L’Espresso 13/12/2007, Moises Naim, 13 dicembre 2007
La lezione dello SCIA’. L’Espresso 13 dicembre 2007. Avevamo messo tutte le uova in un solo paniere: lo scià
La lezione dello SCIA’. L’Espresso 13 dicembre 2007. Avevamo messo tutte le uova in un solo paniere: lo scià. Non vedevamo altre alternative. Il motivo principale del fallimento della politica statunitense durante la rivoluzione iraniana fu che riponemmo tutta la nostra fiducia e tutta la responsabilità nella persona dello scià dell’Iran. Lui, e non il popolo iraniano, era l’ancora della nostra strategia nel Golfo Persico. Non avevamo un Piano B... Così ha scritto Gary Sick, che durante la crisi culminata nella caduta dello scià Mohammad Reza Pahlevi era il funzionario che si occupava dell’Iran nel Consiglio nazionale di sicurezza dell’allora presidente Jimmy Carter. Leggere questo testo e confrontare il presidente del Pakistan Pervez Musharraf allo scià di Persia serve a capire molte cose. Tra le altre, che i governi non imparano. E che governare consiste, molto spesso, nel dover scegliere tra un’alternativa orribile e un’altra spaventosa. O che scommettere su un leader e non su un popolo alla lunga si rivela una cattiva idea. Forse, però, l’aspetto più illuminante nel paragone tra lo scià e Musharraf è che durante la rivoluzione iraniana, né le forze armate, né i temuti servizi di sicurezza di quel Paese, né l’appoggio della superpotenza statunitense riuscirono a impedire la caduta di Reza Pahlevi e l’ascesa al potere dell’ayatollah Ruhollah Khomeini. Accadrà qualcosa di simile con Musharraf? Sarà deposto e il Pakistan finirà con l’essere governato da fondamentalisti islamici che invece di controllare il petrolio, come è successo in Iran, controlleranno dei missili nucleari? Se così fosse, non sarebbe preferibile l’autoritarismo di Musharraf a un governo di estremisti religiosi armati di bombe atomiche? E allora, come la mettiamo con l’idea che promuovere e difendere la democrazia è, a lungo termine, il migliore antidoto contro il terrorismo islamico? Queste domande, che ci si pone con ansia e con urgenza, sono diventate in questi giorni un tema obbligato a Washington. E quando parlano sinceramente, gli esperti confessano di non avere risposte. L’esperienza in Iraq li ha fatti diventare molto pessimisti riguardo alla capacità di Washington di modellare la dinamica politica di altri paesi. Il presidente George Bush, comunque, sembra non avere dubbi. "Ho discusso con lui con molta franchezza", ha detto Bush parlando della sua conversazione con Musharraf: "Il mio messaggio è che noi crediamo fermamente che ci devono essere al più presto le elezioni e che lui deve togliersi la divisa. Non si può essere presidente e capo dell’esercito allo stesso tempo". E Musharraf sembra aver raccolto il messaggio: "Le elezioni si terranno l’8 gennaio", ha detto, e alla cerimonia del giuramento per il suo secondo mandato da presidente si è presentato in abiti civili. Ma la sicurezza e la chiarezza di queste affermazioni sono ingannevoli. Il presidente Bush sa che fare troppe pressioni su Musharraf può portare alla sua caduta. E che il presidente non sarebbe necessariamente sostituito dagli avvocati in giacca e cravatta che per le strade di Karachi devono affrontare le bombe lacrimogene del regime o da Benazir Bhutto. Sa che gli eventuali successori di Musharraf o di un eventuale regime provvisorio potrebbero essere molto probabilmente i fondamentalisti islamici che simpatizzano con i talebani e con Al Qaeda. Bush sa anche che negli ambienti che si occupano di queste cose il Pakistan è universalmente considerato il paese più pericoloso del mondo. Si consideri la frammentazione interna, un governo molto impopolare, i 65 milioni di pachistani che vivono in condizioni di estrema povertà e gli altri 65 milioni che superano appena la soglia dell’indigenza (in un Paese di 160 milioni di abitanti), la popolarità dell’estremismo islamico e del terrorismo suicida come strumento politico. Si aggiunga a tutto questo il conflitto con l’India per la regione del Kashmir, le frizioni con l’Afghanistan, i talebani che operano nella regione della frontiera e, ovviamente, le armi nucleari e avremo gli ingredienti di un cocktail esplosivo che non è prudente scuotere troppo. E lo sa anche Pervez Musharraf. Qualcosa di simile sapevano anche Jimmy Carter e Reza Pahlevi trent’anni fa. Tutti e due credettero di poter fare qualcosa al riguardo. Capirono troppo tardi quanto si fossero fatalmente sbagliati entrambi. Moises Naim