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 2007  dicembre 08 Sabato calendario

Galileo, il genio vanitoso «Questo è il suo vero volto». Corriere della Sera 8 dicembre 2007. PADOVA – E’ uno sguardo che racchiude la scienza dei cieli

Galileo, il genio vanitoso «Questo è il suo vero volto». Corriere della Sera 8 dicembre 2007. PADOVA – E’ uno sguardo che racchiude la scienza dei cieli. Non si può osservarlo indifferenti e non sentirsi scrutati. Emerge, così, dalle pieghe del tempo un nuovo ritratto finora sconosciuto di Galileo Galilei. E’ un disegno a carboncino e gesso rosso che il genio pisano ha tenuto con sé nella casa di Arcetri per 18 anni e che, forse, ogni tanto sbirciava, compiaciuto della forza che emanava. «Quando l’ho visto sono rimasto impressionato» racconta emozionato William Shea, che siede sulla cattedra galileiana dell’Università di Padova. E tra le pareti dell’illustre ateneo dove Galilei raccontava e spiegava quattro secoli fa le sue scoperte e la sua rivoluzione, il prezioso ritrovamento sarà presentato lunedì. La storia inizia per caso vent’anni fa, quando l’ingegner Giovanni Nicodano, appassionato collezionista di ritratti, arriva da Biella per visitare a Milano una mostra d’antiquariato. Con stupore tra piccoli fogli ingialliti sul tavolo dell’antiquario Pietro Scarpa riconosce i tratti del grande scienziato. Quasi non ci crede, approfondisce, tratta e con gioia se lo porta a casa. Ha con sé il certificato di autenticità ma cerca altre conferme che non trova. Finché nel marzo scorso legge sul Corriere della Sera un articolo dedicato ad un acquerello della Luna di Galileo Galilei scoperto dal professor Shea. «Lo interpellai immediatamente – ricorda Nicodano – finalmente era l’interlocutore ideale». Le indagini scavano in varie direzioni per ricostruire la vita del disegno proveniente dalla collezione del conte Holtkott di Monaco. Ma i percorsi del foglio non sono facili da tracciare. Si sa che era stato venduto dalla nobile famiglia tedesca dopo la seconda guerra mondiale con altri quadri e Marcus l’ultimo discendente lo ricordava appeso nella casa del nonno. La ricostruzione fa però pensare che prima appartenesse alle collezioni del Museo Pushkin di Mosca che i bolscevichi in parte vendettero dopo la rivoluzione. Come fosse giunto lì nessuno ancora lo spiega. L’autore del disegno è Ottavio Leoni, nato a Padova nel 1578 ma trasferitosi presto a Roma. Alla sua origine, però, ci teneva, tanto da farsi chiamare «padovanino». Diventò celebre come ritrattista di grandi personaggi della sua epoca dei quali restituiva un’immagine quasi fotografica, veritiera e densa di vita. Così raggiunse la fama e da lui andavano a farsi il ritratto uomini famosi come il Bernini e il Caravaggio. Anche Galileo, che sempre amò oltre la scienza i piaceri dell’esistenza, si invaghì dell’idea e quando nel 1624 si recò a Roma fece visita al Leoni chiedendogli di mettersi all’opera. Di solito egli faceva due copie: una la consegnava al committente ed un’altra la teneva con sé per poter effettuare, poi, delle incisioni. In questo caso, però ne preparò tre. Una, firmata e datata maggio 1624, è al Museo del Louvre a Parigi, dove non si sa come vi sia giunta, e una seconda non firmata è alla biblioteca Marucelliana di Firenze. «Del terzo esemplare, che spunta ora, non se ne sospettava l’esistenza ma tutti gli elementi portano a credere della sua autenticità a partire dal fatto che dal 23 aprile al 16 giugno Galilei era a davvero Roma», commenta Shea che coinvolge nelle indagini il professor Horst Bredekamp, illustre storico dell’arte della Humboldt-Universität di Berlino. Lo specialista tedesco certifica l’età della carta e giudica il disegno un prodotto impossibile per un falsario notando, in particolare, la rapidità e la freschezza del tratto. «E’ un magnifico ritratto umano – aggiunge Shea ”, volitivo, ben diverso dai volti artificialmente ispirati del fiammingo Joost Sustermans o di quello giovanile di Domenico Tintoretto, figlio meno bravo del grande padre. Tra i sei diversi ritratti esistenti questo mostra il vero Galileo perché Leoni non ha abbellito il suo ospite». Il terzo esemplare, anch’esso non firmato, se lo portò ad Arcetri lo scienziato tenendolo con sé fino alla morte. «Il figlio Vincenzo che era un pigro non avvertiva il senso dell’eredità – dice Shea ”. Il disegno e altri documenti, passano nelle mani delle generazioni successive finché i discendenti nella metà del Settecento vendono tutto». E da qui prende il volo in direzioni misteriose approdando, probabilmente, a Mosca. E ora è tornato è tornato nella «sua» città. «E’ un’opera che ci restituisce il Galileo a cui dobbiamo il grande contributo dato alla cultura – commenta Vincenzo Milanesi, rettore dell’università patavina ”. Dal momento che ciò accadeva soprattutto quando insegnava nel nostro ateneo è giusto che esponiamo questa immagine capace di farlo di nuovo rivivere tra noi». Giovanni Caprara