Francesco Tortora, "Corriere della Sera", 3/12/07, 3 dicembre 2007
Scala per GIORGIO 3 Il 17 febbraio del 1904 debutta alla Scala di Milano la Butterfly di Giacomo Puccini
Scala per GIORGIO 3 Il 17 febbraio del 1904 debutta alla Scala di Milano la Butterfly di Giacomo Puccini. La Prima, attesa con ansia dai melomani, si conclude con una durissima contestazione all’autore da parte dei loggionisti. Le repliche vengono bloccate e i giornali dedicano ampie cronache a quanto accaduto. Puccini, contestato con violenza dal pubblico e dalla critica, è costretto a rimettere mano all’opera. Solo il 28 maggio 1904 la Butterfly torna in scena, modificata, al Teatro Grande di Brescia. È un enorme successo, e la critica rivaluta la Butterfly che in seguito viene considerata uno dei lavori più riusciti del musicista toscano. L’Avanti, 19/5/1904 Madame Butterfly, opera nuova di Puccini, cadde iersera alla Scala. L’enorme lunghezza di ambedue gli atti stancò il pubblico. Indispose l’uditorio la ripetizione degli spunti notissimi nelle altre opere di Puccini contrastanti colla vacuità del resto dell’opera. Qualche brano pregevole annegò nella monotonia; l’azione deficiente contribuì all’insuccesso. Fu apprezzatissima la protagonista Rosina Storchio. Corriere della Sera, 18/5/1904 [...] Le melodie giapponesi abbondano, specie nel primo atto. [...]. Il suo istinto drammatico non esita mai, né s’inganna. [...]. Il lungo atto - troppo lungo - ascoltato freddamente non è applaudito al chiudersi della scena che da una parte del pubblico. L’altra parte vorrebbe imporre silenzio agli applauditori. Il contrasto dura un po’. Qualche segno di disapprovazione troppo plebeo rinfranca le approvazioni e le fa più calde e più fitte. Dopo una prima chiamata agli esecutori, il maestro Puccini, reggendosi su un bastone, si presenta due volte al proscenio. Il pubblico convenuto nel teatro colla certezza di assistere a una nuova vittoria del suo autore prediletto, è passato senza transazioni dall’eccesso dell’ottimismo a una censura aspra, che condanna senza discutere, che non distingue e non ricorda ciò che nel corso dell’atto gli è pur piaciuto e avrebbe meritato da lui almeno un cenno di riconoscimento. Accade sempre così. L’ultima impressione cancella le precedenti. La troppo palese affinità melodica della frase che chiude l’atto sviluppandosi in perorazione, con una frase della Bohéme, ha fatto dimenticare ogni cosa. [...] Che questo insistere ostinato del maestro sopra uno stesso effetto melodico sia imprudente, pericoloso ed anche poco piacevole, non si può negare. Ma, d’altra parte, non è tal peccato da meritare lo sdegno del pubblico. [...]. È pur anche necessario che al maestro si sia fatta palese la necessità di molte e coraggiose abbreviature. [...]. E veniamo al secondo atto. [...] atteso con impazienza come il migliore. Il libretto stesso lo prometteva più ricco di azione, di passione e di interesse drammatico. Ma l’esito neppure questa volta corrispose all’aspettazione. Colpa tutta dell’autore? O in parte anche del pubblico? Certo gli umori della elegantissima folla erano acri ed ostili. [...]. Anche quest’atto è soverchiamente lungo. Già innanzi l’intermezzo il pubblico appariva stanco. Così molti bellissimi suoi dettagli non furono notati; [...]. L’intermezzo sembra a molti un inutile ritardo. Oramai si vuol giungere alla fine il più presto possibile. Così i pezzi che seguono sono distrattamente ascoltati; il suicidio di Butterfly non desta commozione alcuna. L’opera dunque non ha superato la prova. [...]. Ciò non ostante io persisto nel credere che l’opera, abbreviata e alleggerita, si riavrà. [...]. C’è in teatro gran parte della Giunta; ci son deputati, senatori, insomma una folla varia, insigne. La serata agitatissima ebbe la sua più caratteristica espressione nell’intervallo tra il primo ed il secondo atto. Il foyer era così stipato di gente che vi si circolava a fatica; ed era riempito di strepito e di fumo. Le discussioni erano calde: assumevano l’asprezza di veri dibattiti. Tutti i dialetti si parlavano nel vasto salone. Durante il secondo atto l’atrio fu quello che partecipò maggiormente con rumori allo spettacolo. In quel breve spazio lo scambio delle reciproche insolenze era vivissimo e continuo, tra le invocazioni al silenzio degli spettatori più equi che volevano ascoltare con calma per giudicare con rettitudine. Finito lo spettacolo, il pubblico si disperse come fiaccato da una sera di eccessiva tensione nervosa. Ancora uscendo scambiò le ultime scaramuccie. Un signore esprimeva un giudizio assai violento sul maestro Puccini: un amico di questo intervenne con clamorose parole di protesta alle quali i presenti si associarono. [...]. L’incasso fu ieri sera di 20 mila 500. questa cifra va molto aumentata se si pensa al bagarinaggio esercitato su larga scala. Fino all’ultimo momento i bagarini importunavano i passeggieri con le offerte di posti. l’intervista a Puccini Ci siamo recati a salutare Giacomo Puccini nella sua casa di via Giuseppe Verdi, 4. L’abbiamo trovato circondato da molti amici. Era tranquillo, sebbene un po’ amareggiato. C’era la Storchio, c’era Tito Ricordi. Nelle parole di tutti era una protesta per il contegno del pubblico. Il maestro ci disse: "Domandi a Ricordi. Prima della Manon, prima della Bohème, prima della Tosca ero agitatissimo. E quelle opere furono dei successi. Questa volta mi sentivo tanto tranquillo! L’opera mi commuoveva sempre, quando la eseguivo al pianoforte.[...] Le prove confortarono la mia fede. Tutti ci si appassionavano, dagli artisti ai più modesti lavoratori delle scene e delle soffitte. Io vedevo i miei ascoltatori, pochi e dispersi nella gran sala della Scala, partecipare con pieno cuore alle vicende. Vedevo che anch’essi amavano la mia giapponesina come l’amavo e come l’amo. Finché scrivevo la musica, io me la vedevo la piccola donna, dolce e malinconica, la seguivo nella sua vita, la immaginavo seduta sul ciglione d’una collina, la testa reclinata, ad aspettare, ad aspettare. Alla prova generale non cantava la mia brava Storchietta, eppure, anche data così, l’opera ebbe lo stesso effetto. Dopo..." Dopo... "Dopo ho sentito dal palcoscenico imperversare la bufera. Ma essa non mi ha abbattuto. Io voglio ancora bene a Butterfly. Ci credo ancora. L’ho scritta con tanta emozione! Io non ascolto mai con piacere le mie opere, tranne forse l’ultimo atto della Bohème. Ma questa sì, tutta, e divertendomi e interessandomene. Ho la coscienza d’aver scritta la più moderna delle mie opere. Sì, la più moderna". Poi, prendendosi la testa fra le mani: "Delle esagerazioni no, no, assolutamente no. tutta sincera, tutta sentita". Poi, con uno scatto: "Mi hanno accusato di enfasi!" E dovevano lodarti per la sobrietà, interruppe Tito Ricordi. E il maestro: "E capisco anche perché nessuno sia insorto contro tanta fiera ostilità. Perché Butterfly è un’opera di suggestione. Rotta questa suggestione, l’incanto cade. E i tumulti, gli strepiti, hanno infranto quell’atmosfera limpida e dolce di piccolo sogno doloroso che poteva mostrar vive le figure e le passioni. Il pubblico non poté sentire, e quindi non poté giudicare [...]. Adesso daremo l’opera con dei tagli in un ambiente minore, dove non possano infiltrarsi malevolenze preventive". In ogni modo è assai lieta cosa che ella sia così sereno. "Sì, sereno, sebbene addolorato, oggi più di ieri". [...] Corriere della Sera, 19/5/1904 Alcuni aneddoti sulla Scala di Milano. Alessandro Manzoni andava nel ridotto per giocare d’azzardo (durante l’occupazione napoleonica il bilancio era aiutato dai tavoli della roulette); all’inizio dell’Ottocento il giovane Stendhal, bruttino, tarchiato, non smetteva di ripetere che "la Scala è il più bel teatro del mondo". Nello stesso periodo i palchi erano oltre che salotti letterari alcove, e infatti la buona società milanese approfittò di arie e acuti per concepire alcuni dei suoi figli. Uno dei mali di Milano, il traffico, fece il suo esordio proprio a causa della Scala: in una grida del 20 dicembre 1791 si impone di tirare una catena, nelle sere di rappresentazione, all’angolo con via Santa Margherita (le carrozze, arrivando tutte assieme da piazza Mercanti, creavano per l’epoca un pauroso ingorgo). Armando Torno sul Corriere della Sera del 18/1/02 pagina 1. Le prime opere date alla Scala appartenevano all’opera buffa napoletana o di gusto francese. Tra gli esponenti di questo primo periodo di vita del teatro, con esponenti come Giovanni Paisiello e Domenico Cimarosa e opere come La Frascatana, Il barbiere di Siviglia e Nina pazza per amore, L’italiana in Londra e Il matrimonio segreto di Cimarosa. Ma ben presto, con l’arrivo di autori come Gioachino Rossini, con La pietra del paragone, di Vincenzo Bellini, di Gaetano Donizetti, Giacomo Mayerbeer o Simon Mayr (maestro di Donizetti), il teatro diviene uno dei centri più importanti del melodramma italiano, assieme alla Fenice di Venezia e al Teatro San Carlo di Napoli. Un altro momento importante fu l’arrivo di Giuseppe Verdi, che si stabilì a Milano e qui diede sia le sue prime opere che le ultime due (Otello e Falstaff). Questo momento magico lo si deve anche all’opera dell’impresario milanese Domenico Barbaja, che gestiva La Scala e La Cannobiana a Milano, il San Carlo di Napoli e due teatri a Vienna. Il teatro alla Scala diviene man mano il centro più importante del melodramma, fino al momento in cui molti considerano tramontare questa forma (la prima della Turandot di Puccini, data alla Scala nel 1926, viene considerato da alcuni l’epilogo della grande stagione della lirica italiana) Tra la prima guerra mondiale e la seconda, il teatro vide avvicendarsi i maggiori cantanti del tempo, tra cui Feodor Saljapin, Magda Olivero, Giacomo Lauri Volpi, Titta Ruffo, Gino Bechi, Beniamino Gigli, Mafalda Favero, Toti Dal Monte, Gilda Dalla Rizza, Aureliano Pertile. La Scala venne bombardata durante la seconda guerra mondiale, nella notte tra il 15 ed il 16 agosto del 1943, subendo gravi danni al soffitto e alle pareti danneggiate dalla caduta del soffitto e del tetto. L’edificio venne subito ricostruito come prima del conflitto, e venne riaperto l’11 maggio 1946, con un memorabile concerto di Arturo Toscanini. La fretta nella ricostruzione del soffitto e della sua sospensione al sistema complesso di travi, impedì di trovare i componenti simili agli originari, e si adottarono soluzioni ibride che secondo qualcuno peggiorarono l’acustica della sala. La finitura interna del soffitto fu invece di indiscussa raffinatezza: solo un dipinto geometrico in toni di grigio, a far risaltare ancor di più il magnifico ed enorme lampadario (con quasi 400 lampadine) realizzato in cristallo soffiato dagli artigiani di Venezia. Per dare un’idea delle sue dimensioni, nella coppa con cui è applicato al soffitto scende all’interno del lampadario un tecnico a manovrare l’occhio di bue, ovvero il faro seguipersone. Nel dopoguerra la Scala visse una seconda stagione magica. La gestione di Ghiringhelli fu contrassegnata tra l’altro dalle partigianerie tra i tifosi della Callas e della Tebaldi: chi si recava a quei tempi in Galleria trovava capannelli di milanesi che discutevano animatamente di lirica. La gestione di Paolo Grassi negli anni ’70 ha segnato il periodo di maggior produttività del Teatro, che metteva in scena quasi 300 rappresentazioni all’anno. È seguito un lungo periodo di normale amministrazione, sfociato alla fine in polemiche complesse che hanno visto l’allontanamento del direttore Riccardo Muti ed hanno suggerito di ricorrere ad un sovrintendente straniero, Stéphane Lissner tutt’ora in carica. Alla Scala naturalmente hanno cantato i maggiori artisti lirici ed è impossibile farne un elenco: tra i nomi più noti al grande pubblico si possono citare Maria Callas, Renata Tebaldi, Carlo Bergonzi, Antonietta Stella, Ettore Bastianini, Mario Del Monaco, Giuseppe Di Stefano, Tito Gobbi, Renato Bruson, Luciano Pavarotti, Nicolaj Ghiaurov, Placido Domingo, Teresa Berganza, Joan Sutherland, Katia Ricciarelli, Montserrat Caballé, Luis Alva, José Carreras, Marilyn Horne, Peter Schreier e molti altri cantanti di prima grandezza. Sul podio si sono avvicendati (oltre a quelli citati) anche i maggiori direttori del secolo tra cui Herbert von Karajan, Karl Boöhm, Karlos Kleiber, Zubin Metha, Wolfgang Sawallish, Claudio Abbado, Riccardo Muti, Georges Pretre, Daniel Barenboim e molti altri. Vi hanno lavorato grandi registi che hanno realizzato delle produzioni memorabili alcune delle quali conservate in video (da Visconti a Zeffirelli, da Fo a Strehler, da Pizzi a Damiani e Lila de Nobili). Oltre ai leggendari scenografi dell’800, vi è un lungo elenco di pittori della statura di Pablo Picasso, Giorgio de Chirico, Marc Chagall, scultori tra i quali Mario Ceroli e Arnaldo Pomodoro, accanto ai quali figura anche lo stilista Ottavio Missoni in veste di realizzatore di costumi. Divine. "Alla Scala di Milano circola la battuta che questo teatro ha avuto due periodi: a. C. (avanti Callas) e d. C (dopo Callas). Sembra un paradosso ma è proprio così. Il talento di Maria Callas ha trasformato la lirica, una forma d’arte moribonda, in qualcosa di attuale, accessibile, vivo, capace di suscitare di nuovo l’entusiasmo dei fan e l’interesse delle nuove generazioni, quelle nate dopo la seconda guerra mondiale". (Il diario della divina Callas, nemica mia di Maria Di Stefano, Francamaria Trapani Sonzogno Editore). Su Toscanini: «Grandissimo e assolutamente disinteressato fu il suo amore per il Teatro alla Scala di Milano. Nel 1920, quando la Scala era chiusa per gravi difficoltà economiche, vendette la propria casa per finanziarne la rinascita. Ma non volle si sapesse. Nel foyer della Scala c¹è una lapide che ricorda l’offerta di 100.000 lire fatta da un "NN". Quell’NN era Arturo Toscanini. Dal 1920 al 1930 fu direttore artistico della Scala e la fece diventare il tempio della lirica più prestigioso. Riceveva dal teatro uno stipendio modesto e, ogni mese, faceva calcoli complicati per restituire l’equivalente dei giorni in cui non aveva lavorato in teatro. Questi e tanti altri comportamenti di rigorosa rettitudine furono costanti in Toscanini e danno la misura di una grande levatura morale». Pubblicità Teatro alla Scala, Milano Articolo Trova nell’articolo | Anteprima di stampa | Invia Multimedia 9 elementi Struttura articolo Introduzione; L¹edificio; Opere, direttori, cantanti 1 Introduzione Anteprima della sezione Teatro alla Scala, Milano Teatro milanese e sede, dall’anno della sua inaugurazione (avvenuta nel 1778 con la rappresentazione dell’opera di Antonio Salieri L’Europa riconosciuta), della stagione lirica e di balletto di Milano. 2 L¹edificio Anteprima della sezione Costruito per volere di Maria Teresa d’Austria sulle ceneri del vecchio Teatro Ducale distrutto da un incendio nel 1776, fu progettato dall’architetto Giuseppe Piermarini sul luogo ove prima sorgeva la basilica di Santa Maria alla Scala (XIV secolo). Edificato in puro stile neoclassico, il teatro venne rimaneggiato diverse volte: nel 1867, nel 1921 durante la direzione di Arturo Toscanini e ancora alla fine della seconda guerra mondiale, quando, l’11 maggio del 1946, Toscanini stesso diresse uno storico concerto per celebrare la riapertura dell’edificio, restaurato dopo i gravi danni subiti durante i bombardamenti alleati. Il Teatro alla Scala, riedificato con prodigiosa rapidità anche grazie agli sforzi di Antonio Ghiringhelli, sovrintendente per ben un quarto di secolo, può ospitare oltre duemila spettatori. Annesso al teatro fu costituito nel 1913, all’interno dei locali del Casino Ricordi, il Museo teatrale alla Scala, arricchito dalle donazioni di documenti, cimeli, quadri, e completato dalla biblioteca del drammaturgo e regista Renato Simoni. Per aumentare la varietà di proposte del cartellone fu costruita la Piccola Scala (600 posti), destinata all’allestimento di opere da camera moderne e al recupero del grande patrimonio melodrammatico antico. Inaugurata il 26 dicembre 1955 con il Matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, la Piccola Scala fu chiusa nel 1983. ------------------------------------------------------------------------ ------------------------------------------------------------------------ Il 31 dicembre 2001 il Teatro alla Scala venne chiuso per importanti lavori di rinnovamento, curati dall’architetto svizzero Mario Botta. Le attività artistiche furono trasferite nel nuovo Teatro degli Arcimboldi, costruito su progetto di Vittorio Gregotti nell’ex area industriale della Bicocca, nella periferia nord di Milano. Il completamento del restauro dell’edificio settecentesco è terminato nel 2004: il 7 dicembre la stagione operistica è tornata nella sua sede storica, con il significativo allestimento dell’Europa riconosciuta di Salieri, originario atto di nascita del teatro milanese. 3 Opere, direttori, cantanti Anteprima della sezione Molte importanti prime assolute si sono tenute alla Scala: La gazza ladra di Gioacchino Rossini, Il pirata e Norma di Vincenzo Bellini, Nabucco, Otello e Falstaff di Giuseppe Verdi, La Gioconda di Amilcare Ponchielli, Madama Butterfly e Turandot di Giacomo Puccini. I più grandi direttori si sono avvicendati alla direzione musicale del teatro milanese: da Franco Faccio ad Arturo Toscanini, autentico riformatore del costume teatrale negli anni Venti, da Victor De Sabata a Gino Marinuzzi, da Guido Cantelli a Gianandrea Gavazzeni, da Claudio Abbado a Riccardo Muti (direttore dal 1986 al 2005), dando corpo a una tradizione musicale che ha posto La Scala fra i grandi teatri lirici del mondo. Sul suo palcoscenico si sono esibite le più grandi voci, dando luogo qualche volta a rivalità leggendarie: Beniamino Gigli e Tito Schipa, Mario Del Monaco e Giuseppe di Stefano, Maria Callas e Renata Tebaldi, Placido Domingo e Luciano Pavarotti.