Germano Bovolenta, La Gazzetta dello Sport 12/12/2007, 12 dicembre 2007
Mister Fabio parte da Pieris (Gorizia), 1958. Il papà, maestro elementare del paese, lo porta a Ferrara, in prova alla Spal
Mister Fabio parte da Pieris (Gorizia), 1958. Il papà, maestro elementare del paese, lo porta a Ferrara, in prova alla Spal. Un viaggio lungo, corriera e poi la littorina. Fabio ha dodici anni, è magro e alto. Il commendator Paolo Mazza dice al maestro Guerrino Capello: «Suo figlio ha discrete qualità, se continua, lo fa con noi della Spal. D’accordo? ». «D’accordo», dice il maestro Guerrino. «Mi dà la sua parola?», insiste il commendatore Mazza. «Va bene, presidente. La mia parola », dice il maestro. Fabio torna a Pieris. La notizia del provino fa il giro, arrivano da tutto il Triveneto. «S ono in parola con la Spal», dice a tutti il maestro Guerrino. Arrivano altri osservatori e inviati di società del Nord. «Ho dato la mia parola al presidente Mazza», ripete Guerrino. Poi un giorno arriva Gipo Viani, un omone, direttore tecnico del Milan campione d’Italia. Il Milan di Lorenzo Buffon e Cesare Maldini, di Liedholm, Schiaffino e Altafini. Gipo è sbrigativo: «Caro maestro, suo figlio ci interessa abbiamo deciso di prenderlo...». Il maestro allarga le braccia: «Mi dispiace, io sono in parola con la Spal». Gipo Viani insiste, gli parla di Milano, degli studi, Milan l’è un gran Milan, il grande calcio. «Non posso», sospira il maestro. Allora Viani alza la voce: «Mi ascolti, Capello, inventi una scusa, dica a Mazza che quel giorno era confuso. Dica quello che vuole, che aveva alzato il gomito, bevuto un bicchiere di più». Il maestro scatta in piedi e con tono fiero congeda l’omone Gipo: «Mi dispiace, signore, ma io, e lo ripeto per l’ ultima volta, ho dato la mia parola alla Spal». Fabio Capello va alla Spal. Quando compie 60 anni, Fabio dice: «Sono stato fortunato, a cominciare dal papà che ho avuto. E’ sopravvissuto ai campi di concentramento, mi ha insegnato a vivere». A Ferrara, a 18 anni, sull’autobus numero 5 conosce Laura. Lui studia da geometra, lei fa le magistrali. Si sposano. E’ un buon centrocampista, ha il culo basso e la testa alta. Fa cantare il pallone e incanta Helenio Herrera che lo vuole all’Inter. Helenio arriva in ritardo, Mazza ha già dato la «sua parola» (e il cartellino) alla Roma. Due buone stagioni, Fabio va in Nazionale, a Roma nasce Pierfilippo (avvocato). Anni Settanta: cambia città e vita. Torino, Juventus e tre scudetti. Dalle sue molte note biografiche: «Il Capello juventino è tecnico e intelligente ». «Legge Irwing Shaw e Ungaretti, ama De Chirico, le piazze metafisiche, ascolta Bach e Ella Fitzgerald, non perde un film di Visconti e Fellini ». «Lo chiamano il professorino. Non geometra, alla Juve ce n’è già uno ( Boniperti) e basta e avanza». Fa discutere, ha idee socialiste, rompe gli schemi. Non è molto simpatico. Anzi. Qualcuno scrive: «Megalomane, arrampicatore, ambizioso». Poi però scrivono anche: «E’ l’unico regista italiano in grado di pescare una punta a quaranta metri». E: «Ha un grande senso tattico e dell’ impostazione ». Ancora: «Gli piace attaccare, le sue avanzate non sono avventure ma ragionamenti». Segna due gol in Nazionale, all’Inghilterra. Uno a Torino, uno a Londra. Capello «espugna» Wembley. A Torino nasce Edoardo (laurea in economia e commercio). Fabio è realista. Lascia il pallone fuori dalla porta. Non conserva coppe, medaglie, ritagli di giornali. Per lui il passato è il passato: non esiste più. Lavora, dà il massimo, sposa cause e aziende. Poi saluta e se ne va. Dice sempre: «Sono un uomo pratico come mio padre, come tutta la gente che viene dalla mia terra. Il resto è letteratura». Passa al Milan, cambio con Benetti. E’ stanco, le sue ginocchia sono piene di cicatrici, vince lo scudetto della stella. Si ferma a 34 anni. Resta nelle giovanili. Arriva Silvio Berlusconi, diventa assistente di Liedholm. Poi prende il posto del Barone nel finale di campionato ’86-87, porta il Milan in Uefa e lo consegna ad Arrigo Sacchi. Rifiuta molte offerte di A, entra nella Fininvest, studia da manager lontano dal calcio quattro anni. Estate 1991. Fabio Capello dopo lunga inattività, esperienze manageriali, full immersion in inglese (lo conosce bene), spagnolo (benissimo) e francese (così così) torna sul campo. Lo «esige» Berlusconi. Che dice: «E’ come Nereo Rocco ». Nasce la leggenda del Grande Capello, l’uomo che vince scudetti, conquista titoli e onori ma non stravince, scriviamo, nei rapporti umani. Berlusconi lo pizzica: il dialogo, soprattutto con chi protesta, non rientra nelle sue corde. Fabio naviga spesso con forti venti contrari. Milano, Madrid, ancora Milano, Roma, Torino, ancora Madrid. Mascella volitiva, voce forte, mano ferma. Un duro? «No - dice - sono una persona seria». E aggiunge: «Io penso sempre con la mia testa». Si scontra con piazze e campioni. Lascia Roma e dicono: «E’ scappato di notte». Non scende in B con la Juve dopo Moggiopoli e lo attaccano: «E’ fuggito ». Dice: «Amo il mio mestiere ma non sempre quello che ci sta intorno». Ha molti interessi e «pochissimi amici nel mondo del pallone ». Viaggia, è curioso, visita mostre. Legge, va ai concerti e alle corride. Gli piace mangiare bene, carne e pesce, i ristorantini etnici, indiani, arabi. Segue la politica. Gli chiedono: lei è di destra? Risponde: «Ho votato per Psi, Pri, Dc per molti anni, poi Lega Nord e Forza Italia. Berlusconi? In politica ha le mani legate, ha dovuto accontentare troppa gente e non ha potuto fare come voleva lui». Hanno scritto: «Capello è un neo conservatore». Vero? «Macchè sono un sostenitore dei sindacati. Sono molto cattolico, sono contro l’aborto, mi piace papa Ratzinger: per me nella Chiesa c’era bisogno di una sterzatina tradizionalista ». Quattro anni fa, a Roma, ci disse: «La Nazionale italiana non è un obiettivo. Preferisco una nuova esperienza, fuori dall’Italia. Fra la Nazionale e l’estero, scelgo l’Inghilterra.Per la lingua, la mentalità. Credo che lo farò». Lo dice e lo ripete tutti i giorni: «Il mio sogno, una cosa che ho dentro da sempre».