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 2007  dicembre 10 Lunedì calendario

Il Nobel che offese i neri ha antenati di colore. Corriere della Sera 10 dicembre 2007. LONDRA – Ha vinto il Nobel scoprendo la struttura del Dna ed è diventato un paria della comunità scientifica dicendo più o meno che i popoli di pelle nera sono geneticamente meno intelligenti dei bianchi

Il Nobel che offese i neri ha antenati di colore. Corriere della Sera 10 dicembre 2007. LONDRA – Ha vinto il Nobel scoprendo la struttura del Dna ed è diventato un paria della comunità scientifica dicendo più o meno che i popoli di pelle nera sono geneticamente meno intelligenti dei bianchi. Ora il genoma di James Watson riserva una sorpresa: il professore americano ha molto probabilmente avuto un antenato venuto dall’Africa nera. La scoperta è stata fatta dalla «deCode Genetics », un istituto di ricerca islandese che ha studiato la mappa genetica dello scienziato.  emerso che il 16 per cento dei geni di Watson hanno una origine nera, una presenza straordinaria per un uomo di pelle bianca: in genere le persone di origine europea non hanno nel loro codice più dell’1% di geni africani. «Il 16% è il livello che ci si attenderebbe in qualcuno che ha avuto un bisnonno africano, siamo rimasti molto sorpresi di avere questo risultato con James», ha detto al Sunday Times il dottor Kari Stefansson, neurologo e dirigente della «deCode». Il premio Nobel sarà sicuramente incuriosito dal sapere che i colleghi islandesi hanno rilevato in lui anche un ulteriore 9% di geni non europei, ma asiatici. Lo studio è stato reso possibile dal dottor Watson, che ha generosamente messo a disposizione della scienza la mappa dei suoi geni. James Watson, 79 anni, premio Nobel nel 1962 per gli studi sul Dna, si è divertito in tutta la sua vita a tirare sassi politicamente scorretti nello stagno della scienza. Ha ipotizzato un collegamento tra libido sessuale e neri; ha suggerito che «la stupidità si potrebbe curare»; ha detto che «se si potessero individuare i geni dell’omosessualità prima della nascita, molte donne sceglierebbero l’aborto». Ma ha raggiunto il culmine a ottobre, quando in un’intervista al Sunday Times disse: «Sono pessimista sulle prospettive dell’Africa, perché tutte le politiche sociali dell’Occidente sono basate sul fatto che la loro intelligenza sia uguale alla nostra, mentre tutti i test svolti affermano il contrario... La gente che deve trattare con dipendenti neri sa che non è vero». La frase era finita in fondo a un lunghissimo articolo ed era stato un altro giornale a pescarla qualche giorno dopo. Quando l’Independent aveva fatto scoppiare lo scandalo, il professore era in viaggio verso Londra dagli Stati Uniti, dove era lo stimato nume tutelare del Cold Spring Harbor Laboratory dello Stato di New York. Watson avrebbe dovuto tenere un ciclo di conferenze in Gran Bretagna, per presentare il suo nuovo libro di memorie Avoid boring people (Evitate le persone noiose). Nel volume ha scritto tra l’altro che «non c’è alcun motivo di credere che le capacità intellettuali di popoli geograficamente separati nella loro evoluzione si siano evolute in modo identico. Il nostro desiderio di considerare una uguale forza della ragione come eredità comune a tutta l’umanità non basta per fare in modo che sia così». Africani meno intelligenti, per motivi sociali e genetici, dunque, secondo il luminare. Una dopo l’altra le istituzioni britanniche che lo avrebbero dovuto ospitare hanno cancellato l’appuntamento, a partire dal Science Museum di Londra. A quel punto, umiliato, James Watson è tornato negli Stati Uniti. Ha chiesto scusa, ha detto che non era sua intenzione sostenere che tutto il continente africano fosse geneticamente inferiore, ma ha ribadito che «la genetica può essere crudele». E «interrogarsi sull’intelligenza genetica non è razzismo ». Anche il Cold Spring Harbor Laboratory ha preso le distanze, sospendendolo e a novembre lui si è dimesso, dopo 39 anni e oltre 100 milioni di dollari raccolti per il centro studi di Long Island (parte dei fondi erano arrivati proprio grazie agli affascinanti discorsi del Nobel). Il 16 per cento di geni «neri» nel suo codice daranno modo al dottor Watson di elaborare qualche altra teoria. In passato ha detto: «In realtà non ho mai avuto una mente eccezionale». Guido Santevecchi ********************* E se fosse geniale grazie alle «origini»? Corriere della Sera 10 dicembre 2007. Che Watson sia intelligentissimo e sappia quello che vuole è noto. Aveva poco più di vent’anni quando decise che alla struttura del Dna non ci si sarebbe arrivati studiando i batteri come facevano negli Usa, ma attraverso conoscenze di cristallografia che non aveva. Quindi si trasferì in Inghilterra. E se queste qualità venissero dal fatto che nel Dna di Watson ci sono più geni che arrivano dall’Africa che in ciascuno di noi? Quanto siamo intelligenti, e in generale come siamo, dipende dai geni ma ancor più da come i geni sono regolati. Ci sono più di 110 mila regioni di Dna che non servono alla sintesi delle proteine ma a far funzionare i geni, e a regolare i rapporti fra geni e attività delle cellule. Le cellule del cervello dialogano tra loro in rapporto alla espressione di certi geni. E dal dialogo fra le cellule dipende tutto quello che siamo capaci di fare e l’intelligenza. Nel dire che i neri sono meno intelligenti dei bianchi, Watson ha sbagliato, ma ha sollevato un problema complesso ed è tornato al centro del dibattito scientifico. Lui che oltre ad avere più geni «neri» di ciascuno di noi ha anche tutti quelli delle primedonne. GIUSEPPE REMUZZI