Gian Arturo Ferrari, La Stampa 11/12/2007, 11 dicembre 2007
Curioso paese, il nostro. Tutti stupiti e scandalizzati del fatto che gli studenti italiani, felicemente ignari di matematica, si classifichino sempre agli ultimi posti di qualsiasi classifica internazionale, con qualsiasi criterio redatta
Curioso paese, il nostro. Tutti stupiti e scandalizzati del fatto che gli studenti italiani, felicemente ignari di matematica, si classifichino sempre agli ultimi posti di qualsiasi classifica internazionale, con qualsiasi criterio redatta. Non lo sapevamo che la nostra costosissima scuola non funziona? O credevamo che i sei studenti su dieci che finita la scuola non aprono mai più un libro in vita loro fossero un sintomo incoraggiante? Oppure confidavamo nei compulsatori di orari ferroviari e nelle appassionate di ricette gastronomiche, denominati dall’Istat «lettori morbidi» (perché poi morbidi?), e messi lì a coprire le nostre vergogne? Le statistiche sulla lettura di libri in Italia rimangono sconfortanti, ma in più rischiano di diventare veramente noiose. Nonostante i tentativi di trovare qualche piccolo motivo di consolazione, nonostante le esortazioni a non abbandonarsi a facili catastrofismi, il dato di fatto resta rocciosamente quel che è. Vale a dire che a oltre sessant’anni dalla fine della guerra, a quasi cinquanta (mezzo secolo!) dalla media unica gli italiani adulti che leggono almeno un libro l’anno sono ancora largamente meno della metà. un grande fallimento collettivo, politico e nazionale, non di questo governo e non del governo precedente. Un fallimento profondo, un fallimento dei molti, coperto dal successo dei pochi. Così come allo sterminato banco degli asini che è la nostra scuola si contrappongono i nostri giovani scienziati, perlopiù in fuga, allo stesso modo sull’oceano dei non leggenti si staglia la piccola ma altissima isola dei lettori bulimici, erculea minoranza - benedizione degli editori - che fa da sola il sesto mercato librario del mondo. La lunga tradizione elitaria, ferocemente antidemocratica, del nostro paese in nulla è così viva e attiva quanto nella cultura. Se ne può uscire? Non facilmente, non semplicemente. Occorre buona volontà, ma la buona volontà non basta. Occorrono mezzi, ma i mezzi - che peraltro non ci sono - non bastano. Occorre soprattutto una lucida iniziativa, che spetta a chi rappresenta l’interesse nazionale. Finora non si è vista e non c’è stata. Se non si manifesterà, diverrà inevitabile percorrere altre strade.