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 2007  dicembre 06 Giovedì calendario

«Falce martello e la stella d´Italia/ ornano nuovi la sala. Ma quanto/ dolore per quel segno su quel muro»

«Falce martello e la stella d´Italia/ ornano nuovi la sala. Ma quanto/ dolore per quel segno su quel muro». Così Umberto Saba, al teatro degli Artigianelli, «quale lo vide il poeta nel mille/ novecentoquarantaquattro, un giorno», nella Firenze appena liberata, dove ancora «rombava il cannone». La lirica resta commovente, ma da oggi la falce e il martello spariscono dalla vita pubblica italiana. Al termine di una intricata e defatigante controversia di natura non del tutto allegorica, i rappresentanti di un´entità ancora provvisoriamente nominata come "la Cosa rossa" hanno deciso di fare a meno dell´antico simbolo del lavoro. Il quale venne adottato dal Partito socialista nel 1919, al congresso di Bologna, ordine del giorno a firma di Nicolino Bombacci (che poi ebbe una vita assai complicata), quando tutto spingeva a «fare come la Russia». Di pura utensileria bolscevica in effetti si trattava. Nel dopoguerra si presero la falce e martello i diversi partiti della sinistra, senza che questo creasse problemi di copyright. Fu Renato Guttuso, con la consulenza di Antonello Trombadori, a disegnare l´emblema stilizzato del Pci, mentre Nenni depose quei due strumenti, graficamente già allora un po´ antiquati, su un libro, Il Capitale; e dietro poi spuntò anche un sole nascente. All´inizio degli anni ottanta, con un blitz semantico orchestrato dallo scenografo Panseca, Bettino Craxi prima miniaturizzò la falce e martello e poi la fece definitivamente cancellare, con alti lamenti e risentimenti dei tradizionalisti, tra cui Pertini. Quindi prese di nuovo in pugno quei due strumenti, ma per scagliarli addosso ai comunisti, che per qualche anno fecero i superiori. E tuttavia, divenuti «ex» e «post», questi ultimi si lacerarono anche sulla falce e sul martello, chi rivendicandone anche in competizione giudiziaria la piena visibilità (Rifondazione e poi Pdci) e chi (Pds e Ds) attuando un astuto e tutto sommato indolore processo di rimpiazzamento e rimpicciolimento. Il guaio dei simboli, se di guaio di tratta, e non di una regolarità che ha a che fare con la storia, è che non rimangono tali per sempre. Pensieri, poesie, canzoni, oggetti, pitture, bandiere, variazioni di fede e di propaganda: per quasi un secolo la falce e il martello hanno alimentato e a volte anche incendiato l´immaginario di quattro generazioni. Ma poi arriva un momento in cui il simbolo non penetra più il cuore nascosto, né parla più all´inconscio del militante: e allora è come se avesse perso la sua prodigiosa energia. Che la fine della falce e martello, circostanza per tanti aspetti epocale, si sia ieri rivelata grazie alla tacita certificazione degli onorevoli Diliberto, Giordano, Mussi e Pecoraro Scanio, tanto per cambiare chiusi dentro una stanza, attorno a un tavolo, è questione che conferma questa perdita, ormai, di potere ideale e di significato psichico. Così come era del tutto prevedibile che qualcun altro si sia già offerto di raccogliere e riutilizzare l´emblema: un po´ per autentica nostalgia, ma forse anche con l´ideuzza che quel residuo sacramentale gli possa far guadagnare qualche voto nel piccolo mondo antico delle abitudini e dei sentimenti. Ovviamente, i dignitari della «Cosa rossa» si sono ben cautelati: e perciò, come sempre in Italia, ci sarà lavoro per gli avvocati. Ma forse c´è anche da dire che falce e martello, da simbolo nel senso più pieno della parola («Ma quanto dolore per quel segno»!), era inesorabilmente degradato a stemma, marchio, logo, contrassegno. Pretesto di audaci stilisti trasgressivi o spiritosamente impresso sulle mattonelle del bagno del compagno «G», Primo Greganti. Spilletta regalata da Pierferdy Casini a Nichi Vendola. Un giorno lo si immaginò addirittura tatuato sul seno di una sedicente nipotina di Bertinotti. E insomma, addio, senza rancori. Nel frattempo i maggiorenti della «Cosa rossa» hanno scelto l´arcobaleno. Che ha il vantaggio di essere un logo omologabile fin dall´inizio, ma la curiosa controindicazione di essere stato usato da Prodi e da tutto il centrosinistra, compreso Mastella, alle elezioni del 2005. Poi lo cambiarono, o se ne scordarono: com´è logico in un paese dove tutto sembra sempre così uguale e così diverso.