Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  dicembre 05 Mercoledì calendario

RICHIESTA DI FERRARA

Osservatore Romano, mercoledì 5 dicembre
Andreotti racconta La Pira: "Mi viene facile pregare Giorgio il santo"
"Mi viene facile pregare Giorgio La Pira. Era un santo". A parlare è il senatore a vita Giulio Andreotti che per quarant’anni ha fatto esperienza diretta della santità di La Pira nel fulcro della vita politica italiana e internazionale. Confessa: "Sinceramente non sono portato a pregare altri politici che ho conosciuto, come De Gasperi, pur non mettendo in dubbio le loro virtù eroiche. Ma sullo ”straordinario” La Pira non ho dubbi". Il ritratto che Andreotti fa di La Pira non è "da santino". Non nasconde che le loro posizioni politiche non sempre hanno coinciso ma dice: "Non esistono santi comodi e lui ci ha stimolati, anche in modo brusco". Giovedì 6 dicembre, alle ore 17 nella sede romana dell’unione cattolica stampa italiana (via in Lucina 16/a), Andreotti interverrà alla presentazione del libro di Riccardo Bigi Giorgio La Pira. I miei pensieri (Firenze, Società editrice fiorentina 2007, pagine 96, euro 10). In questa intervista a "L’Osservatore Romano" racconta La Pira "visto da vicino".
Si può diventare santi facendo politica?
Forse è più difficile che in altri settori. Si dice che la politica sia l’arte del compromesso. Ma questa è anche una virtù. Fare il massimalista può dare soddisfazione, ma su questa terra direi che è indispensabile il compromesso non sui principi ma sui programmi e le realizzazioni. Ma se uno pensasse di imitare Giorgio La Pira sbaglierebbe: siamo tutti sordomuti nei confronti di quel modello di santità.
Quando ha incontrato per la prima volta La Pira?
Al congresso della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci) a Firenze nel 1937. Avevo appena preso la licenza liceale. Mi entusiasmò subito per quel suo modo di parlare tutt’altro che retorico, pieno di riferimenti biblici. Era l’aspetto stesso di La Pira a essere straordinario. Poi ho avuto modo di conoscerlo molto bene. Era veramente al di fuori di tutte le correnti, al di sopra delle parti, in una posizione di servizio. Una persona inimitabile e indimenticabile. Un uomo libero. Sapeva comunicare con tutti: poveri e analfabeti, potenti e uomini di cultura. Era evidente la sua fede, la sua spiritualità.
Chi era per lei La Pira?
La Pira era... La Pira. Per generazioni di universitari è stato non solo un prestigioso insegnante, cattedratico di diritto romano, ma un maestro di vita, di spiritualità, di coerenza. Penso soprattutto alla Messa del povero che da Firenze, dove continua ancora oggi, esportò anche qui a Roma. Veniva spesso lui personalmente, più o meno una volta al mese, la domenica mattina, nella chiesa di San Girolamo della Carità, per prestare attenzione affettuosa a un centinaio di persone povere, soprattutto anziane. Per me è stata una grande esperienza.
In che cosa consisteva la Messa del povero a Roma?
Dopo la Santa Messa si offriva una piccola colazione, si donavano vestiti, si creava un clima di amicizia confidente. La Pira ci chiedeva anche di fare barba e capelli ai nostri ospiti e noi, giovani e non tutti molto pratici, avevamo paura di provocare... incisioni! Ci incoraggiava dicendoci che se hai la carità puoi fare tutto. E ricordava a noi studenti di essere grati a queste persone perché ci insegnavano la filosofia vera della vita. Sul servizio ai poveri ha incentrato il suo insegnamento e anche il suo operato di sindaco di Firenze nella subordinazione della legge alle esigenze dei cittadini non abbienti.
Come ricorda La Pira tra i poveri?
Lo ricordo saltellante, gioioso. Rivedo il professore che aveva per tutti una parola appropriata. Soprattutto un sorriso rasserenante. Non era mai stanco, triste.
Nel periodo romano di La Pira, sul finire e dopo la guerra, va rilevata anche l’importanza della vita e della direzione spirituale. Qui trovò figure fondamentali come Giovanni Battista Montini e Luigi Moresco.
Lo ricordo bene. Roma ha avuto belle figure di sacerdoti capaci di dedicarsi alla vita spirituale. un servizio che ha sempre svolto anche il personale della Santa Sede, dai minutanti ai segretari di Stato. Tra le tante figure penso pure a don Giuseppe Canovai che è stato cappellano dell’università. Lo accompagnai al treno per Genova dove si sarebbe imbarcato per l’Argentina. C’era allora una realtà di giovani universitari importante, anche intorno a sant’Ivo alla Sapienza. La Pira ha trovato certamente una realtà universitaria spiritualmente viva qui a Roma.
Dunque i suoi primi contatti con La Pira avvennero nell’ambito della Fuci?
Sì, ho ben impresso il congresso nazionale della Fuci che si svolse nel settembre 1942 ad Assisi. Era un momento drammatico per l’Italia lacerata dalla guerra. La Pira aprì i lavori parlando della pace che costruisce e dell’amore che riedifica. Era entusiasmante con il suo stile. Era presente il podestà Arnaldo Fortini che stette a sentire La Pira con disagio, sembrava seduto sui carboni. Alla fine si avvicinò anche lui a La Pira travolto dal suo fascino. Si parlarono. Poi il podestà lo abbracciò commosso ricevendo in dono, tra i nostri rumorosi applausi, una piccola medaglia della Madonna. In un altro congresso della Fuci mi mandò, con un pizzico di quella sua eccentricità, a prendere la carta patinata per redigere il verbale. Questo era La Pira.
Un modo di far politica piuttosto originale.
Ci sono stati momenti in cui questo suo umanesimo lo ha posto in polemica con le autorità. Non accettò, ad esempio, in un congresso della Democrazia cristiana l’obiezione di De Gasperi sulla necessità di modulare i programmi di sviluppo da lui invocati secondo il gettito delle risorse tributarie: non c’era la copertura finanziaria per fare tutto quello che suggeriva. De Gasperi, in sintesi, dava ragione a La Pira ma lo invitava a tener conto dell’articolo 81: come si potevano finanziare tutti quei progetti? Ma La Pira insistette nel dire che nell’esercizio della carità non devono esistere ostacoli e rispose con un fermo: Amicus Plato sed magis amica veritas. Aveva affermazioni nette, diceva che se una cosa è giusta i mezzi per farla si trovano sempre. Rimase, poi, molto male quando si stabilì l’incompatibilità tra le cariche di sindaco e di parlamentare. E reagì pure duramente alle critiche di don Sturzo su un preteso statalismo serpeggiante. Ma lui prese diverse cantonate anche su Enrico Mattei. Con don Sturzo la contrapposizione di tesi non aveva addolcimento nei toni. Erano due cristiani integrali con caratteri molto forti e con vedute molto diverse, anche per l’età e per l’esperienza che avevano vissuto.
Ricorda altri momenti dell’impegno tenace di La Pira per le categorie più deboli?
Non cedeva quando si trattava di difendere i poveri. In occasione di una delle occupazioni delle fabbriche fiorentine in crisi diffidò la prefettura dicendo: "La Fonderia delle Cure sarà un’autentica cittadella di resistenza alle ingiustizie e vedremo chi vincerà". Va detto che nella sua ostinazione a sostegno degli operai in crisi, penso alla vicenda della Pignone, si dimostrò poi che aveva ragione La Pira e torto l’elaborato pessimista dei tecnici. Io stesso fui oggetto di un telegramma lapidario perché avevo dovuto inviare la guardia di finanza ad impedire la requisizione di uffici tributari per dare alloggio ai senza tetto. La Pira aveva infatti deciso di trovare una casa a tutti gli sfollati di Firenze.
Quali furono poi i suoi rapporti con La Pira?
Cercai di farmi perdonare così accelerai il trasferimento al Comune della Fortezza da Basso, sul quale giustamente La Pira censurava il permanere di vincoli demaniali militari. C’era però qualche difficoltà. Mi mandò un telegramma che diceva più o meno così: che la tua famiglia non debba mai soffrire per la mancanza di un tetto... Ricordo che mia moglie rimase molto colpita. Poi mi scrisse un poetico, originalissimo biglietto: "Ministero della difesa: di che? Della bellezza teologale delle città cristiane: della creazione artigianale (di livello artistico) in Firenze e in tutte le città italiane. Ergo: Fortezza da Basso: Fortezza per difendere e diffondere la bellezza cristiana. Riflesso della bellezza di Dio e della nostra civiltà".
Le presentò altre proposte?
Aveva idee straordinarie che solo lui poteva permettersi. Mi scrisse: "Il ministero della difesa ha un bilancio e spende per le armi. Perché non creare anche un capitolo per le efficacissime armi nucleari dell’orazione: le cittadelle dell’orazione in Italia e nel mondo e crearne di nuove in Asia, in Africa, in America Latina? Pensaci. La cosa è più seria e più tecnica di quanto non si pensi. So che tu non riderai di questa proposta". Non risi. Ma non ho potuto neppure dare seguito alla sua richiesta. Ma non era un visionario o un illuso. Era un uomo estremamente concreto.
Che giudizio dà sulle iniziative di pace condotte da La Pira?
La Pira si dedicò in maniera originalissima alla politica estera, andò in Russia, in Vietnam, in Medio Oriente. Non condivido i commenti critici che trovarono alcune sue iniziative sul momento e anche successivamente. L’idea dei colloqui tra cristiani, ebrei e musulmani fu straordinariamente positiva. Era un fatto razionale e non emotivo. Sapeva parlare a tutti: ebrei e palestinesi compresi. Ma quelle iniziative fiorentine hanno lasciato un segno incancellabile. Lui interpretò Firenze come una sede chiamata dalla provvidenza a costruire e a vivere la pace. Il 26 aprile 1962 mi passò, durante un incontro a Palazzo Vecchio, un appunto a matita: "Vedi, a Firenze si possono fare e dire le cose più ardite inquadrate esplicitamente nella visione cristiana della storia; e ciò con estrema logicità e chiarezza, come laboratorio e sperimentazione". Era convinto – me lo scrisse in una lettera il 28 ottobre 1970 – di questa concezione politica della storia: la guerra è impossibile, il negoziato globale è inevitabile e la mediazione italiana avrebbe essere davvero il grande ponte di pace gettato sul mondo.
Il suo impegno internazionale era centrato anche su relazioni personali molto significative. Tutti si fidavano di lui.
La Pira ebbe tra le mani il testo del famoso rapporto Krusciov, che aveva sorpreso e imbarazzato Togliatti, due anni prima che il mondo occidentale ne avesse conoscenza. Rivelò poi che era stato l’ambasciatore russo a consegnarglielo in un convento di Firenze. Era universalmente conosciuto. Una volta in un monastero thailandese di claustrali reduci dalla Cina, accampate ai margini del fiume Kwai, mi sentii domandare da una suorina: "scusi, come sta La Pira?".
Ricorda qualche episodio particolare legato all’azione politica di La Pira?
Con mia grande commozione il defunto re del Marocco, il padre dell’attuale monarca, mi chiese se lui, islamico, poteva testimoniare nella causa di beatificazione di La Pira. Mi confidò che era rimasto incantato per la lungimiranza delle visioni, ma ancor più per la semplicità di vita da cui era rimasto affascinato visitandolo nell’umile celletta del convento di San Marco. Lo stesso ho registrato da parte ebraica. Ricordo, ad esempio, l’impressione che ebbe il presidente dell’organizzazione sionista mondiale, Nahum Goldmann, quando La Pira lo invitò nel 1964 a tenere a Firenze il Congresso mondiale ebraico.
Nei rapporti internazionali qual era il tratto caratteristico di La Pira?
Aveva una grande capacità di saper precorrere i tempi e non accettava la divisione del mondo in due parti con ogni parte addirittura sottodivisa. I suoi viaggi erano animati da uno spirito eccezionale. Se uno avesse voluto imitarlo non ci sarebbe riuscito. Con le sue grandi iniziative, i Colloqui fiorentini, ha saputo rompere la incomunicabilità. stato capace di mettere allo stesso tavolo realtà contrapposte quando farlo sembrava una utopia. Anche se poi magari finivano a sediate... Il fatto di avere questa visione ecumenica e di saperla trasferire da una dimensione religiosa al sociale e al politico su scala internazionale è stato uno dei ruoli principali di La Pira.
Ha svolto un ruolo di primo piano anche alla costituente.
L’apporto di La Pira alla costituente è stato di altissimo valore anche per mantenere un clima di cooperazione senza il quale è impossibile definire indirizzi e ordinamenti destinati a rimanere nel tempo. Quando parlava La Pira si avvertiva il fascino di uno che era diverso da tutti, senza dubbio. Era diverso pure rispetto agli altri della cosiddetta "comunità del porcellino" (ne facevano parte i cosiddetti "professorini" Fanfani, Dossetti e Lazzati, n.d.r.), anche se ognuno aveva la sua personalità. Ci fu poi la questione della sua proposta, il 21 dicembre 1947, di introdurre la dizione: "In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente costituzione". Lo fece con delicatezza ma proceduralmente era ormai troppo tardi. Lo espresse Piero Calamandrei, seppure non in dissidio con La Pira, che rilevò l’impossibilità ormai di fare in modo che all’inizio della costituzione si trovasse qualche parola che volesse significare "un richiamo allo Spirito". Andai poi a verificare personalmente e vidi che Calamandrei aveva usato la maiuscola. Anche alla costituente La Pira faceva discorsi pieni di citazioni bibliche: Gerusalemme, Betlemme, Isaia... Era impressionante. Questa sua stupenda caratteristica faceva sì che fosse ascoltato da tutti. Mai nessuno ritenne che fosse pesante o clericale, lui che datava le lettere con il santo del giorno e si appartava dalle riunioni con i sindacati al ministero del lavoro per leggere il breviario.
Secondo lei La Pira è stato compreso?
Due funerali mi hanno profondamente impressionato. Quello di La Pira a Firenze nel 1977 e quello di don Carlo Gnocchi a Milano nel 1956. Momenti indimenticabili di commozione: un silenzio assoluto in una folla enorme. Una partecipazione vera. Credo che la gente lo abbia profondamente amato. Andai a trovare La Pira a Firenze il 5 febbraio 1977. morto nove mesi dopo. Era affaticato ma sereno e particolarmente affettuoso. In serata a Roma ricevetti un telegramma che aveva dettato a Fioretta Mazzei, altra bella figura. La Pira assicurava la sua preghiera al Signore perché aiutasse il governo "a condurre la barca italiana che nonostante anse terribili come quella della violenza e dell’aborto deve nuovamente arrivare al porto della fraternità e della pace per la difesa delle nuove generazioni".
La Pira non era solo a Firenze. Ha citato la Mazzei, ma erano anche gli anni del cardinale Dalla Costa, di don Facibeni, di don Bensi...
Firenze ha avuto figure eccezionali. Alcune forse meno note. Ricordo un padre domenicano originario di Segni, Reginaldo Santilli, che a Santa Maria Novella aveva creato il Centro cattolico di studi sociali, un movimento spirituale per i giovani. C’era anche padre Balducci, figure scomode, di punta, come don Milani. Firenze era una città piena di contraddizioni significative.
Lei ha definito La Pira "straordinario".
Sì, è un aggettivo che si addice a La Pira sotto tutti gli aspetti. Mi ha sempre colpito il fatto che, giovane studente dell’istituto tecnico di Messina, guadagnasse qualche lira tenendo i conti della minuscola azienda di "prodotti chimici coloniali e vini pregiati" nel retrobottega dello zio. E con chi faceva il contabile? Con l’amico Salvatore Quasimodo. Da qui ha origine quel carteggio con il poeta premio Nobel che ha avuto momenti molto significativi. Ad esempio sotto la data 12 novembre 1922, nei giorni civilmente turbolenti della marcia su Roma, troviamo frasi come queste: "Abbiamo un’origine comune, ma strade diverse; la meta però è una sola. Giungiamo assieme contemporaneamente tu dalla poesia io dalla filosofia – sarà il primo passo; poi procederemo assieme ad Ascesi". Nella stessa lettera è scritto: "Tra i miracoli del salvamento ci fu segnato: Primo, la povertà".
Ora che la causa di beatificazione procede speditamente, La Pira può essere indicato come un modello di santità nella vita politica?
Il patrono dei politici è Tommaso Moro. Forse è una figura che a molti può apparire un po’ lontana nella storia. La Pira è un contemporaneo che ha guidato una grande città, è stato in parlamento, ha fatto parte della costituente. Ce n’è bisogno nella vita politica.
E per l’Italia di oggi la testimonianza di La Pira è attuale?
Nel gennaio 1973 ricevetti questa sua lettera: "La stella (di Betlemme) che condusse i Magi dagli estremi limiti della muraglia cinese a Betlemme conduca ora alla cattedra di Pietro (a Roma) i popoli di Oriente, loro successori. Quei popoli cioè, di cui essi (i Magi) furono i primi indicatori nella via amica della salvezza, della civiltà e della pace. Queste parole non sono fantasia: la storia, ogni giorno più, ci prova che questo è l’irreversibile corso della storia del mondo! Oggi, come ieri, come domani! Se l’Italia intuisse davvero che il suo destino storico e politico è questo: essere il ponte che i popoli devono attraversare per andare all’inevitabile piazza di Pietro!".
Giampaolo Mattei