Note: [1] Emiliano Bos, Avvenire 29/11; [2] Fausto Biloslavo, Il Giornale 29/11; [3] Guido Rampoldi, la Repubblica 6/12; [4] Sergio Romano, Corriere della Sera 8/12; [5] Maurizio Molinari, La Stampa 8/12; [6] Mara Gergolet, Corriere della Sera 29/11; [7] , 8 dicembre 2007
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 10 DICEMBRE 2007
Oggi alle Nazioni Unite la trojka Usa-Ue-Russia comunicherà ufficialmente al segretario generale Ban Ki-moon che nonostante colloqui diretti durati oltre un anno non c’è accordo sulla sovranità del Kosovo: Belgrado e la minoranza serba si oppongono all’indipendenza, la maggioranza albanese è pronta a proclamarla da subito. Emiliano Bos: «Belgrado – che pochi mesi fa nel preambolo della nuova Costituzione aveva definito il Kosovo ”inalienabile” – accetterebbe di concedere maggiore indipendenza a Pristina. Ma non vuole perdere il 15% del suo territorio, soprattutto per la presenza dei monasteri ortodossi e di quasi 100.000 serbi». [1]
Il Kosovo è da otto anni un protettorato dell’Onu e formalmente fa ancora parte della Serbia, che sarebbe adesso disposta a concedere una larga autonomia, oppure uno status simile a quello di Hong Kong. [2] Guido Rampoldi: «Ne accetterebbe l’indipendenza de facto purché non fosse proclamata formalmente». [3] L’autonomia può essere, in molte circostanze, più efficace dell’indipendenza e, soprattutto, meno pericolosa. Sergio Romano: «L’indipendenza del Kosovo verrebbe accolta a Belgrado come una ennesima punizione e risveglierebbe i peggiori umori del più radicale nazionalismo serbo. Se i kosovari hanno il diritto di separarsi dalla Serbia, molti si chiederanno perché i serbi del Kosovo e quelli della Bosnia non dovrebbero avere il diritto di riunirsi alla madre patria». [4]
I kosovari potrebbero procedere unilateralmente nell’applicazione del piano del mediatore finlandese Martti Anthisaari. Maurizio Molinari: «Indipendenza ”sotto sorveglianza” con la permanenza dei 16 mila soldati Nato, l’impossibilità di fondersi con altri Paesi, tutele per la minoranza serba e una nuova forza di polizia europea». [5] Se ciò accadesse, Belgrado potrebbe attuare in ritorsione il ”modello Gaza”. Mara Gergolet: «Tagliare la luce (il 40% dell’elettricità passa dalla Serbia), chiudere le frontiere, bloccare l’export. Affamare i kosovari (e pazienza se si affama anche il 10% dei serbi che ci vivono)». [6]
Il fallimento del negoziato era annunciato da mesi. Paolo Garimberti: «Prima ancora che la trattativa finisse nelle secche di una pace impossibile tra serbi e kosovari albanesi, era stata la ”trojka” mediatrice a implodere. Perché era espressione di tre anime diverse e inconciliabili: l’anima filo-albanese degli Stati Uniti, quella filo-serba della Russia e l’anima al solito incerta e divisa dell’Europa. Dove troppi Paesi, anche se non osano dirlo apertamente, boicottano l’indipendenza del Kosovo. O perché sono succubi della Serbia per ragioni di interessi economici e di buon vicinato, o perché temono l’effetto domino al loro stesso interno (vedi Spagna, Grecia o Cipro) prima ancora che nei Balcani». [7]
«Accettando l’indipendenza unilaterale del Kosovo la comunità internazionale si avventurerebbe su un cammino molto scivoloso, dalle conseguenze imprevedibili per la stabilità dell’Europa» ha detto Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo. [5] Romano: «L’indipendenza kosovara potrebbe riaccendere il fuoco dei separatismi europei e caucasici. Perché dovremmo dare l’indipendenza al Kosovo e negarla ai baschi, ai corsi, agli scozzesi, ai fiamminghi, ai tirolesi dell’Alto Adige, ai turchi di Cipro, agli ungheresi della Vojvodina e della Transilvania, agli osseti e agli abkhazi della Georgia? La storia del Novecento ha già ampiamente dimostrato quanto sia geograficamente arduo e politicamente pericoloso perseguire in Europa l’ideale del presidente americano Wilson: uno Stato per ogni nazione». [4]
«Chi e in quali circostanze abbia diritto all’autodeterminazione è un enigma che i liberali non hanno saputo risolvere in 160 anni» (Timothy Garton Ash). [8] David Miliband, ministro degli Esteri britannico: «Il Kosovo è un caso unico, non rappresenterà un esempio, un precedente, ma l’opposto. Abbiamo un mandato, una risoluzione dell’Onu. E anche la storia dei Balcani è unica per quanto è stata sanguinosa». [9] Misha Glenny, nel suo monumentale saggio The Balkans, 1804-1999: « un solido convincimento che i Balcani sono una tossina che da sempre minaccia la salute dell’Europa. Ma tutti pensano che la composizione di questa tossina sia troppo complessa per trovare un antidoto. In mancanza di cure appropriate, l’Occidente ha pensato che l’unica soluzione fosse di isolare i Balcani e dimenticarsene». Garimberti: «Fino a quando è stato troppo tardi, ed è successo più volte dalla guerra fredda in poi». [7]
Il terremoto che partirà da Pristina potrebbe essere devastante fino a portare alla quarta guerra interetnica in meno di vent’anni. Garimberti: «Lo scenario è apocalittico». [7] Fausto Biloslavo: «A Sarajevo i serbo-bosniaci sarebbero tentati dalla strada della secessione per unirsi a Belgrado. In Macedonia, confinante con il Kosovo, gli estremisti albanesi sono pronti a riprendere le armi. L’Armata nazionale albanese (Ana), messa fuori legge dall’Onu nel 2003, sta accumulando armi nel nord della Macedonia per dar man forte ai cugini kosovari. La costola dell’Ana in Kosovo è già apparsa al confine con la Serbia con decine di ”uomini in nero”. Guerriglieri mascherati, armati fino ai denti che portano uniformi completamente nere. Dall’altra parte della barricata lanciano proclami bellicosi i fanatici della Guardia di re Lazar, un movimento paramilitare serbo, che in caso d’indipendenza si dice pronto a ”bombardare Pristina”». [2]
Il comandante delle truppe Nato, Bantz Craddock, assicura che «abbiamo i piani per fare fronte al rischio di violenze». Molinari: «Potrebbero essere i serbi ad attaccare i kosovari albanesi o viceversa, oppure Belgrado potrebbe mandare i tank per attestare la sovranità sulla provincia. Proprio l’Alleanza da Bruxelles fa sapere che ”potremmo mandare nuovi contingenti”, incominciando con un ”reparto italiano” che già si trova in area ”a fini di addestramento”. Sarà l’Italia ad assumere dal 1º gennaio la guida del contingente internazionale». [5]
La maggior parte dei serbi sa che il Kosovo è ormai perduto. Garton Ash: «Ma quasi nessuno in politica lo ammetterà pubblicamente. Così il Kosovo è una ferita suppurata nel corpo dello stato serbo, che impedisce ai politici, ai burocrati e ai giornalisti del paese di concentrarsi su cosa conta davvero per il benessere del loro popolo. L’indipendenza del Kosovo equivale a un’amputazione, è vero, ma a volte, nonostante la tecnologia medica del ventunesimo secolo, amputare un arto straziato e in cancrena è la soluzione migliore per il paziente». [8]
Non tutti credono che Pristina si autoproclamerà indipendente nei prossimi giorni. Giuseppe Zaccaria: «Forse anche agli ex combattenti converrà aspettare per vedere come funzionerà il ”fantoccio Nato”». [10] Ivo Caizzi: «I kosovari albanesi sembrano disposti ad aspettare almeno la fine di gennaio prima di dichiarare l’indipendenza». [11] Sarebbe opportuno persuadere i kosovari ad attendere e dichiarare l’indipendenza dopo il 3 febbraio, data attualmente prevista per il secondo turno delle presidenziali in Serbia, nel tentativo di evitare che un ultimo sussulto emotivo tra i serbi catapulti un estremista alla presidenza a Belgrado. Garton Ash: «Non bisognerebbe però consentire alla Serbia di differire ulteriormente l’indipendenza del Kosovo posticipando semplicemente le elezioni». [8]
La dichiarazione coordinata di indipendenza del Kosovo, al più tardi nel febbraio 2008, sarebbe accompagnata da una forte offerta da parte europea ai serbi, barattare cioè la parvenza residua di sovranità formale sul Kosovo con l’opportunità concreta di un futuro migliore nell’Ue. Garton Ash: «Nel corso dei prossimi dieci anni due paesi europei entreranno a far parte dell’Ue. Si chiameranno Serbia e Kosovo (o forse Kosova, l’ortografia preferita dai kosovari albanesi)». [8] Massimo Nava: «I serbi si chiedono se ne valga la pena, essendo molto vaga la contropartita: l’ingresso in Europa, possibilità suggestiva quando se ne parla nelle conferenze, ma ancora lontana, a giudicare dall’inclinazione dell’Unione alla chiusura». [12]
La Serbia ha un’economia complicata (24% di disoccupati) ma in crescita (più 5,7 sul 2005), istituzioni fragili ma democratiche. [12] Romano: «Il Kosovo è ancora, sul piano economico e sociale, un Paese malato. Ha un’alta percentuale di disoccupati (40%), una forte criminalità organizzata e un’economia alimentata, in buona parte, dal contrabbando». [4] Secondo una relazione di 124 pagine commissionata dal governo tedesco, quella kosovara «è una società mafiosa basata sulla cattura dello Stato da parte di elementi criminali». Zaccaria: «Il crimine ”consiste in organizzazioni multimilionarie con esperienze di guerriglia e il supporto dello spionaggio”, che hanno ”legami strettissimi fra i vertici decisionali della politica e la classe dominante criminale”, nonchè leaders come Ramush Haradinaj, Hashim Thaci e Xhavit Haliti, ”protetti in patria dall’immunità parlamentare e all’estero dalle leggi internazionali”». [10]
Di recente è apparso nel sistema politico qualche tentativo di autoriforma, ma tuttora il panorama non ha eguali in Europa. Rampoldi: «Haradinaj è considerato il più potente capomafia del Kosovo, così potente che giornalisti e politici albanesi evitano perfino di adombrare il sospetto. Il suo vice, l’attuale ministro dell’Energia Ceku, sovrintende al contrabbando di benzina ed ha contribuito al miracolo per il quale oggi l’unica centrale elettrica del Kosovo produce meno energia di quanta ne erogasse durante la guerra, malgrado per riabilitarla la comunità internazionale abbia speso 730 milioni di dollari, grossomodo il costo di una nuova centrale». [3]
Perché diavolo gli europei si preparano a riconoscere in massa l’ndipendenza di questo Mafiastan foriero solo di guai? Rampoldi: «In parte il motivo lo conoscono i ragazzi di Pristina. Chiunque di loro può raccontarvi cosa accadde nel 1999, al tempo dei bombardamenti della Nato. La ferocia dei rastrellamenti casa per casa. La deportazione di tutti gli albanesi. L’assassinio di chi tentava di fuggire. E non era l’opera di una milizia paramilitare: quella era la polizia serba. Lo Stato. E sotto quello Stato gli albanesi non possono più restare. Anche Belgrado ormai ne è consapevole». [3] Nava: «La Serbia ricorda la Germania post nazista. Paga le colpe dei padri e vive sotto sorveglianza morale». [12] Garton Ash: «La Serbia che aderirà all’Unione Europea sarà un paese ridotto ai minimi termini, l’ombra della Serbia di un tempo, come l’Austria dopo la prima guerra mondiale». [8]