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 2007  dicembre 13 Giovedì calendario

Che bel bosco di plastica. L’Espresso 13 dicembre 2007. Si sa che ai primi posti fra le cause del riscaldamento globale ci sono le elevate emissioni di anidride carbonica (Co2), in particolare dovute alle attività umane

Che bel bosco di plastica. L’Espresso 13 dicembre 2007. Si sa che ai primi posti fra le cause del riscaldamento globale ci sono le elevate emissioni di anidride carbonica (Co2), in particolare dovute alle attività umane. Quale miglior metodo per ridurre gli effetti di questo gas serra, quindi, se non eliminarlo? Quella che potrebbe sembrare una provocazione è invece l’oggetto di diversi studi scientifici internazionali che hanno l’obiettivo di impacchettare la Co2 e metterla da parte. Una priorità non solo ’da laboratorio’ ma sentita anche a livello politico-istituzionale, tanto che in una recente relazione approvata a larga maggioranza il Parlamento europeo ha sottolineato l’importanza di investire nelle tecnologie di "cattura della Co2". Il Vecchio Continente, infatti, produce un miliardo di tonnellate l’anno di anidride carbonica, che viene immessa nell’atmosfera. Circa un terzo proviene da centrali elettriche alimentate a combustibili fossili. La cattura e l’immagazzinamento del carbonio potrebbe ridurre tali emissioni fino al 90 per cento. Ecco quindi il motivo di un progetto portato avanti da un’azienda olandese, la Kema, e che vede coinvolto anche un centro di ricerca italiano: l’Istituto per la Tecnologia delle Membrane del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). Nanoglowa, questo il nome del progetto del valore di 12 milioni di euro, ha come mission quella di realizzare, ricorrendo alle nanotecnologie, delle membrane in grado di filtrare e quindi intrappolare (soprattutto dai fumi industriali) la Co2. Nanoglowa è solo un esempio di come combattere l’anidride carbonica contro cui si stanno studiando strategie anche alla Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Bali che terminerà il prossimo 14 dicembre e che rappresenta il ’dopo Kyoto’ per la messa a punto di piani internazionali per contrastare il riscaldamento globale. Negli ultimi anni la Co2, infatti, ha visto la sua produzione crescere a ritmi vertiginosi. Fra il 1990 e il 2005 la emissioni sono aumentate del 12 per cento e del quattro per cento negli ultimi cinque anni. Non solo. Se dovessero essere confermati i trend attuali, l’anidride carbonica prodotta per generare energia raggiungerà nel 2020 circa 530 milioni di tonnellate, un incremento di oltre il 30 per cento rispetto agli inizi degli anni Novanta. Porsi, come ha fatto l’Unione Europea, l’obiettivo di ridurre del 20 per cento la Co2 rispetto ai valori del 1990 vuol dire, quindi, abbattere le emissioni di circa 210 milioni di tonnellate. Ma non è solo il Vecchio Continente a studiare tecnologie contro la Co2. Negli Stati Uniti, alla Columbia University di New York il professore di geofisica Klaus Lackner ha in mente un progetto suggestivo: creare degli alberi sintetici capaci di catturare (non solo presso impianti industriali) anidride carbonica grazie a un rivestimento di idrossido di sodio delle ’foglie artificiali’. Secondo le stime di Lackner, un suo albero sarebbe in grado di far sparire dall’atmosfera 90 mila tonnellate di Co2 ogni anno, più o meno quanta ne producono i tubi di scappamento di 15 mila automobili nello stesso periodo. Il ricercatore statunitense sostiene che piazzando circa 250 mila alberi sintetici in tutto il mondo si potrebbero eliminare i 22 miliardi di tonnellate di anidride carbonica che ogni anno vengono prodotte sulla Terra. Al di là di alcune questione tecniche di non poco conto (per esempio i consumi energetici e i costi di manutenzione degli stessi alberi sintetici), il tema principale è quello di dove mettere la Co2 una volta catturata. Al momento il progetto di Lackner prevede il ricorso al magnesio che legato all’anidride carbonica forma delle rocce, più semplici da smaltire dei gas. Un processo chimico che però è ancora troppo costoso in termini sia economici sia energetici: in molti pensano che si spenderebbe più energia per catturare la Co2 di quella che si potrebbe eliminare. Lo stoccaggio dell’anidride carbonica è infatti un problema non ancora risolto. L’ipotesi più caldeggiata in questi ultimi anni è l’utilizzo di zone del sottosuolo come giacimenti di petrolio e di gas esausti. Secondo una stima dell’italiano Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia nel nostro paese si potrebbero iniettare nel sottosuolo da 20 a 40 miliardi di tonnellate di Co2, mentre uno studio dell’Intergovernmental Panel on Climate Change del 2005, sostiene che sul nostro pianeta esistono cavità sufficienti per poter stoccare almeno 2.000 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, cioè 40 volte il quantitativo di gas serra emesso in un anno dalla popolazione mondiale. Eppure anche questa tecnica da anni sperimentata nei siti di Weyburn (Canada), In Salah (Algeria) e Sleipner (Norvegia) non mette tutti d’accordo, soprattutto nel fronte ambientalista. Il motivo non è tanto la mancanza di certezze sul futuro (per quanto tempo potremo stoccare l’anidride carbonica? Siamo sicuri che rimarrà sempre lì? E quali effetti avrà sull’ambiente l’immissione sottoterra di Co2?) quanto l’idea che se si crede di continuare a stoccare l’anidride carbonica significa che si sta pensando poco all’utilizzo di fonti alternative. Ecco perché diversi progetti di stoccaggio in Italia (Enel, per esempio, sta progettando un impianto pilota a Brindisi) vengono guardati con diffidenza nonostante anche nel programma dell’Unione alla pagina 143 ci sia scritto: "Riteniamo che vadano intensificati gli sforzi di ricerca sul sequestro del carbonio". "In generale sono scettico sul ricorso a nuove tecnologie per ridurre le emissioni di gas serra", spiega Giampiero Maracchi, direttore dell’Istituto di Biometeorologia (Ibimet) del Cnr. "Il motivo è semplice: più tecnologie si usano, maggiore è il consumo di energia. Per ridurre l’effetto serra bisogna partire dal cambiamento dei modelli economici e degli stili di vita. Se d’inverno si desidera avere la casa al caldo 24 ore su 24 è inutile pensare a tecnologie innovative. Per abbassare i consumi basterebbe accontentarsi di 18 C e mettersi un maglione in più. E poi bisogna iniziare a puntare davvero sulle fonti alternative: ogni giorno l’energia solare che colpisce la Terra è 10 mila volte quella che utilizziamo". Comunque, nonostante la forte opposizione, le tecniche per catturare la Co2 continuano a essere sviluppate. E in alcuni casi anche al limite della fantascienza. Basti pensare all’idea di fertilizzare le acque degli oceani con sostanze ferrose. Queste ultime, infatti, rappresentano dei nutrienti per le microalghe che non solo catturano l’anidride carbonica ma, morendo, finiscono sul fondo del mare intrappolando il gas serra. Anche qui, però, non si conoscono gli effetti a lungo termine della fertilizzazione degli oceani e quali potrebbero essere gli eventuali danni per il resto della fauna e flora marina. E se un progetto del genere si potrebbe far partire in pochi anni, più arduo è seguire il consiglio dell’Accademia Nazionale delle Scienze Usa che ha suggerito di erigere una serie di specchi nello Spazio con il compito di riflettere (o bloccare) i raggi solari, abbassando di conseguenza la temperatura sulla Terra. Un progetto simile a quello del premio Nobel per la Chimica 1995, l’olandese Paul Crutzen. Il quale pensa che si potrebbero sparare nella stratosfera (zona dell’atmosfera compresa fra i 15 e 45 chilometri di altezza) qualche tonnellata di solfati, il cui ruolo sarebbe quello di creare un ’ombrello’ per ridurre l’intensità dei raggi solari. Ma anche lo stesso ricercatore sa bene che risolvendo un problema (il riscaldamento globale) ne nascerebbero di altri come un’influenza negativa sulla crescita della vegetazione. E poi ancora non esiste un mezzo in grado di trasportare nella stratosfera una così grande mole di solfati. FEDERICO FERRAZZA *************   Usa bocciati, Canada promosso. L’Espresso 13/12/2007.   Primi Stati Uniti (quasi 2,8 miliardi di tonnellate da oltre 8 mila impianti), seconda Cina (2,7 tonnellate), terza Russia (poco più di 660 mila tonnellate). Sfiorano il podio India con 583 milioni di tonnellate e Giappone con 400 milioni di tonnellate.  la classifica dei paesi che, attraverso le loro centrali elettriche, immettono più anidride carbonica nell’atmosfera. A stilarla è il Center for Global Development, un think tank indipendente con sede a Washington DC. Carma (Carbon Monitoring for Action), questo il nome del database della Cgd disponibile all’indirizzo carma.org e a cui la prestigiosa rivista scientifica ’Nature’ ha appena dedicato un articolo, è nato per svelare le attività e le emissioni delle 50 mila centrali elettriche sparse nel mondo, prevedendo anche quali saranno i consumi futuri. L’archivio, nel quale si possono lasciare anche dei commenti, evidenzia come la quantità di Co2 emessa da centrali elettriche sia di 10 miliardi di tonnellate ogni anno. La classifica di Carma mette in buona posizione l’Italia che occupa il 12 posto a livello mondiale e il quarto su scala europea dopo Germania, Gran Bretagna e Polonia. Il nostro Paese emette 165 milioni di tonnellate di Co2 a fronte di 224 milioni di megawattora di elettricità. Quasi il 70 per cento di questa elettricità viene prodotto con combustibili fossili (per esempio il petrolio) mentre il 15 per cento proviene da centrali idroelettriche. Una situazione che, se si dovessero confermare i trend attuali, rischia di peggiorare, visto che le previsioni del Cgt parlano di un aumento fino a 248 milioni di tonnellate Co2 da qui a dieci anni con una crescita significativa della quota di fonti fossili. Le stime di Carma sono state fatte in base alle informazioni fornite dai governi, dalle aziende o ricavate attraverso un’analisi degli impianti. Tre delle prime cinque aziende con gli impianti più inquinanti si trovano in Cina: Huaneng Power International (1 ), China Huadian Group (4 ) e China Power Investment (5 ). Al secondo posto la sudafricana Eskom e al terzo l’indiana Ntpc. La centrale che consuma di meno a fronte della sua produzione di elettricità si trova in Brasile, sul fiume Paranà dove la diga di Itaipú consente di generare oltre 63 milioni di megawattora. Il paese industrializzato più virtuoso è invece il Canada le cui centrali emettono solo 144 milioni di tonnellate di Co2: oltre il 60 per cento degli impianti è infatti idroelettrico.