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 2007  dicembre 10 Lunedì calendario

MUGABE VARI


Corriere della Sera 09/12/2007 pag.3
Massimo A. Alberizzi
L’eccentrico tiranno che ingannò l’Occidente. Chissà quanto si saranno pentiti i componenti del senato accademico dell’Università di Edimburgo per aver consegnato il 21 luglio 1984 la laurea honoris causa all’ex prigioniero politico Robert Mugabe da poco diventato premier dello Zimbabwe. Lord Carrington, ex ministro degli Esteri britannico, aveva raccomandato l’onorificenza «per le doti intellettuali e l’alta statura come leader del suo Paese». La laurea gli è stata tolta il 17 luglio di quest’anno. Allora era considerato un combattente per la libertà, ora è ritenuto uno dei dittatori più brutali.
Eccentrico, istrione, ma anche violento e sanguinario con 5 lauree, di cui tre prese mentre scontava 10 anni di carcere per attività sovversiva, Mugabe non ha esitato a reprimere con il pugno di ferro la rivolta nel Matebeland (20 mila morti quasi tutti civili di etnia Ndebele) poco dopo essere arrivato al potere. Cattolico di formazione, è convinto che contro di lui sia stato organizzato un complotto gay (l’omosessualità è proibita in Zimbabwe). Fino a 15 anni fa le sue sortite venivano considerate come esternazioni di un personaggio stravagante, anticonformista e bizzarro. Il suo Paese tutto sommato funzionava, l’economia andava a gonfie vele e l’agricoltura non solo copriva il fabbisogno nazionale ma anche provvedeva, con le esportazioni, a rimpinguare le casse dello Stato.
Nel 1997 l’inversione di marcia. Tony Blair annuncia di tagliare i fondi previsti dal trattato sull’indipendenza del Paese (il Lancaster House Agreement) per comprare le terre dai bianchi e ridistribuirle ai neri. «In realtà vengono assegnate ai notabili del regime e non ai poveracci», accusa il premier. Mugabe risponde: «Confischiamo le terre dei bianchi». Il Paese considerato fino allora uno dei più prosperi del continente, crolla. La produzione agricola precipita, l’inflazione sale alle stelle (oggi è la più alta al mondo), la disoccupazione raggiunge l’80 per cento. Sul piano politico comincia una dura repressione. I critici vengono messi in carcere, i giornali chiusi, chi partecipa alle dimostrazioni viene picchiato a sangue. Nel Paese si comincia a morire di fame. La corruzione dilaga. E anche l’Aids. Ma lui dalla sua nuova residenza con 25 camere da letto imperterrito continua a pontificare: «La colpa non è mia. del colonialismo che ha portato la decadenza morale».



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La Repubblica 09/12/2007
MARCO MAROZZI
La Merkel contro Mugabe "Fa male a tutta l´Africa". LISBONA - Robert Mugabe, ma non solo. Il presidente da sempre dello Zimbabwe continua ad essere la star negativa del vertice Unione europea-Africa: Angela Merkel lo ha attaccato per la sistematica violazione dei diritti umani, che fa di lui il primo dei 131 personaggi che non possono entrare nella Ue. «Tutta l´Europa unita ha la stessa visione» ha detto la cancelliera tedesca. Le spine però non si fermano al capo dell´ex-Rhodesia britannica.
Il presidente della Commissione dell´Unione africana Alpha Oumar Konaré, del Mali, ha denunciato il «forcing» degli europei nei negoziati su nuovi accordi commerciali fra la Ue e i Paesi dell´ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) e ha accusato la Commissione Ue di stipulare accordi con piccoli gruppi o singoli Stati dell´ACP. «Rivendichiamo di avere tutto il tempo per decidere di farlo collettivamente per non impoverire le nostre popolazioni e non ripetere quel che è successo in un´altra epoca» ha detto, evocando il colonialismo. Il senegalese Abdulaye Wade da parte sua ha definito «non esatte» le informazioni di Angela Merkel, «che stimo molto». «Le violazioni dei diritti in Zimbabwe non sono superiori a quelle in altri Paesi africani». E in un intervento sui diritti umani il sudafricano Thabo Mbeki non ha citato Mugabe.
Valerie Amos, origini giamaicane, mandata dal governo inglese che ha rifiutato il premier Gordon Brown, lo ha giustificato dicendo che media fra Mugabe e i suoi oppositori. «La situazione nello Zimbabwe nuoce a tutta l´Africa - aveva detto Angela Merkel - Riguarda sia l´Africa che l´Europa». Mugabe ascoltava impassibile. «Angela Merkel ha parlato per tutta la Ue» ha commentato lo svedese Fredrik Reinfeldt. «Io spero che questa atmosfera di cooperazione riesca anche a far sorgere una mediazione su questo tema» ha sdrammatizzato Romano Prodi.
L´Italia ha stanziato 40 milioni di euro alla Ua per aiutare gli sforzi di pace e di ricostruzione nel continente africano. Il premier italiano ha avuto parole conciliati anche per un altro dei leader più osservati, Gheddafi, che venerdì aveva attaccato all´Università di Lisbona le potenze coloniali. Ieri, il leader libico ha spiegato: «Il pagamento delle compensazioni per il colonialismo da parte dei paesi europei contribuirebbe a fermare l´immigrazione». Gheddafi ha avuto una plateale stretta di mano da Nicolas Sarkozy, che la prossima settimana lo riceve a Parigi fra polemiche.


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LA REPUBBLICA 09/12/2007
DORIS LESSING
"Nella terra di Mugabe dove si lotta per un libro". ZIMBABWE nordoccidentale, primi Anni 80. Sono in visita a un amico che un tempo insegnava a Londra. qui per "aiutare l´Africa", come diciamo tra di noi. Ha un animo idealista e quel che ha trovato in questa scuola lo ha fatto cadere in una depressione dalla quale è uscito a fatica. Questa scuola assomiglia a tutte quelle costruite dopo l´Indipendenza.
Quattro ampie stanze di mattoni, una accanto all´altra, tirate su direttamente sulla polvere, con una stanzetta in fondo che sarebbe la biblioteca. Nelle aule ci sono lavagne, ma il mio amico tiene i gessetti in tasca perché altrimenti li ruberebbero. Non ci sono cartine geografiche né mappamondi, né libri di testo né quaderni o penne. Nella biblioteca non ci sono libri che possano interessare ai ragazzi, solo tomi provenienti dalle Università americane, scartati dalle biblioteche dei bianchi. C´è una capra che cerca nutrimento tra l´erba. Il preside si è intascato i fondi ed è stato sospeso. Il mio amico non ha denaro perché quando riceve la paga, tutti gli chiedono un prestito e probabilmente non gli restituiranno mai il dovuto. I ragazzi hanno tra i 6 e i 26 anni, perché alcuni non sono andati a scuola prima e sono qui per rimediare. Ci sono studenti che ogni mattina, piova o splenda il sole, percorrono miglia a piedi e attraversano fiumi. Non possono fare i compiti perché nei villaggi non c´è elettricità e non è facile studiare alla luce di un ceppo che brucia. Quando tornano a casa e prima di andare a scuola, le ragazze devono andare a prendere l´acqua e cucinare. Mentre sto con il mio amico, la gente arriva e tutti, tutti, implorano che gli vengano dati dei libri: «Ci insegnano a leggere, ma non abbiamo libri». L´ultimo giorno hanno ucciso la capra. La tanto attesa festa di fine semestre era questa: capra bollita e porridge. Non credo che molti studenti di questa scuola riceveranno premi.
Il giorno dopo mi trovo in una scuola di North London. Begli edifici e giardini. In mente ho ancora la scuola che sorge tra la polvere, nel nordovest dello Zimbabwe. Guardo questi volti vagamente incuriositi e cerco di raccontare loro ciò che ho visto la settimana prima. Aule senza libri, nemmeno una cartina appesa al muro. Una scuola dove gli insegnanti supplicano che gli si mandino libri. Chi mi ascolta non è in grado di capire: non ha immagini da associare a quanto sto raccontando, in questo caso, di una scuola immersa in una nuvola di polvere, dove l´acqua scarseggia e dove la festa a fine semestre è una capra appena uccisa e cotta in un pentolone. davvero così impossibile per loro immaginare una tale misera povertà? Sono piuttosto sicura che qualcuno tra loro vincerà dei premi.
Resto con gli insegnanti e, come sempre, chiedo come sia la biblioteca e se i ragazzi leggano. E qui, in questa scuola per privilegiati, mi sento dire ciò che sento dire ogni volta nelle scuole e persino nelle università: «Sa com´è. Molti ragazzi non hanno mai letto e la libreria è poco frequentata». «Sa com´è». Sì, lo sappiamo com´è. Lo sappiamo tutti. Abbiamo assistito ad un´invenzione straordinaria: computer, internet e tv. Una rivoluzione che ha irretito un´intera generazione con le sue inanità.
Ma non ci siamo solo noi al mondo. Non molto tempo fa un´amica mi ha chiamato, dicendomi di essere stata in Zimbabwe, in un villaggio dove la gente non mangiava da tre giorni, ma parlava molto di libri, di come ottenerli e di istruzione. Io faccio parte di una piccola organizzazione nata per far giungere libri ai villaggi, ma tenete a mente che un libro in edizione economica proveniente dall´Inghilterra in Zimbabwe costa quanto la paga di un mese: questo prima del regno del terrore di Mugabe. Adesso, con l´inflazione, costerebbe l´equivalente di diversi anni di paga. Ma quando si portano libri in un villaggio - e ricordatevi che c´è scarsità di benzina - vengono accolti con le lacrime. Magari la biblioteca sarà un´asse su mattoni, sotto un albero, ma nel giro di una settimana inizieranno lezioni per insegnare a leggere. Si dice che ogni popolo abbia il governo che merita, ma non credo che questo sia vero per lo Zimbabwe. E dobbiamo ricordarci che questo rispetto e questo desiderio per i libri non nasce dal regime di Mugabe, ma da quello che lo ha preceduto, quello dei bianchi. un fenomeno impressionante, questa voglia di libri, e lo si può osservare ovunque, dal Kenya al Capo di Buona Speranza.
Sono cresciuta in quella che era, di fatto, una capanna di fango con il tetto di paglia - una capanna di fango, ma piena di libri - e a volte ricevo lettere da persone che abitano in un villaggio che magari non hanno elettricità o acqua potabile (proprio come capitava a me), «anche io diverrò uno scrittore, perché vivo nello stesso tipo di casa che avevi tu». Ma no, lo scrivere, gli scrittori, non escono da case senza libri. questa la differenza. qui l´ostacolo.
Ho un amico in Zimbabwe. Uno scrittore. Nero, ed è questo il punto. Ha imparato a leggere da solo, dalle etichette sui barattoli di marmellata e sulle lattine di frutta sciroppata. Trovò in un mucchio di spazzatura un´enciclopedia per ragazzi e ne apprese molte cose. Nel 1980, anno dell´Indipendenza, in Zimbabwe esisteva un gruppo di bravi scrittori, un vero e proprio vivaio. Erano cresciuti nella vecchia Rhodesia del Sud, sotto i bianchi - le scuole missionarie, le migliori. In Zimbabwe oggi non si allevano scrittori. Non facilmente, non sotto Mugabe. Tutti quegli scrittori avevano lottato per poter leggere e scrivere. Per non parlare del diventare scrittori. Leggere etichette della marmellata e enciclopedie buttate via non era raro. E stiamo parlando di un popolo che bramava livelli di scolarizzazione molto lontani dalla loro portata. Una capanna con molti bambini, una madre oberata di lavoro, la lotta per il cibo ed i vestiti. Eppure malgrado queste difficoltà erano emersi degli scrittori e dovremmo ricordare dell´altro: questo era lo Zimbabwe conquistato di fatto da meno di cent´anni. I nonni e le nonne di questa gente magari erano cantastorie nel loro clan. In una generazione o due, si era passati dalle storie ricordate e tramandate a memoria, alla stampa, ai libri. Che conquista! Libri presi letteralmente tra rifiuti e scarti del mondo dei bianchi. Eccomi qui, a parlare di libri che non sono mai stati scritti, scrittori che non sono mai riusciti ad emergere perché non ci sono editori. Voci mai ascoltate. Non è possibile valutare un tale spreco di talento, di potenziale. Ma prima ancora della fase in cui un libro ha bisogno di un editore, di un anticipo, di incoraggiamento, c´è bisogno d´altro. In Africa e ovunque nel Terzo mondo, o come vogliamo chiamarlo, vediamo genitori che desiderano dare ai propri figli un´istruzione che li salvi dalla povertà. La stessa nostra istruzione che oggi è così minacciata.



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Corriere della Sera 10/12/2007.
Luigi Offeddu
Gli africani con Mugabe: «Europa arrogante». LISBONA – «Danneggia l’immagine di tutta l’Africa», così l’altro ieri Angela Merkel aveva bollato Robert Mugabe e il regime dello Zimbabwe. Ma «tutta l’Africa», evidentemente, non era e non è d’accordo con la cancelliera tedesca. Né con gli altri 26 Paesi dell’Unione europea che lei ha rappresentato a Lisbona. Anzi: prima il Senegal, poi il potente Sudafrica, si levano a difesa del vecchio dittatore di Harare. Anche quando quest’ultimo, per niente intimidito, insulta, oltre alla Gran Bretagna che non è venuta a Lisbona, Germania, Svezia, Danimarca e Olanda: «Pensano di conoscere lo Zimbabwe meglio degli africani? Questa è l’arroganza che noi combattiamo, sono come la Banda dei Quattro». E gli altri africani, a ruota, quasi tutti. C’è chi ricorre ai silenzi diplomatici, come John Kufuor, presidente del Consiglio dell’Ua, l’Unione Africana: «Mi chiedete se Mugabe è colpevole o no? Non svelo i miei sentimenti personali. E sui diritti umani, non dobbiamo fornire garanzie a nessuno: li miglioreremo nel nostro stesso interesse, perché entriamo nel fiume della globalizzazione e niente può essere più nascosto: sappiamo che gli investitori non verrebbero più da noi, se i dittatori avessero l’impunità». Poi c’è anche chi reagisce con mugugni, e scatti di orgoglio. Così un’ombra vela la conclusione del vertice Ue-Ua, proprio sul tema dei diritti umani: eppure, come chiosa il presidente della Commissione europea Manuel Barroso, «il vertice è stato un grande successo, perché abbiamo potuto discutere apertamente, anche dei diritti umani, e negli anni 80 questi Paesi ci avrebbero detto "non vogliamo interferenze nei nostri affari interni"».
Però l’ombra si è percepita ugualmente, da una riunione all’altra, fra le centinaia di delegati. Soprattutto nelle ultime ore. «Di che cosa parlate? », tuona il presidente sudafricano Thabo Mbeki, rivolto alla Merkel e agli altri europei. «Le cose nello Zimbabwe stanno migliorando». E Mbeki è un nome che significa molto: l’erede di Nelson Mandela, colui che sconfisse l’apartheid. Ma significa molto anche la sigla Sadc, o Commissione per lo sviluppo dell’Africa Australe, l’organismo internazionale che sta cercando di riportare il dialogo ad Harare: «Il tema dello Zimbabwe qui non era all’ordine del giorno, siamo noi e Mbeki che dobbiamo occuparcene ». Ancora più secco Abdulaye Wade, presidente del Senegal: «Su Mugabe, la signora Merkel ha avuto informazioni sbagliate».
Tutto ciò accade mentre sugli schermi della Bbc un altro africano, il vescovo anglicano di York John Sentamu, si strappa e poi taglia con le forbici il colletto talare: «Così come Mugabe ha fatto a pezzi l’identità del popolo dello Zimbabwe». Ma la contraddizione può essere solo apparente. L’orgoglio che sembra motivare le reazioni dei capi africani alle parole di Angela Merkel è infatti ideologico, nazionale, forse anche etnico: in ogni caso, un orgoglio intriso di storia. Perché ognuno di quei leader, come lo stesso Mugabe che combatté il governo bianco di Ian Smith, ha nel suo curriculum la guida di un movimento di indipendenza.
Questi sono leader diversi, democratici: certo non vi è molto in comune fra Mugabe e Kufuor, presidente del Ghana, discendente dei re Ashanti che combatterono gli inglesi. Ma probabilmente in Kufuor e negli altri si muovono antiche corde quando il dittatore di Harare dice, come ieri: «Io e il mio popolo abbiamo lottato per avere il sistema "un uomo, un voto": lo Zimbabwe non ha conosciuto la democrazia per quasi un secolo». Le conclusioni le tira Alpha Oumar Konaré, presidente della Commissione dell’Ua: «Non si può ignorare la storia, cancellare pagine come la tratta degli schiavi o il genocidio in Ruanda. Ma per la libertà lottiamo ormai tutti insieme, africani ed europei. E quello che abbiamo lanciato da Lisbona è un messaggio di speranza».



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Corriere della Sera 10/12/2007
Luigi Offeddu
La Ue stanzia 8 miliardi. LISBONA – Otto miliardi di euro in aiuti, una serie di accordi bilaterali fra l’Unione europea e 31 paesi subsahariani, dal 2008 al 2013: strade, scuole, iniziative nel campo della pace e della sicurezza, dell’energia, dei cambiamenti climatici, e così via. In più, la sigla di un piano strategico generale, che regolerà i rapporti fra i due continenti- partner.
Sono i dati che foderano il bicchiere mezzo pieno del vertice Europa-Africa, o almeno lo fanno apparire come tale.
Mentre l’altra immagine speculare, quella di un bicchiere mezzo vuoto o di un successo a metà, deriva dalla spaccatura sui diritti umani e dalle divisioni sugli Epa, gli Accordi di partenariato che già nel 2008 avrebbero dovuto trasformare tutta l’Africa – come in parte lo è già – in uno spazio di commercio aperto, pari all’Europa. Ma si riprenderà subito a negoziare, la firma potrebbe arrivare nei prossimi mesi. Nel-l’attesa, il 31 dicembre non saranno aumentati i dazi (come invece si temeva). E ci si è già dati appuntamento al prossimo vertice, nel 2010 in Libia: ieri, fra l’altro, c’è stato anche un incontro bilaterale fra Romano Prodi e Muammar Gheddafi.
Gli Epa prevedono la libera importazione di prodotti africani in tutta l’Europa, e la libera importazione in Africa dei prodotti europei. Era ed è contraria la Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, che contesta certi rapporti preferenziali rispetto ad altri continenti. Ed è contrario il Senegal, «a nome di una maggioranza di paesi africani» che temono uno squilibrio a favore dell’Europa. Ma gli accordi già firmati ieri, con quegli 8 miliardi di aiuti, fanno ben sperare Manuel Barroso, presidente della Commissione europea: «Sono la prova migliore che del fatto siamo passati da una politica "per" l’Africa, a una politica "con" l’Africa».