Giorgio Ruffolo, L’espresso 6/12/2007, 6 dicembre 2007
L’oro del diavolo di Giorgio Ruffolo. Dio e l’Oro sono spesso appaiati nella letteratura e nella musica
L’oro del diavolo di Giorgio Ruffolo. Dio e l’Oro sono spesso appaiati nella letteratura e nella musica. Nel ’Faust’ di Gounod Mefistofele canta: "Dio dell’or e del mondo signor". Secondo una leggenda che risale ai sumeri e ai babilonesi l’oro è stato estratto dalle viscere della Terra per conto degli dèi che abitano un pianeta remoto e che si servono di schiavi umani per estrarre oro nelle miniere della Terra. Schiavi che non vedono mai il sole, morti viventi. Ma alcuni di loro, ribellatisi, hanno regalato l’oro agli uomini, come Prometeo il fuoco, e per questo sono stati sterminati. Gli uomini hanno estratto dall’oro la sua polvere, dotata di una potenza magica. Nel Vecchio Testamento, che attinge a tutte le leggende di quel tempo, si chiama la manna. Ma gli dèi del misterioso pianeta hanno mantenuto con una parte dei minatori un rapporto di comando e si servono di loro per misteriose operazioni intese a mantenere il loro dominio sugli uomini. Nella realtà, l’oro non è un dio solitario. Ci sono altri metalli che gli hanno volta a volta conteso la supremazia: l’argento soprattutto. E altri moltissimi oggetti (materiali e immateriali) cui è stato attribuito il ruolo di moneta. L’oro, però, non è soltanto moneta. E la moneta non è soltanto oro. Ma che cos’è? Su che cosa sia propriamente la moneta, si discute da secoli. Non sempre con chiarezza. Gilles de Muisis, abate di Tournai nel Trecento e Quattrocento, la riteneva una cosa "molto oscura". "Esse", diceva delle monete, "crescono e diminuiscono di valore e non si sa che fare. Quando si pensa di guadagnare si trova il contrario". Anche oggi molti, tra cui certo gli sfortunati debitori dei subprime, la pensano come lui. Nel Sesto secolo prima di Cristo il re della Lidia, Creso, diede alla moneta, coniandola, la sua forma classica. Ma prima e dopo di lui, di forme la moneta ne ha assunto tante. Conchiglie, perle, denti di cane; pelli e stoffe; sale, cacao, tè e tabacco; asce, coltelli. E persino, come in Indocina, ingombranti gong e dischi di metallo (forse per scoraggiare gli avari). Una cosa è certa. La moneta è molto importante nella storia dell’umanità. Può essere considerata l’elemento centrale dell’economia. Centrale, perché costituisce il luogo di incontro dei due grandi soggetti dell’economia: il mercato e lo Stato. La moneta è inconcepibile senza l’uno e senza l’altro. Non sappiamo bene perché greci e latini dessero a Hera, o Giunone che fosse, l’appellativo di Moneta. "Solitaria"? "Ammonitrice"? I romani le dedicarono un tempio sul Campidoglio. Zeus-Giove invece, per punirla di qualche sua malefatta, l’appese tra cielo e Terra legata a una fune (d’oro, naturalmente) dalla quale l’astutissima dea riuscì a sganciarsi. Tra cielo e Terra: viene fatto di pensare a una metafora, tra Stato e mercato, che certamente a Zeus non venne in testa. Eppure quella sarebbe proprio una bella metafora per la moneta. Agganciata spesso alla fune dell’oro (pensate al famoso gold standard) ma sempre tentata di sganciarsene, nasce per concorde iniziativa del mercato e dello Stato. Volta a volta, l’uno prevale sull’altro nel suo governo. Nella storia recente, per esempio, il ruolo degli Stati nel governo delle monete del mondo fu decisivo negli anni successivi all’accordo di Bretton Woods, subito dopo la guerra. Poi, negli anni Settanta e Ottanta fu il mercato, attraverso le banche, ad assumere un ruolo crescente nel governo delle monete, grazie soprattutto alla liberalizzazione dei movimenti di capitale. Governo si fa per dire: perché, smentendo le predizioni del grande economista Milton Friedman, che aveva annunciato un’epoca di tranquilla autoregolazione dei mercati monetari e valutari, questi non risultarono mai più instabili e sregolati come negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, fino agli inizi del nostro. Ai giorni nostri le istituzioni finanziarie (banche e tutti gli altri ’intermediari’ finanziari) si sono moltiplicate come funghi. E grazie alla proliferazione dei loro strumenti (come gli ormai famosi derivati) e alla massa delle transazioni cui essi danno luogo (dieci volte circa il prodotto lordo mondiale), la moneta trascorre la superficie della Terra a velocità fantastiche, altro che Giunone. Durante l’ultima e più recente perturbazione, quella cosiddetta dei subprime (crediti immobiliari troppo facili concessi a una clientela troppo influenzabile) è emerso il risvolto dell’enorme potere esercitato dalle banche nella gestione della moneta: non quella d’oro che non circola più da un pezzo, tanto meno quella dei gong e dei dischi di pietra; e neppure quella di carta, inventata dai cinesi e reinventata da uno scozzese del Settecento; ma quella telefonica ed elettronica. I meccanismi attraverso i quali le banche hanno esteso enormemente l’area del credito (l’antropologo Karl Polanyi avrebbe detto, hanno ’mercatizzato’ lo spazio e il tempo) sono tecnicamente affascinanti, specialmente se spiegati impeccabilmente da economisti del calibro di Luigi Spaventa: in particolare per quanto riguarda la diffusione dei rischi e la sua doppia conseguenza, di proteggere effettivamente i singoli diffondendo però il rischio nel sistema. Un po’ come la polvere d’oro, la leggendaria manna, della quale l’Antico Testamento ci dice che recò grande utile al popolo ebraico sterminando al tempo stesso i suoi nemici (ma qui si tratta delle banche e dei loro clienti). Sta di fatto che questa più recente perturbazione ha gettato più di un dubbio sulla possibilità di perdita di controllo del sistema monetario; e del paradosso per il quale le Banche centrali, create per garantire la stabilità del sistema, sono costrette a intervenire con immissioni massicce di moneta per evitare le conseguenze della sua instabilità. E ha riproposto il problema del rapporto tra l’’oro’ e la politica, con il quale abbiamo aperto questa ’cicalata’ che proseguiamo, in modo ancora più ’strano’, rievocando una proposta eretica, la quale dovrebbe risolvere alla base il problema degli eccessi della sregolatezza bancaria, eliminando le banche. La proposta nasce da una provocazione di un uomo d’affari tedesco degli anni Trenta, Silvio Gesell - citato con interesse da Keynes - il quale propose, al fine di eliminare lo spreco improduttivo dell’accumulazione finanziaria, di applicare ai crediti un interesse negativo, col pagamento di un bollo annuale che ne riducesse gradualmente il valore. La proposta è stata rilanciata, dieci anni fa, dal cosiddetto Bromsgrove Group, o gruppo dei Money Reformers guidato da James Gibb Stuart, in una forma più articolata che coinvolge l’intera politica monetaria e fiscale. Detto alla buona, invece di raccogliere entrate con le tasse o ricorrendo a prestiti, il governo dovrebbe creare moneta per finanziare direttamente investimenti pubblici o consumi individuali: moneta distribuita alla Keynes e gravata di un interesse negativo alla Gesell, che sarebbe dunque spesa subito in consumi e investimenti scongiurando un eccesso inflazionistico di domanda grazie all’aumento immediato dell’offerta e un difetto depressivo di domanda grazie all’assenza di risparmio. Prima di sorridere, pensateci un momento, come invita a fare il folle James in un delizioso immaginario colloquio alla Swift, la cui lettura non è consigliabile a banchieri con pressione elevata. Non sarà però necessario attentare alle loro arterie, piuttosto provate di questi tempi. Ci sono modi meno bizzarri di ristabilire un controllo della finanza che minaccia di smarrirsi. Per esempio, quello di ricostituire un qualche ordine internazionale alla Bretton Woods, magari riprendendo e aggiornando le idee che allora Keynes dovette abbandonare, non per adottare una moneta unica mondiale, come lui suggeriva - il bancor - ma per realizzare di comune accordo un sistema equilibrato e regolato di rapporti stabili tra le monete mondiali: oggi il dollaro e l’euro, domani, chi sa. Certo, occorrerebbe in Europa un governo europeo che fosse in grado di servirsi della sua moneta forte, rafforzando con una politica macroeconomica europea una economia debole (il contrario di ciò che fa l’America). L’euro è nato dalla serendipità. Serendippo, un mitico re cingalese, diventò famoso perché, cercando una cosa, ne trovava un’altra molto più importante. L’euro doveva essere un franco forte, niente di più. Invece è diventato una moneta mondiale, con sede a Francoforte. L’euro può essere molto più di una moneta. Del resto, la Moneta è per sua natura, nella storia, molto più di una semplice moneta. parte integrante della identità di una nazione. Fino a ieri non era possibile pensare la Germania senza il marco, la Francia senza il franco, la Grecia senza la dracma; e persino l’Italia senza la sua liretta, alla quale si rivolgono oggi insospettabili nostalgie. Per questo l’atto con il quale è stato creato l’euro non fa parte soltanto della storia monetaria, ma della grande storia. propriamente il primo vero investimento politico costituente di una nazione europea, il primo passo della costruzione di una potenza europea con una forte vocazione riequilibratrice del disordine mondiale. Potremmo allora evitare che, come capita oggi, una parte importante delle nostre ricchezze, reali e potenziali, prenda la via del pianeta remoto ove gli imperscrutabili dèi della finanza presiedono ai nostri destini.