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 2007  dicembre 11 Martedì calendario

ARTICOLI SULLA SCELTA DI MEDVEDEV COME PROSSIMO PRESIDENTE RUSSO (11/12/2007)


CORRIERE DELLA SERA 11/12/2007
FABRIZIO DRAGOSEI
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
MOSCA – Vladimir Putin ha messo in moto il meccanismo che porterà alla presidenza russa un successore e allo stesso tempo consentirà a lui di mantenere il potere. I quattro partiti legati a doppio filo al Cremlino hanno ieri indicato unanimemente il candidato alle elezioni di marzo e Putin ha subito «appoggiato calorosamente » la proposta. Delfino designato è uno dei suoi più stretti collaboratori, Dmitrij Medvedev, che lo segue dai tempi di San Pietroburgo, all’inizio degli anni Novanta.
Non è un uomo del Kgb, ma un giurista di formazione liberale, il «volto buono» della Russia mostrato all’Occidente in questi ultimi tempi. La sua scelta è forse il segno che le frizioni tra gruppi di «siloviki» (come si chiamano i militari e gli uomini dei servizi) verificatesi in questi mesi di incertezza hanno spaventato il presidente. Se avesse scelto l’altro candidato in pole position, Sergej Ivanov, forse non sarebbe stato in grado di controllare gli sviluppi della situazione.
Il nome di Medvedev è stato fatto da partiti che coprono tutto l’arco politico. Russia Unita (guidata dallo stesso Putin) è il centrodestra; Russia Giusta rappresenta il centro- sinistra; Forza civica (guidata dal rappresentante del presidente presso la Corte costituzionale) copre il settore liberale di destra; il Partito Agrario sottrae nelle campagne consensi ai comunisti nell’universo dei kolkhoz.
Se verrà eletto, come tutto lascia supporre visto l’appoggio del popolarissimo presidente, Medvedev, che ha 42 anni, sarà il più giovane leader russo dai tempi dello zar Nicola II.
Ma sarà un presidente vero? Tutto lascia ritenere che la scelta fatta da Putin sia quella di puntare su un abile amministratore che dipenda interamente da lui. Medvedev non ha un suo gruppo di potere e deve a Putin tutto quello che oggi è. Ha operato bene al vertice del colosso del gas Gazprom, applicando le direttive del Cremlino nella sua veste di presidente e lavorando in tandem con l’amministratore delegato Aleksej Miller, altro intimo di Putin. «Lo conosco da 17 anni... con lui abbiamo la possibilità di formare un’amministrazione in grado di applicare la stessa politica che ha ottenuto risultati negli ultimi otto anni», ha detto Putin davanti alle telecamere.
Ma chi comanderà veramente nel Paese dopo il voto del 2 marzo? Il presidente uscente non intende ritirarsi a vita privata, anche se non è chiaro quale ruolo si ritaglierà. Si è parlato di una figura di Leader nazionale, che operi dietro le quinte. Sarà un po’ quello che Michael Schumacher è nella Ferrari di Raikkonen e Massa? Una specie di allenatore e consigliere riservato? Il rischio è che nel Paese si creino due centri di potere contrapposti. Una situazione potenzialmente catastrofica.
L’alternativa
La scelta è il segno che le recenti frizioni hanno spaventato il presidente. Se Putin avesse scelto l’altro favorito, forse non sarebbe riuscito a controllare gli sviluppi


MOSCA – Non piace all’opposizione russa la designazione decisa dal presidente Vladimir Putin del «delfino» Dmitrij Medvedev per le elezioni presidenziali: non tanto per il merito del personaggio, quanto per il concetto stesso di «erede designato». Per l’ex campione di scacchi Garry Kasparov, leader della coalizione anti Cremlino Altra Russia, «in Russia non deve esserci un trasferimento di poteri con il metodo del "delfinato".
La Costituzione non lo prevede. E ora le elezioni diventano un pro forma, e l’intera macchina amministrativa sarà a disposizione del cosiddetto delfino».
Quanto al vicepremier Medvedev, «la scelta indica che resta l’opzione morbida per un ritorno di Putin al potere».
Boris Nemtsov, candidato alle presidenziali per l’Unione delle forze di destra (liberale), si dice «contrario all’operazione delfino. Il nome non conta nulla, noi riteniamo che questa sia una violazione delle basi costituzionali.
Ed è umiliante per i cittadini che il potere indichi loro chi devono sostenere».

CORRIERE DELLA SERA 11/12/2007
F.DR.
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
MOSCA – Fino a pochi mesi fa veniva indicato come uno dei due pretendenti alla successione, ma non il meglio piazzato. Sergej Ivanov, l’altro vice primo ministro, appariva più spesso in tv, sembrava destinato a prendere il posto di Vladimir Putin alla guida della Russia. I due erano compagni di Kgb e, come si dice da queste parti, non esiste un «ex agente».
Dmitrij Medvedev appariva in pubblico meno del collega, era più giovane, operava nell’ ombra e aveva ricevuto incarichi più rognosi, come quelli della sanità o della scuola. Poi a settembre giunse la nomina a primo ministro di Viktor Zubkov, un burocrate anziano, abituato da sempre a dire di sì a Zar Vladimir. Sembrava la figura ideale per andare a scaldare la poltrona di presidente per conto di Putin. Per eseguire gli ordini che Vladimir Vladimirovich avrebbe continuato a impartire da dietro le quinte o per cedergli di nuovo il posto quando lui lo avesse voluto.
Invece a sorpresa ecco che i partiti del presidente hanno indicato all’unanimità come candidato questo giovane giurista, ex professore all’università di Leningrado (poi tornata al vecchio nome di San Pietroburgo). Un quarantaduenne che ha fatto tutta la sua carriera all’ombra del più anziano Putin, anche lui proveniente dalla stessa università. Un giurista che in più occasioni è stato prezioso per Putin e che lo ha affiancato sempre.
Nato nella città sul Baltico, Medvedev iniziò a lavorare nel 1989 con Anatolij Sobchak, sindaco riformista e liberale. L’anno dopo aprì una attività imprenditoriale in proprio (visti i tempi assai magri), ma rimase al Comune, iniziando ben presto a collaborare come esperto legale con Vladimir Putin. Secondo voci che circolano insistentemente, fu proprio Medvedev assieme all’altro grande amico Dmitrij Kozak a tirare fuori dai guai Putin quando scoppiò lo scandalo delle esportazioni irregolari di metalli non ferrosi che sarebbero state effettuate dal comune di San Pietroburgo. Fatto sta che non appena ebbe un minimo di potere a Mosca, Putin chiamò con sé il suo giovane ex collaboratore.
Prima nell’apparato del governo, poi in quello del Cremlino. Nel 2003, quando il presidente decise di chiudere la partita con gli esponenti della vecchia famiglia Eltsin, fu Medvedev che prese il posto di Aleksandr Voloshin a capo dell’amministrazione presidenziale. Poi, più recentemente, la nomina a primo vice primo ministro (in Russia conservano queste cariche di tipo sovietico) e quella a presidente di Gazprom, il colosso del gas.
Medvedev fa parte del gruppo dei riformisti liberali, assieme a Kudrin, Gref, Kozak, Chubais. stato il primo a teorizzare che un organismo di potere pubblico può benissimo possedere un’azienda privata e farla operare come tale, senza bisogno di nazionalizzarla e burocratizzarla. L’esperienza di Gazprom dovrebbe essere proprio questa: un’impresa che risponde alle leggi del mercato ma che è direttamente controllata dallo Stato (tramite lui). In un’intervista rilasciata al Corriere due anni fa, Medvedev spiegò che lo Stato avrebbe dovuto continuare a conservare un ruolo («per almeno venti o venticinque anni », disse) in settori strategici, come quello energetico. Mentre avrebbe dovuto lasciare mano libera in altri campi. Una delle poche volte che ha detto pubblicamente qualcosa in netto disaccordo con il suo capo è stato nel 2003, quando si è espresso contro il sequestro delle azioni della Yukos, la ex compagnia petrolifera di Khodorkovskij. Medvedev criticò «l’efficacia giuridica» di quanto era stato fatto.
All’inizio del 2007 Medvedev è stato al forum economico di Davos, dove ha detto quello che agli occidentali piace sentire: libertà di investimenti, rispetto della legge, sicurezza delle norme. E ha aggiunto una difesa d’ufficio della democrazia in Russia: «Credo che quella che abbiamo noi sia vera democrazia ».
Sposato e con un figlio, Medvedev ha sempre evitato per quanto possibile di apparire in pubblico. All’università amava il sollevamento pesi (ha vinto pure una medaglia), mentre adesso preferisce nuotare.
Tra gli intimi di Putin è l’unico a essere più basso del presidente. E questo, sostiene qualcuno, sarebbe stato l’elemento decisivo.

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
MOSCA – Sergej Markov è uno dei maggiori conoscitori dei meccanismi politici russi e di ciò che accade dietro le mura del Cremlino. Ha accettato di rispondere alle domande del
Corriere. Perché Medvedev?
« facile: è della squadra di Putin dall’inizio, stessa generazione, stessa città, stessa università, stesso lavoro col sindaco riformista Sobchak. Condivide l’identica ideologia, quella del patriottismo liberale: la Russia deve far parte dell’Europa, ma allo stesso tempo conservare la sua sovranità e la sua identità. Penso che la politica attuale continuerà perché Medvedev ha un carattere tranquillo e non lancerà sfide a Putin».
E il presidente come vede Medvedev?
«Come un supermanager. Adatto al superlavoro che dovrà svolgere. Non sappiamo ancora se il manager riuscirà a diventare un politico».
Putin che farà?
«Lascia la carica ma rimane il personaggio più influente. Non è vero, come si scrive, che la Russia ha una Costituzione estremamente presidenzialista. il sistema politico che oggi lo è. La nostra Carta fondamentale riconosce un ruolo importantissimo alla maggioranza parlamentare. Il Parlamento seguirà Putin anche se lui non avrà una carica ufficiale. Avrà un ruolo, come de Gaulle o Deng Xiaoping».
Con Medvedev presidente, i siloviki, cioè gli uomini dei ministeri di forza, avranno meno potere?
«La squadra di Putin rimane tale e quale. E ciò vuol dire sia i liberali che i siloviki e i tecnocrati. importante capire questo: non è un clan che vince. Non ci sarà nessuna redistribuzione di potere».
Cambieranno i rapporti con l’Occidente?
«La posizione della Russia rimarrà la stessa: collaborazione senza accettare le avventure assurde tipo Iraq o Kosovo. I lettori non devono credere alle favole che si dicono: Putin non è contro l’Occidente. E avremo anche istituzioni politiche più indipendenti. Col tempo. Non si deve dimenticare che negli anni ’90 in Russia c’era una specie di Guerra Civile Fredda tra istituzioni che portò al caos e quasi al collasso. Nessuno vuole rivivere quell’esperienza».
Politologo S. Markov
F.Dr.

CORRIERE DELLA SERA 11/12/2007
FRANCO VENTURINI
Quella che ha fatto di Dmitrij Medvedev il delfino ufficiale di Putin, e gli ha dato la sostanziale certezza di essere eletto al Cremlino in marzo, può sembrare una scelta in controtendenza. Le critiche piovute su Mosca in occasione delle recenti elezioni hanno portato al calor bianco i contrasti con l’Occidente.Contrasti che già si nutrivano di molteplici dossier, dal Kosovo allo scudo anti-balistico. Per questo molti si aspettavano che Putin desse la sua determinante benedizione a un esponente della linea nazional-intransigente, come avrebbe potuto essere l’altro vicepremier Ivanov. Oppure che a essere prescelto fosse un signor nessuno, facile da liquidare qualora Putin decidesse di tornare al Cremlino prima del 2012.
Dmitrij Medvedev, almeno sulla carta, è estraneo ad entrambi questi identikit.
Nel suo ruolo di presidente di Gazprom è conosciuto e piuttosto stimato in Occidente. All’ultima conferenza di Davos, dove Putin lo spedì a rappresentare la Russia, si è presentato come tecnocrate moderato e aperto al dialogo. Non proviene dalle fila dei servizi di sicurezza, come la grande maggioranza degli uomini vicini a Putin.
E malgrado la sua giovane età (42 anni), Medvedev è già troppo forte nella Nomenklatura moscovita per poter essere trattato come un qualsiasi Zar a orologeria.
Sono proprio queste caratteristiche a fornirci qualche interessante indicazione sulla scelta che Putin ha voluto anticipare rispetto al congresso di Russia Unita che si apre lunedì prossimo. Ex avvocato e collaboratore di Putin negli anni di San Pietroburgo, il Medvedev di oggi è soprattutto un economista: capace di comprendere, e se ne avrà il permesso di gestire, le priorità di sviluppo e di diffusione del benessere che fruttano al Presidente uscente la sua vasta popolarità. Medvedev è anche un uomo in grado di rappresentare la Russia ai G-8 e agli altri vertici internazionali, compito questo che spetta istituzionalmente a chi siede al Cremlino. Quanto a Gazprom, cassaforte delle immense ricchezze energetiche russe, essa si conferma grande centro di potere accanto al Fsb, erede del Kgb, se non in sua sostituzione.
Beninteso anche il candidato Medvedev sfrutterà i media sotto controllo, anche lui si prepara a un voto pilotato che i nostri valori liberaldemocratici non possono e non devono approvare. Ma tra le molte scelte che Putin aveva a disposizione, quella compiuta ieri rappresenta per l’Occidente una buona notizia. A condizione di non illudersi troppo, però. Vladimir Putin deve ancora annunciare da quale poltrona (premier, presidente della Duma, un incarico ad hoc? ) continuerà ad essere «leader nazionale» sulla scia del mandato che ritiene di aver ricevuto alle legislative. La designazione di Medvedev, perciò, va relativizzata in termini di effettivo potere decisionale: è sempre possibile che l’abito del Cremlino faccia il monaco e che Medvedev si ribelli, è anche vero che in Russia non esiste la tradizione di due vertici l’uno formale e l’altro effettivo, ma i forti legami personali tra lo zar uscente e quello entrante rendono improbabile un «tradimento» del prossimo Presidente.
Al contrario, con la nomina del suo vicepremier Putin vuole lanciare un segnale di continuità senza nascondere che sarà lui stesso a garantirla e a dosarla dalla sua nuova posizione. Il piano ha buone possibilità di riuscita. Sempre che i
siloviki, gli uomini venuti dai servizi e da tempo coinvolti nel controllo delle ricchezze russe, non si mettano di traverso. Dopotutto Medvedev non è uno dei loro, e la scelta di Putin potrebbe coalizzarli in un pericoloso fronte di opposizione interna. Il tempo, da qui a marzo, non manca.

LA STAMPA 11/12/2007
ANNA ZAFESOVA
Il 2 marzo 2008 Dmitrij Anatolievich Medvedev diventerà presidente della Russia. Alle elezioni mancano ancora quasi tre mesi, ma il risultato si può predire con sufficiente certezza da quando, ieri mattina, Vladimir Putin ha annunciato il suo «completo sostegno» alla candidatura dell’attuale primo vicepremier del governo russo, facendone davanti alle telecamere il suo «delfino», a soli 42 anni.
Il «toto-erede» aveva assunto ritmi frenetici negli ultimi giorni, dopo le elezioni alla Duma, stravinte dal partito di Putin Russia Unita, con l’avvicinarsi della scadenza del 23 dicembre come data ultima per le candidature alle presidenziali. Nella notte delle elezioni parlamentari Putin - vero vincitore del voto, trasformato dal Cremlino in una sorta di referendum sul presidente - ha confermato che non si sarebbe ricandidato, violando la Costituzione. A quel punto l’attesa era diventata febbrile, la lotta tra i clan del Cremlino aveva raggiunto l’apice, e nei corridoi del potere di Mosca circolavano i nomi più strani. Una frenesia che Putin ieri ha deciso di interrompere, in anticipo sui tempi, invitando al Cremlino i leader di quattro partiti filopresidenziali - Russia Unita, Russia Giusta, Forza Civica e gli agrari - che, in coro, gli hanno «proposto» Medvedev. «Lo conosco da 17 anni e appoggio completamente e totalmente la sua candidatura», ha replicato il padrone del Cremlino.
L’incoronazione ufficiale probabilmente avverrà al congresso di Russia Unita, il 17 dicembre, ma le modalità della candidatura trasformano Medvedev nel prescelto di un ampio spettro politico. E i fragorosi applausi a indirizzo del nuovo leader - dalla borsa di Mosca schizzata ai massimi storici al patriarcato di Mosca (con il sostegno dei musulmani e del rabbino capo della Russia) che lodano la tolleranza e la sensibilità di Medvedev, alla fila interminabile di governatori, sindaci e deputati entusiasti per questo uomo «giovane», «moderno», «competente», che «non è mai venuto meno alla sua parola». piaciuto, con qualche riserva, perfino ai liberali: Medvedev è considerato una «colomba», che non è stato coinvolto nelle avventure più discutibili del Cremlino, come la caccia agli oligarchi con la nazionalizzazione della Yukos, la guerra in Cecenia o la repressione dei media. Ha fatto una buona impressione anche agli occidentali, quando alla conferenza di Davos nel gennaio scorso si è non solo espresso in decoroso inglese, ma ha pure spiegato la sua visione di una Russia «democratica senza aggettivi». Ed è uno dei pochi nell’entourage di Putin a non avere mai indossato l’uniforme del Kgb.
Un «buono» insomma, che per di più nel governo si è occupato dei «progetti nazionali» a sfondo sociale, come l’aiuto alle famiglie e la costruzione di alloggi accessibili, mostrandosi alle telecamere circondato da bambini e giovani coppie (mentre l’altro potenziale «delfino», Serghej Ivanov, compariva attorniato da testate nucleari e sottomarini). Un bravo ragazzo che ha sposato una compagna di classe, un brillante docente di legge, mai messo una parola fuori posto, mai un grido, una polemica accesa, e nemmeno una gaffe: voce sempre pacata, gesti parchi, un timido sorriso e una pazienza infinita nel spiegare le proprie ragioni, usando molto il plurale («noi nel governo») invece dell’«io», ed evitando sonanti retoriche ideologiche. Un bravo tecnico, un perfetto funzionario, un giovane che promette un cambio generazionale: classe 1965, canzone preferita «Kentucky Woman» dei Deep Purple, ha un figlio di appena 11 anni, Ilja (e ne vorrebbe un secondo), e aveva 20 anni quando è cominciata la perestroika. In altre parole, non soffre di nostalgia, anche perché parallelamente alla carriera politica ne ha svolta per anni una nel business, fondando e partecipando a una serie di società e presiedendo per anni Gazprom, il colosso energetico che per Putin è stato contemporaneamente il ministero dell’Economia e quello degli Esteri.
Una candidatura che potrebbe far pensare a una svolta del regime. Ma Dmitrij Medvedev è anche la fotocopia di Vladimir Putin, da 17 anni la sua ombra, il suo braccio destro. E’ nato nella stessa città, Pietroburgo, si è laureato come lui in legge alla stessa facoltà, e da allora la sua vita scorre in parallelo a quella del presidente. E’ stato suo consigliere giuridico al comune di Pietroburgo, è stato viceresponsabile dell’apparato del governo quando Putin è diventato premier, e uno dei primi decreti nuovo zar, ancora presidente ad interim, il 31 dicembre 1999, è stato nominare Medvedev primo vice della sua amministrazione. Putin l’ha mandato nelle missioni più importanti: il giovane giurista pietroburghese ha diretto la sua prima campagna elettorale del 2000 e fin dagli inizi del nuovo regime è stato messo alla presidenza di Gazprom. E’ stato uno dei due «delfini» designati, e ha superato in un anno di competizione con Ivanov la prova più importante, almeno agli occhi di Putin: non si è montato la testa, mantenendo un profilo basso e accumulando una popolarità diffusa tra i telespettatori che continuavano a vedere questo giovane con l’aria bonaria compiere buone azioni. Ha accettato senza fiatare anche il ritorno in panchina per qualche mese, quando tutti i cremlinologi lo davano per spacciato. La pazienza è stata premiata.
Chi è Dmitrij Medvedev? Una domanda che ovviamente si stanno già facendo in tutte le cancellerie del mondo. Un fedelissimo di Putin che conosce nei dettagli la complessa macchina dello Stato russo, o un liberale rintanato che alla compagnia degli altri «pietroburghesi» per lo più falchi preferisce i moderati messi da parte nella nuova guerra fredda? Un manager moderno al quale verrà affidato il ruolo del «poliziotto buono» con l’Occidente, o soltanto un fedele esecutore della volontà del suo predecessore, troppo debole per fronteggiare i falchi e i nazionalisti che Putin riusciva a tenere a bada? Come al solito in Russia, ci sono più domande che risposte. Il 40% dei russi, secondo il Levada-zentr, è pronto già oggi a votare qualunque successore di Putin, senza nemmeno chiederne il nome, e quindi la vittoria elettorale di Medvedev appare un problema puramente organizzativo. Per sapere se sarà un presidente «vero» o continuerà a fare quello che ha fatto per tutta la vita, cioè il braccio destro di Putin, ci vorrà un po’ più di tempo.

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