica ci sono russi, indiani e sceicchi arabi. Ma anche se fosse possibile trovare un uomo d’ affari inglese più ricco di lui, è impossibile trovarne uno più stravagante e caratteristico. Nessuno ci avrebbe scommesso, quando era un bambino alle prese con la dislessia che rimediava pessimi voti a scuola. Un ragazzino della classe media, cresciuto negli sterminati sobborghi di Londra, poco studioso e un po’ birbante. Nello sport, però, se la cavava bene: era il capitano della squadra di calcio, di rugby e di cricket della sua scuola. E aveva anche, in questo era precoce, lo sbuzzo per gli affari. A quindici anni aveva già lanciato le sue due prime imprese economiche: un terreno su cui far crescere abeti da vendere come alberi di Natale e un giornaletto indirizzato agli studenti. Fallirono entrambi dopo poco tempo, ma il suo destino era segnato. L’ anno dopo, sedicenne, Richard lasciò la scuola e si mise a lavorare a tempo pieno. Il suo obiettivo era fare soldi, tanti: non dovette attendere troppo per realizzarlo. Il primo centro lo fece con un postalmarket, un catalogo di vendite postali. Il secondo con il commercio di dischi usati, ma in buone condizioni, che vendeva dal bagagliaio della sua automobile. Quindi aprì un negozio di musica su Oxford street, una delle strade londinesi dello shopping: nel cercare il nome giusto con gli amici si orientò su "Virgin", perché, come amava ripetere, lui e i suoi soci erano "tutti vergini in materia di business", non ne sapevano molto. Ma avevano fiuto, evidentemente. Dal negozio passò alla fondazione di una piccola casa discografica con lo stesso nome, Virgin Records. La sala di incisione era la stalla di una piccola fattoria dove era andato ad abitare. Era il periodo tra la fine degli anni Sessanta e l’ inizio dei Settanta in cui esplodeva la Swingin London, la Londra del rock, dei capelli lunghi, delle minigonne, in cui tutto pareva possibile. Uno dei primi artisti che vennero a incidere nello studio di Branson si chiamava Mike Oldfield: il suo album, intitolato "Tubular Bells", balzò in testa alle hit parade internazionali diventando uno dei simboli dell’ epoca: molti di quelli che avevano allora vent’ anni non lo hanno più scordato. Poi di cantanti e gruppi a firmare per la Virgin Records ne arrivarono tanti altri, dai Sex pistols ai Genesis, da Peter Gabriel ai Simple Minds e ai Rolling Stones. Via via, il marchio Virgin finiva su catene di negozi, compagnie aeree, società di comunicazioni. Più avanti è stato il turno dei telefonini. L’ impero degli affari, tuttavia, era solo un aspetto di Branson. Di pari passo ci sono state le sfide sportive: la traversata più veloce dell’ Atlantico in barca a vela, dopo che un primo tentativo finì con la barca rovesciata, lui mezzo affogato e un salvataggio d’ emergenza con gli elicotteri della Raf. Quindi i record in pallone aerostatico: l’ Atlantico, il Pacifico, il giro del mondo. Branson sembrava non avere paura di niente. Intanto la regina lo ha nominato baronetto, la Thatcher lo ha considerato un fedele conservatore quando era al potere, ma quando al potere c’ è arrivato Tony Blair si è scoperto che Branson pende più dalla parte dei laburisti, pur ammettendo che secondo lui non ci sono più vistose differenze, specie in politica economica, fra destra e sinistra. Non credeva all’ effetto serra, una conversazione con Al Gore lo ha trasformato in un ecologista convinto: e ora, insieme ad Al Gore, Nelson Mandela, Desmond Tutu, Jimmy Carter, Kofi Annan, fa parte di un gruppo chiamato "The Elders" (Gli Anziani sebbene lui in mezzo agli altri membri sembri un ragazzo) che si occupa dei problemi del pianeta. Ha inventato un premio da 25 milioni di euro, la Virgin Earth Challenge, da destinare a chiunque inventerà un sistema per rimuovere la coltre di gas nocivi che circonda la terra. Comunque, anche se salterà fuori un inventore simile, a Branson un mondo solo sembra troppo poco: così ha lanciato anche, insieme al cofondatore della Microsoft Paul Allen, la Virgin Galactic, una compagnia di navi spaziali con cui aspira a portare i primi passeggeri attorno alla terra e magari anche alla luna. Prezzo del biglietto, 200 mila euro a testa. Coi suoi lunghi capelli biondi (tinti), l’ aria da eterno giovanotto (ma ha 57 anni), una motocicletta fiammante sotto le gambe, una seconda moglie e una nidiata di figli, Richard Branson è l’ emblema del capitalista del ventunesimo secolo: l’ imprenditore che ama il rischio ma ha il cuore buono, il businessmen altruista ma spericolato, l’ uomo che nella sua scuderia vorrebbe avere tutto. Anche una banca. ENRICO FRANCESCHINI