La Repubblica 07/12/2007, pag.38 EDMONDO BERSELLI, 7 dicembre 2007
Quando una canzone vola in tutto il mondo. La Repubblica 7 dicembre 2007. Ma come è possibile che la canzone più provinciale, più familista, più sfacciatamente italiana sia diventata una specie di aria internazionale, anzi globale, e per di più eterna, immodificabile, riconoscibile al primo verso, che si intitoli "Mamma" o "Mutter", "Mama" "Maman"? Si capisce tutto a leggere il libro di Sabina Ambrogi Mamma
Quando una canzone vola in tutto il mondo. La Repubblica 7 dicembre 2007. Ma come è possibile che la canzone più provinciale, più familista, più sfacciatamente italiana sia diventata una specie di aria internazionale, anzi globale, e per di più eterna, immodificabile, riconoscibile al primo verso, che si intitoli "Mamma" o "Mutter", "Mama" "Maman"? Si capisce tutto a leggere il libro di Sabina Ambrogi Mamma. Alle origini di uno stereotipo italiano (Donzelli 160 pagine, 16 euro, oggi in libreria), dedicato alla «canzone più famosa di C.A. Bixio», sulla base delle testimonianze dei figli di Bixio, Carlo e Franco. Intanto però non bisogna farsi ingannare dal sociologismo del sottotitolo, così modernamente accademico. Quello che è strepitoso è il racconto. Svelto, ma pieno di sfaccettature e di intuizioni: è una biografia di Cesare Andrea Bixio (1896-1978), napoletanissimo autore di una serie sterminata di canzoni che hanno davvero fatto epoca, dal Tango delle capinere a Lucciole vagabonde, da Portami tante rose a Parlami d´amore Mariù. Come pure il ritratto di quella lunga età fatta di salotti, pianoforti, signorine educate, ottime cose di pessimo gusto, nonché di chanteuse e di peccati nascosti dal separé al tabarin. Una storia della musica, e la storia di una mentalità, dei piaceri borghesi, in interni domestici che all´improvviso si espandono verso il mondo. Se ci si ferma alla sociologia, si può condividere l´idea dell´autrice secondo cui «il "fatto sociale" nella canzone Mamma è l´identità italiana costruita sulla figura materna». Ma si può preferire la ricostruzione dell´avventura artistica di Bixio, amico di Totò e dei De Filippo, musicista autodidatta, autore della sua prima canzone a 13 anni, precocemente rivale del grande E.A. Mario, mitologico autore della Leggenda del Piave. L´autodidatta Bixio avrebbe trovato «la sua metà artistica stabilita dal destino» nel versificatore Bixio Cherubini, in un incastro inpenetrabile ma pienamente risorgimentale di nomi e cognomi. Senza mai abbandonare del tutto la venerata Napoli, Bixio è a Milano agli inizi dell´era fascista, dove impianta la sua attività di imprenditore, con la sua "C.A. Bixio Edizioni": mentre sforna successi uno dietro l´altro, si lega artisticamente alla soubrette francese Mistinguett, che gli fa respirare aria parigina. Ah, Parigi, città di incanti: d´altronde la sua specialità è sempre stata quella di reinventare fondali da canzonetta, luoghi esotici da cartolina, capaci sempre di accendere la fantasia popolare: «Laggiù nell´Arizona, terra di sogni e di chimere…», e «Suona solo per me, o violino tzigano», ovviamente tra profumi preziosi, immagini femminili di seduzione appena accennata, risonanze di una suggestione che è certo virata sul kitsch, ma in sintonia perfetta con il gusto popolare, e insomma con il mercato. Sicché quando esplode l´eco di Mamma, Bixio è già un autore di eccezionale successo. Manca solo un film, diretto da Guido Brignone, interpretato dalla star Beniamino Gigli: siamo nel 1941, e nella finzione il grande tenore torna carico di successi da Oltreatlantico. Il più convenzionale dei piroscafi, bella gente nelle sale, gola spiegata fra i passeggeri ammirati, «solo per te la mia canzone vola», con uno sguardo adorante alla moglie americana presumibilmente viziata. A casa, la vecchia madre Emma Grammatica, quindi una storia di quasi adulterio e di mille tormenti, con il lieto fine e la canzone che echeggia ancora al capezzale della madre finalmente morente e finalmente soddisfatta. Tre bambini per coronare il feuilleton. Micidiale o no? Sarà pure vero che ad ascoltare parole come «sento la mano tua stanca: cerca i miei riccioli d´or; sento, e la voce ti manca, la ninna nanna d´allor», si condivide con l´autrice il giudizio secondo cui «la lingua della "canzonetta" era almeno cinquant´anni indietro rispetto alla poesia», e ci sarebbero voluti i rivoluzionari borghesi della cosiddetta scuola genovese, i Tenco, Lauzi, Paoli, De Andrè, per far volare gli stracci della convenzione morale e della tradizione stilistica. Di fronte a questo tripudio di retorica nell´esordio degli anni Quaranta, mentre la guerra sta per portare alla catastrofe Mussolini e le fiduciose mamme del regime, ci si può consolare con la scoperta che forse per la prima volta, in quanto canzone, Mamma non è soltanto un oggetto di intrattenimento musicale, ma un autentico «prodotto moderno di consumo», declinato secondo un marketing ancora sommario, ma realizzato a tappeto attraverso i dischi a 78 giri, la radio, il film, le sale da ballo. Albori di un´industria, creata attraverso quella «lingua che proviene dalla romanza», che ha fatto tesoro di tutta la musicalità napoletana, ha attraversato il teatro di varietà e il café chantant, ha conosciuto Salvatore Di Giacomo e Gabriele d´Annunzio. E si capisce allora perché Mamma sfiora l´immortalità: perché è un punto dove si incrociano il passato e il futuro, e dove il sogno di una vita ritirata in campagna, come nel film con Gigli, esorcizza l´America più ruggente, facendo balenare agli occhi del nuovo mondo, emigrati compresi, un sogno dell´Italia, un´oleografia della penisola com´era vista dagli americani: sole, musica, mamme, chitarre e tenori. Uno stereotipo, per l´appunto, fortissimo come quello della mamma italiana. Eppure ci dev´essere qualcosa di misterioso e di evocativo, una forza viscerale in quella canzone, perché Mamma non si trasfigura nel tempo solo in seguito alle decine di interpretazioni degli artisti italiani (si possono ricordare Carlo Buti, Achille Togliani, Claudio Villa, e anche Nunzio Gallo, che in epoca di televisione incipiente trionfò al concorso intitolato alle "Canzoni della fortuna", senza dimenticare Luciano Pavarotti, che incise un disco intero dedicato alle "romanzine" di Bixio). Sicché non ci si stupisce se l´interpretazione di Mamma diventa anche una hit song in America, rifacendo a ritroso il viaggio di Beniamino Gigli, con la voce dell´italo-americana Connie Francis. E qui c´è l´evento, il cortocircuito che sintetizza e simboleggia tutta una storia: perché un giorno fatale, mentre Connie Francis si esibiva con il suo spettacolo a Las Vegas, seduto in prima fila con i suoi musicisti c´era Elvis Presley: «Durante l´appassionata esecuzione di Mama si sciolse in un pianto dirotto poiché aveva da poco perso la madre, fuggì via abbandonando la sala, prima che la Francis avesse terminato di cantare». La vicenda finisce in gloria con due dozzine di rose rosse spedite da "the Pelvis" all´amica, accompagnate da una lettera di scuse. Ma non finisce la storia di Mamma, che Connie Francis avrebbe cantato anche in una versione ibrida, metà in italiano e metà in inglese. Non si esaurisce quel qualcosa di mitico-magico che forse apparterrà al «potere abietto delle canzoni», secondo Pier Paolo Pasolini, e che porta la commozione di Mamma a farsi sentire anche in francese, spagnolo, portoghese tedesco, olandese e anche fiammingo: perché di mamma ce n´è una sola, ma si può invocarla in tutte le lingue del mondo. EDMONDO BERSELLI