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 2007  dicembre 13 Giovedì calendario

Alla corte di re chAvez. L’Espresso 13 dicembre 2007. Pedro Carreño, il ministro dell’Interno e della Giustizia del Venezuela di Hugo Chávez, si presentò all’incontro con il suo ospite straniero vestito casual, così come avevano concordato per telefono

Alla corte di re chAvez. L’Espresso 13 dicembre 2007. Pedro Carreño, il ministro dell’Interno e della Giustizia del Venezuela di Hugo Chávez, si presentò all’incontro con il suo ospite straniero vestito casual, così come avevano concordato per telefono. Ma il suo era un casual molto studiato e molto leccato. Careño indossava solo capi con bene in vista marchi della moda made in Usa: polo e giacca Hillfinger, pantaloni Brooks Brothers, mocassini Sebago. Il ministro si mostrò assai felice quel giorno di aprile del 2007: al suo interlocutore, con il quale doveva discutere di questioni di sicurezza nell’area latinoamericana, raccontò subito che il presidente Chávez gli aveva appena fatto un dono. Una casa nuova, un regalo che era toccato a tutti i ministri del Venezuela. Peccato, aggiunse, che il suo desiderio di ristrutturarla secondo le necessità ministeriali era stato bloccato dall’intervento di un delegato municipale che gli aveva contestato lavori senza permesso e operai assunti senza gli standard minimi di sicurezza sul lavoro. Careño, come ha raccontato il testimone a "L’espresso" con la richiesta di non rivelare la sua identità, assicurò di avere cacciato in malo modo l’impiegato comunale con queste parole. «Il potere sono io. Se non te ne vai ti faccio arrestare». Spesso il potere dà alla testa. Accade a qualsiasi latitudine e quale che sia il tipo di regime nel quale si esercita. Il Venezuela, dove Chávez ha ribattezzato la sua presidenza una rivoluzione socialista e bolivarista, non fa eccezione. Con l’arrivo a Palacio Miraflores nel 1998 di un gruppo di militari (il governo oggi ne conta nove e 11 governatori su 24 hanno la stessa estrazione) che con Chávez avevano partecipato a un fallito golpe fascista nel 1992, è nata quella che lo scrittore Mario Vargas Llosa ha definito la boliborghesia, ovvero la borghesia bolivarista. Che, a sua volta, ha creato una nuova élite: i robolucionarios, crasi tra la parola robo (furto) e rivoluzionario. Sono coloro che hanno dato l’assalto alle casse dello stato strapiene di dollari provenienti dai due milioni e 400 mila barili di petrolio che ogni giorno vengono pompati dal sottosuolo del Venezuela. L’oro nero è il motore di tutto quanto accade in Venezuela. A cominciare dalle imprese dei boliborghesi, anche adesso che il chavismo ha subito una pausa di arresto con la sconfitta al referendum sulla nuova costituzione che Chávez aveva disegnato concentrando su di sé tutti i poteri, svuotando l’autonomia di qualsiasi istituzione a cominciare dalla Banca Centrale e abolendo, con la legge suprema, perfino la proprietà intellettuale. E questo assalto alla diligenza non è estraneo alla sconfitta di Chávez. William Ruperti era un capitano della Marina del Venezuela. Oggi controlla attraverso la Global Shipping la maggior parte delle spedizioni di petrolio verso i paesi compratori: in parte con navi di sua proprietà, in parte con una flotta presa di volta in volta a nolo. il premio ottenuto da Chávez per non aver rotto il fronte dello sciopero del 2001 che portò al blocco delle spedizioni di petrolio. Ruperti è entrato anche nel mondo dell’informazione: ha acquistato la frequenza di Puma Tv, l’unica emittente musicale del Venezuela, per trasformarla in Canal I, informazione 24 ore su 24 in chiave chavista. La storia di Ruperti potrebbe essere anche letta attraverso la lente del brillante imprenditore che sale sul carro del potere al momento giusto e decolla verso la ricchezza perché ha intuito e coraggio. Difficile pensare la stessa cosa di Arne Chacón Escamillo, fratello di Jesse Chacòn, fino un anno fa ministro dell’Interno e della Giustizia, oggi titolare del Conatel che sovrintende a radio e televisione. Arne Chacón al tempo del golpe del 1992 era un tenente, fu cacciato dall’esercito quando i congiurati non riuscirono nel loro intento e si riconvertì in taxista a Caracas. Nel 1998, eletto Chávez presidente, fu chiamato nell’amministrazione come supervisore in un ministero finanziario. Quello è stato il suo trampolino di lancio. Oggi Escamillo possiede il 49 per cento del Banco de Inversion, attraverso la banca un paio di aziende che producono latte, e La Rinconada, un latifondo dove c’è un allevamento di purosangue. L’ex tenente ha così spiegato in una intervista al quotidiano "La Razón" come è diventato un banchiere: «Non avevo denaro per pagare il 49 per cento di Baninvest. L’accordo fu che metà dei miei sette mila dollari di stipendio come presidente, più i dividendi delle azioni a me intestate, sarebbero stati il modo per pagare a rate l’acquisto della banca». I segni più evidenti dell’ascesa rampante dei robolucionarios - nel Paese sono centinaia i personaggi come Ruperti ed Escamillo - sono i beni di lusso. A cominciare da case e macchine. Alto Prado, La Lagunita, El Bosque Country Club, Bello Monte, una volta i quartieri residenziali della borghesia venezuelana, quasi tutta democristiana e filo americana che ha generato il chavismo con il suo immobilismo ventennale, sono ora la meta ambita dei nuovi ricchi. E le macchine devono essere visibili: banchieri e governatori, sindaci e imprenditori rampanti trovano soddisfazione solo il giorno in cui conquistano una Hummer, veicoli civili nati dalle auto militari usate apparse sulla scena con la prima Guerra del Golfo. La General Motor ha annunciato di avere aperto sei nuove concessionarie in tutto il Paese vista la quantità di richieste. Il parco macchine del Venezuela è cresciuto del mille e 300 per cento in tre anni (la benzina costa poco meno di 4 centesimi di euro al litro), mentre l’inflazione ha toccato il 3 per cento mensile e nei supermercati di tutta la città non esiste più il latte fresco, le uova sono merce rara e appaiono cartelli con scritto: «Si possono acquistare non più di due polli a testa». Per ora, dunque, il paradiso di Chávez si può ricondurre allo slogan "Patria, Socialismo y Hummer". Della boliborghesia non fanno parte solo ex ufficiali venezuelani cacciati dopo il fallito golpe e rimessi in circolo quando Chávez guadagnò la presidenza. Ci sono anche esponenti di una classe medio alta che si sono riscoperti seguaci del Simon Bolivar del XXI secolo e che hanno moltiplicato all’infinito il loro patrimonio. Victor Vargas li rappresenta tutti. Villone nel Bosque Country Club, jet Gulfstream ed elicottero Agusta 109 all’aeroporto, un latifondo denominato Mostrenco. Insieme al socio Victor Jill, è uno dei banchieri fidati del regime con il suo Banco Occidental de Descuento. Di questa pattuglia di finanzieri chavisti fanno parte anche Leopoldo Castillo proprietario di Banvalor Banco, Orlando Castro del Banco Progresso, Luis Benshimol, che controlla tutto il mercato della valuta e che recentemente risulta sempre all’estero dopo tre omicidi legati alla scomparsa di 70 milioni di dollari dalle casse della sede cubana del Banco Industrial. Banchieri vecchi e nuovi hanno guadagnato cifre a nove zeri con un giochetto assai semplice. A trattativa privata acquistavano dal governo, o dalle sue aziende come la monopolista del petrolio PDVSA, titoli ed obbligazioni del debito pubblico non solo venezuelano, ma anche argentino, boliviano, brasiliano, ecuadoregno. Pagavano in bolivares, la moneta locale e rivendevano il tutto all’estero sotto forma di derivati finanziari in dollari. Quei soldi però, al momento di rientrare venivano ricambiati in bolivares, ma non al tasso ufficiale di 2.150 bolivares per dollaro ma al cambio parallelo che negli ultimi anni ha oscillato tra i quattro e i sei mila bolivares per dollaro. assai semplice immaginare i profitti di questa rapina. Il gioco cominciò nel 2002 con l’immissione sul mercato di 400 milioni di dollari del debito argentino. Ed è poi continuato con cifre sempre più alte, fino ad arrivare ai nove miliardi di dollari dell’anno fiscale 2005-2006, sette dei quali erano titoli emessi dalla PDVSA. Immense ricchezze sono state generate con questo semplice trucco. E i benefici non sono certo andati verso i quartieri miserabili della capitale e i poveri, ai quali è stato fornito poco pane e molta propaganda. «Nell’economia c’è anarchia allo stato puro, basta vedere la legge che permette al governo di prelevare i dollari delle riserve del Banco Centrale senza dare garanzie», è il parere di Oscar Garcia Mendoza, presidente e azionista del Banco Venezuelano di Credito. Molti pensano che in Venezuela si sia creato un grande buco nero finanziario che potrà venire alla luce solo con l’uscita di Chávez. «Questo tipo di delitti contro la vita, la proprietà e il denaro pubblico si sono intensificati grazie all’alto prezzo del petrolio», sostiene l’economista ed editorialista de El Universal Orlando Ochoa: «Esattamente come avvenne negli anni Settanta». Di fronte ai più evidenti casi di malversazione, Chávez ha strillato contro la corruzione dai microfoni di "Alò Presidente", la trasmissione televisiva dove, da solo e per lunghe ore consecutive in stile Fidel Castro, arringa il suo popolo. Ma non ha toccato nessuno, a cominciare dai governatori in odore di arricchimento con i soldi pubblici. Solo quando c’era di mezzo la sua famiglia è intervenuto. Come nel caso di Gustavo Arraiz, giovane imprenditore dei computer che strombazzava una relazione intima con la figlia del presidente mostrando in giro foto un tantino osé. Bene, quando è venuto fuori che Arraiz aveva incassato 25 milioni di dollari per un’importazione di computer che non sarebbero mai arrivati in Venezuela, l’apparato repressivo e giudiziario non ha perso un colpo. Arraiz, fermato a Panama City, è stato prelevato in piena notte dalle teste di cuoio volate veloci nello Stato centroamericano. Hugo Chávez e i suoi gerarchi nascondono mille segreti finanziari. Uno di questi si trova in Italia dal 14 settembre, in prigione accusato di traffico di cocaina colombiana. Si chiama Walter Alexander Del Nogal. Nel 1995 uccise un uomo a pistolettate e lanciò il suo corpo da un areo che sorvolava il mar dei Caraibi nell’area di Los Roques. Si beccò 20 anni e 11 mesi, ma uscì appena Chávez divenne presidente e lo ringraziò pubblicamente. Da quel giorno entrò a far parte della nuova società chavista e la sua ultima festa di compleanno finì su tutti i giornali, nonostante un altro trafficante lo avesse accusato di essere il punto di contatto tra i colombiani e funzionari pubblici venezuelani e gli svizzeri lo avessero arrestato appena mise piede nel loro paese per riciclaggio. Antonio Carlucci