Vari, 12 dicembre 2007
VARI SOCIETA’
La Repubblica 8/12/2007.
ALBERTO STATERA
Foto impietosa.UN´OFFERTA politica «taroccata» che cala su un paese afflosciato in una «poltiglia di massa», in una «mucillagine sociale», una «paccottiglia di coriandoli» senza orientamento collettivo.
Quasi una nuova malattia dell´anima che ha colpito il paese. Si sa, Giuseppe De Rita è sempre stato lessicalmente immaginifico, ma quest´anno nel quarantunesimo rapporto del Censis, ogni parola, ogni immagine, ogni neologismo concorre a dipingere un´antropologica inclinazione al peggio proprio dell´uomo che era stato il cantore della «molecolarità» come forza di sviluppo economico, imprenditoriale, civile.
Non è solo una «botta di malumore», come De Rita la definisce lamentando gli acciacchi della sua schiena, ma «la conoscenza del peggio», come la chiama Manlio Sgalambro, fino a giungere alla conclusione che «l´intera società civile non è meglio della sua politica né della sua economia». Ciò che da tempo sospettavamo, ma che il Censis aveva sempre addolcito rifiutandosi all´innamoramento per il «declinismo» dell´intero paese.
La vulnerabilità delle famiglie, la litigiosità patologica (non più: «papà non mi hai capito», ma «papà sei uno stupido»), lo sballo dei giovani, il bullismo, la scuola che non insegna e il dileggio degli insegnanti; la scorrettezza dilagante in tutti i campi, dall´economia agli ospedali, fatta di astuzie, illegalità, connivenze, in un paese ormai troppo indulgente con sé stesso; la criminalità organizzata, con cui vive a braccetto il 77 per cento della popolazione di quattro regioni meridionali e il 22 per cento dell´intera popolazione italiana; la volgarità della politica giunta ormai al «vaffanculo». Ecco la fotografia di un corpaccione psicologicamente debole, ormai antropologicamente incapace di «fare tessuto sociale», con un´esclusiva vocazione all´impulso, non più alle passioni.
Il Censis della «nuvola nera» che ci sovrasta alla fine dell´anno «di disgrazia» 2007 documenta con i numeri interpretati da Giuseppe Roma l´umor nero di De Rita.
Quattrocentomila famiglie in difficoltà, 100 mila insolventi, l´occupazione che aumenta, ma non i salari, lasciando a casa le donne, con un tasso di occupazione femminile che ci pone al ventisettesimo posto in Europa, dopo la Grecia; i laureati che vanno all´estero, 12 mila in un anno: prima era la fuga dei cervelli, adesso semplicemente la fuga; i pendolari che aumentano di milioni e maledicono le strade intasate e il trasporto pubblico da terzo mondo. E la politica che raccoglie la sfiducia – ed è dir poco – dell´85,9 per cento degli italiani.
Qualcuno crede forse veramente nelle nuove formazioni nascenti, il Pd di Veltroni, il Pdl di Berlusconi, la Cosa Bianca, la Cosa Rossa? No, perché l´offerta politica taroccata «ruota nella banalità» e perché è improbabile riproporsi come chi vuole impostare un processo complessivo: da una parte il vecchio schema cattocomunista, dall´altra il populismo deteriore, il populismo di piazza alla Chavez. Ma così – vaticina De Rita – il popolo non lo prendi perché, parafrasando la psicanalista viennese Melanie Klein, si può dire che è in corso un´inversione del processo di simbolizzazione, una «de-sublimazione» dei grandi riferimenti simbolici: la patria diventa interesse collettivo più che identità nazionale; la religione religiosità individuale; la libertà imperfetto possesso di sé; il popolo moltitudine di massa; la famiglia contenitore di soggettività a moralità multiple; la ragione «petit raison»; il lavoro un optional rispetto all´arricchimento facile; l´etica e la cultura un fastidio. Nella povertà psicologica, la gente aspira soltanto alla «presenza», al momento glorioso della «piece».
Ma non c´è proprio nulla che si salva in questa vischiosità mucillaginosa sotto la nuvola nera del Censis 2007? Sì, c´è. C´è il «silenzioso boom» della «minoranza industriale»: cresce l´export manifatturiero, il fatturato delle imprese, la salute dei conti aziendali, cresce il Pil, cresce l´economia reale e l´orgoglio imprenditoriale rispetto alla politica e anche alla finanza. Ma questa minoranza industriale forte – eppur lamentosa – non riesce ad essere trainante a far «percolare», a far filtrare lo sviluppo nel sistema, innescando diffuse energie collettive nella poltiglia di massa.
E´ vero che i big players si sono mossi verso clamorose concentrazioni: nel solo sistema bancario la quota di mercato detenuta dai primi cinque gruppi, con l´incorporazione di Capitalia da parte di Unicredit e con l´acquisizione dell´Antonveneta dal Monte dei Paschi, è passata in un anno dal 45 al 53 per cento, come è capitato nel sistema assicurativo, dove la quota dei primi cinque gruppi nel ramo danni è cresciuta dal 68 al 73 per cento.
Ma De Rita si chiede se il processo di concentrazione del potere, che è in corso anche tra i big players industriali con le acquisizioni dell´Eni e dell´Enel, ha effetti positivi sul segmento finale del circuito economico, cioè le famiglie. Perché l´impressione è invece che sia soltanto un risiko tra grandi gruppi, roba tra Profumo e Passera, tra Conti e Scaroni, che per ora non ha portato recuperi di efficienza nel sistema bancario, né in quello energetico. D´altra parte, Moretti Polegato e Della Valle sono bravissimi, con Geox e Tod´s producono bene le scarpe, esportano, fanno un sacco di soldi, come tanti altri loro colleghi in tanti settori, ma non sanno farsi minoranza trainante.
Cos´è quello di De Rita, un invito a Luca Cordero di Montezemolo a fondare la sua «Cosa» politica, di fronte alla banalità dei progetti di nuovi partiti a destra e a sinistra? Troppo semplice. Tanto più – aggiunge – che «le minoranze ci salveranno se non vorranno diventare maggioranze».
Antico cantore dei «coriandoli», De Rita invoca piuttosto tante minoranze vitali come quella imprenditoriale, una loro moltiplicazione per affrontare quel «monstrum alchemicum» che il benessere piccolo borghese ha creato e che ci rende poco vitali, impotenti, come di fronte a una generale entropia della società. E a supporto della sua idea di minoranze cita Leopardi del 1924: in Italia non c´è e non ci sarà vera civiltà perché non abbiamo «coscienza stretta».
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Il Sole 24 Ore 8 dicembre 2007.
Rossella Bocciarelli
L’Italia non è in declino ma resta ingessata. La ripresa c’è, il boom silenzioso continua, il Paese non declina. Ma, intanto, sembra essersi giocato l’anima e la società pare quasi ridotta a poltiglia.
«C’è il debito pubblico a pesare come un macigno non solo sui conti, ma anche sulla libertà psicologica dei cittadini, i quali sanno di pagare ogni anno interessi per decine di miliardi di euro, sottratti alla loro voglia di fare», afferma il Rapporto Censis.
E per la prima volta, in più di quarant’anni di istantanee del costume degli italiani, il rapporto, invece di elogiare soprattutto l’effervescenza e la vitalità della società civile, non nasconde affatto la delusione e la preoccupazione per la crisi dei valori, al termine di un anno nel quale, come osserva Giuseppe De Rita nell’introduzione, «non ci è stato risparmiato niente» con evidente riferimento anche all’overdosedi cronaca nera e di racconti gotici trasmessi a ciclo continuo dai tg negli ultimi mesi.
Così nella società italiana del 2007 c’è una minoranza, ben collegata al resto del mondo e in grado di giocare il gioco della globalizzazione, che è vitale e fautrice di una ripresa «ormai da tempo provata da un’apprezzabile crescita degli indici di fatturato industriale e del terziario e dalla crescita sostenuta delle esportazioni». Inoltre, il Rapporto mette in evidenza l’emergere di nuovi protagonisti nell’industria e nella finanza, come i famosi "big players" del credito nati dalle fusioni bancarie.
Dall’altro lato della società, però, c’è una maggioranza che spesso e volentieri dà il peggio di sé, compresi gli aspetti di degenerazione antropologica (la violenza in famiglia, l’aggressività come modalità quotidiana d’espressione). Compreso il dato di fatto, sul quale sembra scesa una sorta di fatale rassegnazione, che il 22% della popolazione si trova a vivere in Comuni nei quali è rilevante il fenomeno della criminalità organizzata. «In ogni settore – afferma il Rapporto – è tutto un tessere di astuzie, piccole illegalità, convivenze. Salvo poi, con l’esercizio antico di una doppia morale, scandalizzarsi per furberie più altisonanti. Perché l’Italia continua a essere un Paese troppo indulgente con se stesso». Insomma, si rischia l’inerzia, la perdita di vitalità, perché poco di quella cultura innovativa delle minoranze filtra verso la società di massa. Che, nel frattempo, si arrangia come può.
Consumatori selettivi e low cost
Dato il persistente ristagno del reddito disponibile, ad esempio, la gente cambia modello di consumi. Ormai c’è poca voglia di consumare sempre e comunque qualunque cosa venga proposta; anche se, ricorda il Censis, gli italiani, prendendo l’onda dei prezzi rapidamente decrescenti, sono stati tempestivi nel massificare consumi innovativi: le apparecchiature e i servizi per la telefonia sono cresciuti di quasi il 50% in termini reali nel periodo 2001-2006 e l’86,4% della popolazione italiana ne possiede; una percentuale che si è molto avvicinata a quella di chi possiede un televisore (92,1). Nei primi tre mesi del 2007, 5 milioni di utenti hanno speso oltre 91 milioni di euro per comprare musica, giochi e videoclip scaricati direttamente sul cellulare.
Del resto pur all’interno di uno stile molto più selettivo i consumi hanno ripreso a crescere: +1,6% nel 2006 e +2% nel 2000. Però il potere d’acquisto dei salari è quello che è. E allora vai con la vita low cost: si comprano i mobili all’Ikea, ci si assicura online, si vola Ryanair, ci si veste all’outlet e così via.
Le spine del lavoro
Quanto al lavoro, si sa, è più flessibile che nel passato, anche se il tasso di flessibilità di quello giovanile continua in Italia ad attestarsi ancora al di sotto della media europea. «Quella che invece appare come un’insopportabile eccezione del caso italiano – osserva il Rapporto – è che i giovani costituiscano, anche grazie al carattere prevalentemente temporaneo dell’occupazione, una quota estremamente significativa nei flussi di uscita dal mercato».
L’anno scorso infatti su 902mila lavoratori, che si sono trovati senza occupazione perché l’hanno persa o perché si sono ritirati dal mercato del lavoro, più di 346mila erano persone con meno di 34 anni (38,4%) e il 22,2% dai 35 ai 44 anni. Ma attenzione, sottolineano gli esperti: non sono gli aspetti di flessibilità del lavoro a incidere sulla precarietà (oltretutto la flessibilità non è sempre subita: anzi, il 30% di chi ha un lavoro a termine non vuole la stabilizzazione). Quello che conta, ai fini della precarietà, è la qualità del lavoro, cioè l’assenza di opportunità occupazionali qualificate, all’altezza della maggiore formazione che i giovani di oggi hanno rispetto ai loro padri.
Italia ciao
Il risultato è che chi può, di fronte a tutte le difficoltà e alla scarsa mobilità sociale che oggi caratterizzano il Sistema Italia, sceglie di intraprendere il proprio percorso di studio e di lavoro al di fuori dei confini patri. «La sensazione che emerge – dicono gli esperti – è che flussi sempre più consistenti di italiani si stiano ormai indirizzando e riorganizzano le proprie strategie di sviluppo di business e di investimento all’estero». Nel 2006 erano iscritti in facoltà estere 38.690 studenti.
Non basta: nel 2006 erano 12mila il laureati che lavoravano all’estero e e gli italiani che hanno trasferito la propria residenza in altre nazioni sono arrivati a quota 75.230 (di questi, il 42% ha meno di 34 anni). Le nuove generazioni, insomma, emigrano: spesso infatti lo studio all’estero è l’inizio di un percorso esistenziale e professionale lontano dall’Italia.
Come cambia il Paese
Di fronte alla crisi economica, le famiglie si rivolgono al low cost e trovano nuove strategie per i consumi. Privilegiano il credito al consumo (che è aumentato del 78% dal 2000 al 2006) ma non per la spesa quotidiana, piuttosto per l’acquisto della macchina o per il viaggio all’estero. Al supermercato si scelgono marche non note, si privilegia la grande distribuzione rispetto al negozio sotto casa. Gli acquisti, le assicurazioni, si fanno sempre di più online. Anche i biglietti aerei si cercano su internet e si confrontano le offerte più convenienti
60%
GLI ITALIANI A BASSO CONSUMO
Sono più della metà gli italiani che utilizzano o utilizzerebbero i servizi o i beni low cost. Non solo i voli aerei, ma anche prodotti a basso costo, sotto marca, privilegiando gli acquisti nella grande distribuzione
Occupazione e flessibilità
Più flessibilità. Cresce il numero degli accessi al lavoro (+1,5% tra il 2004 e il 2006) con un boom tra i giovani (+6,7% tra coloro che hanno tra i 25 e i 34 anni) e nella fascia dei 35-44enni (+7,3%) mentre faticano i giovanissimi (-3,6%) tra i 15 e i 24 anni. Maggiore, rispetto al passato, il ricorso ai contratti a progetto passati dal 7,3% del 2004 all’8,7% del 2006. Negli ultimi due anni si è registrato un aumento dei lavoratori a termine
75.230
GLI ITALIANI EMIGRATI ALL’ESTERO
Il numero di studenti e lavoratori emigrati è aumentato del 15,5% rispetto all’anno precedente. Un fenomeno di neo-migrazione trasversale che è destinato a crescere
La corsa multimediale
Il telefonino verso il sorpasso della tv. Il numero di telefonini continua a crescere e incalza ormai quello delle tv presenti nelle case. Quest’anno l’indice di penetrazione dei cellulari ha raggiunto quota 86,4%, a un passo da quello della tv che si attesta al 92,1 per cento. I telespettatori però crescono rispetto al 2006 (dal 94,4% al 96,4% della popolazione) e guadagnano peso digitale e satellite. Gli utenti Internet sono il 45,3% della popolazione (l’85% dispone di connessione a banda larga
53%
ATTITUDINE ALLA LETTURA
I lettori abituali, quanti hanno letto almeno tre libri nel corso dell’anno, sono passati dal 39,4 al 52,9 per cento. E il 59,4% di italiani ha letto almeno un libro nel corso dell’anno. A favorire il fenomeno le promozioni editoriali e le vendite abbinate di libri e giornali
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IL SOLE 24 ORE 08/12/2007
Franco Locatelli
Minoranze attive oltre le suggestioni. Poltiglia di massa e mucillagine. Questo è diventata per il Censis la società italiana di oggi e questo spiega perché la rassegnazione e il peggiorismo sociale finiscano per annebbiare il boom silenzioso che l’economia sta vivendo e che talvolta viene erroneamente scambiato per un declino che non c’è. Bisogna proprio riconoscere che Giuseppe De Rita è stato di parola perché, come aveva anticipato egli stesso nella sua lettera al Club dell’Economia pubblicata dal Sole-24 Ore di giovedì scorso, non c’è nulla di più antideritiano della impietosa critica alle tendenze prevalenti nella società italiana («Non frequento più il termine di società civile») che affiorano dal 41° Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese che, come succede sempre ai primi di dicembre, è stato presentato ieri all’opinione pubblica.
Forse l’Italia non se ne rende conto perché la crisi dei salari e dei consumi fa certamente più impressione del rilancio dei big player o della nascita di nuovi protagonisti dell’economia ma la ripresa è in corso da mesi. Sfortunatamente però, insieme alla ripresa, c’è anche una schizofrenia che frena la società italiana e che impedisce alla ripresa stessa, dovuta alla determinazione di una minoranza industriale virtuosa, di trasformarsi in sviluppo di lungo periodo e di coinvolgere l’intero sistema sociale. Al dinamismo di un’élite si contrappone l’inerzia della stragrande maggioranza degli italiani. Non per caso la sensazione più diffusa è che «dovunque si giri lo sguardo si fa esperienza e conoscenza del peggio: nella politica come nella violenza intrafamiliare, nella micro-criminalità urbana come in quella organizzata, nella dipendenza da droga e alcol come nella debole integrazione degli immigrati, nella disfunzione delle burocrazie come nello smaltimento dei rifiuti, nella ronda dei veti che bloccano lo sviluppo infrastrutturale come nella bassa qualità dei programmi televisivi». Non c’è limite al peggio e tra economia e società o tra economia e politica c’è un abisso. Le ragioni di questo degradante dicotomia sono tante e il rapporto del Censis le esplora con il consueto acume. Ma ciò che più interessa è capire se e come si possa uscire dalla palude in cui s’è infilata la società italiana.
De Rita è convinto che anche la più dinamica e vitale minoranza industriale non riesca a trainare tutti e che lo stato attuale della politica non lasci molte speranze e non possa darci quel grande «collettore collettivo» di cui il Paese avrebbe bisogno per uscire dallo stallo. Secondo il fondatore e presidente del Censis né il Partito democratico né il Partito della libertà riusciranno a trascinare le masse e a diventare veri e propri partiti popolari perché tendono ad aggregare una dimensione di popolo che non trova riscontro nella società. Vuol dire, allora, che dobbiamo prepararci al peggio e che non c’è nessuna speranza di recupero? No, per De Rita la speranza di rilancio del Paese può venire solo dalle nuove minoranze attive. Da quelle che fanno ricerca scientifica e innovazione tecnica a quelle che, sulla scia dell’élite industriale, studiano e lavorano all’estero, dalle minoranze che vivono in realtà locali ad alta qualità della vita a quelle che hanno stabilito un rapporto positivo con l’immigrazione o che fanno esperienze religiose attente alla persona e allo sviluppo o, infine, alle tante minoranze che hanno scelto l’appartenenza a gruppi, movimenti, associazioni come «forma di nuova coesione sociale e di ricerca di senso della vita». Saranno loro ad avviare nuovi processi sociali di lenta ma profonda maturazione che possano aprire le porte alla rinascita del Paese? Il Censis si dice convinto che in questo momento abbiamo bisogno di «coscienza stretta», cioè di culture capaci di incidere sull’inerzia della maggioranza, piuttosto che della «opinione larga» di piazze e arene, anche mediatiche, di cui è fatta la politica.
L’analisi dell’impasse della società italiana è convincente e l’enfasi posta sulle minoranze attive è suggestiva, ma il dubbio è lecito. Dare fiducia a una politica spesso lontana e autoreferenziale com’è quella di oggi è certamente ardimentoso, ma pensare che le minoranze sociali attive siano non soltanto necessarie, come in effetti è, ma anche sufficienti ad avviare la rigenerazione del Paese è anch’essa un’ipotesi audace. Come è successo e succede in altri Paesi dell’Occidente, anche la politica può riformarsi o essere riformata. L’importante è sapere da dove partire e non sbagliare direzione.
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IL SOLE 24 ORE 08/12/2007
Carlo Carboni
Se il ceto medio cede al cinismo. Giuseppe De Rita ha esteso ieri alla società il tono critico adottato dal dibattito in corso sulle classi dirigenti italiane. Non tanto per aderire alle nota tesi della "società complice", che costituirebbe poco meno di una mezza giustificazione, dato che lascia intatta la responsabilità dei ritardi di sistema alla classe dirigente che è al timone: anzi, "dare l’esempio" è indispensabile per creare emulazione e nuova vitalità sociale. Piuttosto De Rita, abbandonate le sue tradizionali ipotesi di autonomia (positiva) del sociale, ci riporta all’amara realtà dualistica del sociale, come cantava De Gregori vent’anni fa: l’Italia "metà galera" e da dimenticare e quella "metà giardino", spesso dimenticata e mai adeguatamente premiata.
Il presidente del Censis con amarezza ha messo in evidenza le degenerazioni antropologiche del nostro tessuto sociale raffigurato come una "poltiglia di massa" con un collante sociale di bassa lega, che in parte ricorda la "società liquida" di Bauman. Ha fatto bene, perché esiste una società cinica, che è il prodotto "scomposto" del declino della società di massa di ceto medio. un’Italia in cui alberga l’individualismo amorale, per cui lo spazio pubblico è visto in funzione di un riconoscimento o di un mero vantaggio individuale. l’Italia in cerca di scorciatoie e che rifà il verso ai furbetti del quartierino. L’Italia che si copre nelle protezioni clientelari e quella che narcotizza le sue aspettative nei comodi automatismi garantiti, scolastici e di carriera. L’Italia che non rispetta le regole approfittando delle lungaggini bizantine della nostra giustizia e l’Italia dei tifosi ultrà e dell’evasione fiscale diffusa. E poi, purtroppo, c’è anche l’Italia che, con cementificazioni abusive, sfigura per sempre la natura che la ospita, l’Italia che vede crescere la violenza contro le donne e la famiglia, l’Italia che alimenta organizzazioni criminose e mafiose antistato.
quindi inevitabile sottolineare criticamente l’aspetto indolente, cinico e persino torbido del nostro tessuto sociale, mettendo a nudo i suoi aspetti avariati, come è accaduto nel recente dibattito sulle nostre élite e, in particolare, sulla cosiddetta "casta" politica, che, immersa nel bipolarismo televisivo tra destra e sinistra, si è distratta dal vuoto pneumatico che andava crescendo nel rapporto con il Paese: un vuoto a rischio di antipolitica. Un vuoto prodotto dai gravi ritardi del Paese dei quali la società cinica e magmatica è corresponsabile.
De Rita ha citato alcuni di questi ritardi, come la mancata manutenzione del nostro sistema di istruzione e formazione, la compressione degli investimenti fissi lordi delle pubbliche amministrazioni, le infrastrutture programmate e mai portate a termine. Certo una società orientata al cinismo individualistico stona con quello spirito di squadra che ci vorrebbe per il Sistema Paese. Dunque, tutto buio?
De Rita, a questo punto, ci propone l’Italia che si distingue per le sue "minoranze vitali", motori di un boom silenzioso che ha caratterizzato la recente ripresa economica, mostrando di essere approdato a una visione dualistica della nostra società. Dal declino e dalla frammentazione della società di massa di ceto medio, emerge non solo una società cinica, pigra per aspettative sociali, immersa spesso nell’individualismo amorale prigioniero delle trappole iperconsumiste, ma anche una società composta di minoranze che fungono da motore dell’Italia che va: dai nostri medi imprenditori a personalità ed eccellenze nel campo della cultura e della ricerca. Aggiungerei che queste minoranze vitali hanno la loro radice in un’Italia civica che sta crescendo e che ha un grado di istruzione superiore e di informazione che gli consente di sviluppare senso di responsabilità, dei propri diritti e dei propri doveri.
l’Italia in cui cresce, e non diminuisce, l’interesse per la politica e per il Sistema Paese. Sarei un pochino più ottimista (o meno pessimista) di De Rita. Sta crescendo quella parte di società che è pronta ad accompagnare un processo di modernizzazione del Paese. Lo attestano non solo la diffusione del "boom silenzioso", ma anche il rinverdito interesse per la politica degli italiani, anche in chiave critica: sono segni di solidità della nostra democrazia e che fanno ben sperare.
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LA STAMPA 08/12/2007
RAFFAELLO MASCI
Tre italiani su quattro considerano il reddito «inadeguato» Boom dei debiti. ROMA. «Dopo tanti anni - ha ammesso Giuseppe De Rita - questa volta non ce la faccio a parlare bene della società italiana». Giunto al 41° Rapporto sulla situazione sociale del paese, anche il Censis si arrende ed è costretto a rilevare che quella che una volta definiva «natura molecolare del paese», fatta di tante piccole realtà attive sta evolvendo in «poltiglia», in «mucillagine»: in qualcosa di putrido, legato ad una sorta di inerzia indotta dalla delusione. Due i macrofenomeni che gravano sulla vita del paese: l’Italia delle famiglie che ha visto ridursi brutalmente il potere di acquisto dei redditi, e che quindi si barcamena tra sconti, low cost e impennate delle spese energetiche. E la «degenerazione antropologica», per cui siamo sempre di più il paese dei furbi, dell’illegalità spicciola ed endemica. Un quadro tetro, perfino troppo, secondo alcuni. Tuttavia, dice il centro Studi, permane una rete di «minoranze» che danno speranza al Paese: medie aziende che puntano su prodotti di nicchia (il lusso, per esempio) e big player della finanza che sanno ancora osare.
A basso costo
Le famiglie, specie nelle grandi città, non ce la fanno più. Tre italiani su quattro considerano «inadeguato» il proprio reddito (il 74% del totale) mentre il 36% dichiara di «essere a rischio povertà». L’abitare sta diventando proibitivo. Negli ultimi dieci anni gli affitti sono aumentati nelle grandi città del 122%, ma anche nei piccoli centri sono a più 103%. L’incidenza delle spese per la casa sui consumi complessivi è passata dal 20,6% al 26% ma, se si aggiungono i salassi delle bollette e i combustibili, si arriva al 31%. Per fare fronte alla spesa si è dilatato il credito al consumo - sono più di mezzo milione le famiglie che faticano a onorare i debiti e ci si industria con i low cost, i 3x2 e i saldi.
Dopo la flessibilità
La flessibilità, rileva il Censis, è servita «a trainare la crescita occupazionale». Dei quasi 1 milione 900 mila lavoratori che hanno trovato un’occupazione nel corso del 2006, il 38,2% ha un contratto a termine (nel 2004 erano il 32,3%), l’8,7% un contratto a progetto o occasionale (nel 2004 erano il 7,3%) e solo il 36,1% un contratto a tempo indeterminato (nel 2004 erano il 40%)». Però, dopo una serie di contratti precari spesso i giovani si trovano senza niente in mano: il 38% di chi è espulso dal mondo del lavoro ha meno di 34 anni. Un altro 22% è tra i 35 e i 44 anni».
Lo svacco educativo
«I ragazzi in famiglia sostituiscono al ”papà non mi hai capito” direttamente il ”sei uno stupido”». «Gli stadi «diventano luogo catartico dell’aggressività sociale». I ragazzi sono abbandonati acriticamente ad una televisione che fornisce a iosa «fiction seriali sempre più violente». Dopo tutte le campagne salutiste, il 75% dei minorenni fuma (il tabacco solo nei casi migliori). Non pagare l’autobus è considerato «normale» dal 50% dei teenagers. Il 73% degli studenti delle superiori non ha voglia di studiare. Senza dire che «chiediamo raccomandazioni, evadiamo il fisco e la scorrettezza viene percepita quasi come una risposta fisiologica e sana: e allora, in ogni settore, dall’economia ai media, dalla medicina all’università, è tutto un tessere di astuzie, piccole illegalità, connivenze». «I comuni del Sud in cui sono presenti sodalizi criminali sono 610 su 1.608»: il 37% del Meridione è ai limiti della legalità.
Via di qua
In questo contesto chi può se ne va. Nel 2006 38.690 studenti si sono iscritti in facoltà straniere. 16.400 hanno partecipato a programmi di mobilità studentesca (tipo Erasmus). Il sogno di questi studenti - ha rilevato Il Censis - è quello di non tornare più indietro, tant’è che lo scorso anno 11.700 laureati (pari al 3,9% del totale) hanno trovato un lavoro all’estero. E un discorso analogo vale per il mondo produttivo: oltre 17 mila sono le aziende straniere partecipate da imprese italiane, per un volume di addetti pari a 1 milione e 120 mila lavoratori. 233 mila aziende intrattengono rapporti commerciali con l’estero. Nel 2006, inoltre, il numero di italiani che hanno trasferito la loro residenza all’estero è aumentato del 15,7% rispetto all’anno precedente e del 52,3% rispetto al 2002, toccando quota 75.230. Il rischio serio, sottolinea il Censis, è che ad emigrare sia la parte più preparata e dinamica della popolazione.
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CORRIERE DELLA SERA 08/12/2007
Alessandra Arachi
Crescono debiti e sfiducia: il Paese è una «poltiglia». Corriere della Sera 8 dicembre 2007. ROMA – Ancora una volta: veniamo dopo Grecia, Ungheria, Romania, Polonia, Croazia. In due parole: siamo gli ultimi. Nella classifica del lavoro delle donne l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa. E poco importa che fra il 2000 e il 2006 siano stati creati un milione di posti di lavoro delle donne: il tasso di attività è cresciuto di meno del 2%, arrivando a quel 50,8% che ci mette in fondo alla classifica del nostro continente.
Ce lo racconta il Censis, nel suo ultimo rapporto annuale (il quarantunesimo) presentato ieri mattina. Quasi settecento pagine di tabelle, numeri e considerazioni: l’istituto sociale non ha dubbi, il nostro Paese è una «poltiglia di massa» dove parole come «popolo» o «cultura» non hanno più alcun valore, dove impazzano i telefonini, le famiglie faticano ad arrivare con i soldi alla fine del mese. E le donne rimangono ancora al palo.
PROFONDO SUD
Lavorano poco le donne in Italia. Meno che in tutta Europa. Il tasso di inattività ha picchi negativi soprattutto nel Sud e fra le giovani (dai 25 ai 34 anni): è cresciuto di oltre 2 punti percentuali, arrivando al 52,2%.
Non lavorano le donne perché non ce la fanno con i tempi e non hanno servizi pubblici: quasi il 75%, infatti, andrebbe a lavorare se avesse il part time e il 69,7% vorrebbe un orario flessibile, mentre quasi il 55% (54,8%) lamenta una mancanza di asili nido o di servizi per gli anziani.
LA FATICA DELLE RATE
Le rate. Ovvero: il credito a consumo. Un giro di soldi che in quattro anni è aumentato del 78%, arrivando al 85,6 miliardi di euro. Oggi in Italia è usato nell’economia domestica di 8,4 milioni di famiglie (circa il 35% del totale). E sono circa 530 mila di queste famiglie che ammettono di far fatica a pagarle queste rate. Oltre 140 mila (143 mila, per la precisione) sono invece quelle che di queste rate non ne hanno pagata nemmeno una.
SFIDUCIA POLITICA
Sono implacabili gli italiani intervistati dal Censis: oltre otto su dieci (l’85,9%) non si fidano dei politici. Meglio: non si fidano di nessun politico. E quando vanno a votare, il leader del Paese lo scelgono per esclusione o necessità, non per altro. infatti soltanto il 13,7% che ha dichiarato al Censis di aver scelto un leader perché lo riteneva il più adatto a guidare il Paese (era il 19,1% nel 2001). In fondo il punto è molto semplice: il 76,1% degli italiani è convinto che nei Palazzi «nessuno si occupa di ciò che accade agli altri».
PI LIBRI
la prima volta che succede: aumentano gli italiani che leggono i libri: dal 55,3% del 2006 al 59,4% del 2007. Sono le donne che fanno alzare i picchi di vendita: la percentuale di lettrici è passata dal 53,1 al 61, contro lo scarso aumento dello 0,2% dei lettori maschi. Ma c’è di più: non solo aumentano i lettori di libri in generale. Sono i cosiddetti lettori abituali (ovvero quelli che leggono più di tre libri l’anno) che affollano le librerie: sono passati dal 39,4% del 2006 al 52,9% del 2007. Con un picco fra le persone anziane (ovvero sopra i 65 anni), passate dal 25,7% al 47,4%.
ON LINE E IN LINEA
Quasi 9 italiani su 10 hanno in tasca un cellulare (l’86,4% per la precisione). E il Censis non fa a meno di farci notare che il prezioso apparecchietto ha quasi raggiunto l’invasività della tv nel nostro Paese (ferma stabile sopra il 90% da molti anni, ormai). Ma c’è un’altro boom che l’istituto sociale ci fa rilevare nel suo ultimo rapporto: internet. Un’impennata di utenti che nell’ultimo anno ha fatto superare il 10%. Ed è così che si contano oggi il 45,3% di utenti internet, il 68,3% dei quali è costituito da giovani di età compresa tra i 14 e i 29 anni.
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