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 2007  dicembre 07 Venerdì calendario

«Meno tangenti ai politici Ormai contano poco». Corriere della Sera 7 dicembre 2007. MILANO – «Come fai a comprare una legge da un Parlamento che non riesce neppure a legiferare? Oggi alle imprese conviene corrompere il capo delle operazioni di finanza strutturata di Londra, piuttosto che il politico locale»

«Meno tangenti ai politici Ormai contano poco». Corriere della Sera 7 dicembre 2007. MILANO – «Come fai a comprare una legge da un Parlamento che non riesce neppure a legiferare? Oggi alle imprese conviene corrompere il capo delle operazioni di finanza strutturata di Londra, piuttosto che il politico locale». Il pm milanese Francesco Greco ne appare convinto: rispetto a Mani pulite, il rapporto tra politica e tangenti «è molto più sfumato. C’è molto più lobbismo» ma «girano meno soldi». L’idea che questa sia solo un’illusione ottica, e che magari siano i magistrati a non essere più capaci di trovare e provare i soldi ai politici, lo sfiora ma non lo conquista. Può darsi che «ci siamo rimbecilliti noi, e che i meccanismi di erogazione delle tangenti siano talmente sofisticati» che «non siamo più in grado di trovarli», concede. «Ma è anche vero che, per la legge dei grandi numeri, se finora non abbiamo trovato che piccole "mance", vuol dire che l’ammontare della corruzione tradizionale è risibile rispetto alle tangenti scoperte da Mani Pulite. Oggi è più un discorso di lobby, di clientele, di favori, di conflitti d’interessi ». Nei quali il manager d’impresa «fa un favore ai partiti» e in cambio «ha la facoltà di tenersi il bottino, salvo piccole royalties » per una politica che, ad avviso di Greco, non è più così affamata di soldi. Un po’ perché «dopo Mani Pulite la politica si è costruita fonti "ufficiali" per il proprio finanziamento, a cominciare dai cosiddetti "rimborsi elettorali"». E molto, invece, perché nella globalizzazione «si è moltiplicata la corruzione internazionale. Nell’economia mondiale comandano le banche, gli hedge fund, i grandi gruppi di potere nell’energia». Per il pm «è lì che si fanno le vere strategie politiche. Cos’è un governo locale, come quello italiano, rispetto al potere che esprimono questi centri finanziari? Niente». Ma se «comanda la finanza», allora le imprese, «prima di rivolgersi alla politica, devono tenersi buona la banca con cui sono indebitate». E anche nelle scalate bancarie, per il pm «probabilmente c’è stata l’illusione di ingegneria politico-finanziaria, che però si è scontrata con i soldi veri». Sono questi gli occhiali che sceglie di inforcare il pm in questi anni delle inchieste Icomec, Eni-Montedison, Enelpower, Parmalat, Antonveneta e Siemens in un lungo colloquio con Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio, autori di Mani sporche 2001-2007. Così destra e sinistra si sono mangiati la II Repubblica, da oggi in libreria per Chiarelettere. L’unico filo conduttore, tra la Mani pulite di 15 anni fa e le indagini odierne su scalate bancarie e giganti dell’energia, a Greco appare «la mala gestio delle imprese: desiderio di arricchirsi, voglia di scorciatoie, incapacità di fare vero business da parte dei manager e dei grandi azionisti, l’arroganza del capitalismo finanziario che spesso impone le operazioni di finanza strutturata». Ma «mettendo in fila i processi» fatti con i colleghi, Greco vede solo «molti manager che rubano, e pochi che offrono soldi a terzi». Una visione che, pur mitigata da una sana autoironia, sembra confidare nell’esaustività delle capacità investigative, e distinguere le inchieste per gradi: «Non dico che non ci sia più la corruzione a livello locale, processi di corruzione se ne fanno ancora molti ma tutti di basso livello». Ma che forse risente anche di recenti specifiche esperienze. Come nel passo in cui Greco, ammettendo che nei tanti fondi neri scoperti «non abbiamo» però «trovato passaggi successivi a terze persone, nessun bonifico a politici», fa un esempio. Che riguarda Tizio e Caio. Ma somiglia molto alla storia dei 50 milioni di euro sequestrati agli ex manager Unipol Consorte e Sacchetti nell’inchiesta Antonveneta: «Tutti i soldi che abbiamo trovato a questa gente erano e sono lì. Fermi. I soldi di Tizio stanno in quella fiduciaria, i soldi di Caio in quel conto bancario. Non so se conservavano questi bottini solo per sè, o li tenevano anche per altri. un fatto che i bottini stanno nelle loro tasche. Punto». Luigi Ferrarella