Marco Imarisio, Corriere della Sera 6/12/2007, 6 dicembre 2007
DAL NOSTRO INVIATO
PARMA – Quel giorno ci guarderà il mondo intero, e non si tratta soltanto di una frase fatta. Le richieste di accredito arrivate da testate giornalistiche straniere sono finora a quota 250. L’affare Parmalat è il più grande e il più globalizzato degli scandali economici moderni. Di conseguenza, ha generato il più imponente processo della storia giudiziaria italiana. Piccolo dettaglio, a soli tre mesi dall’inizio, non si trovano i giudici. Il collegio che dovrà presiedere il padre di tutti i dibattimenti ancora non c’è. E visto che si tratta di una cosuccia capace di occupare 70 giga di memoria, per l’astronomica cifra di 6 milioni di pagine, il ritardo è di quelli che preoccupano.
Il processone comincerà – almeno dovrebbe – il 14 marzo 2008, data nella quale è previsto il via al dibattimento che raccoglie i tre tronconi principali dell’inchiesta. Quello sul crac da 14 miliardi di euro dell’azienda alimentare, con l’ex patron Calisto Tanzi e il suo uomo di fiducia Fausto Tonna accusati di bancarotta fraudolenta, il fallimento di Parmatour, e infine il cosiddetto filone Ciappazzi, ovvero la controversa vendita dell’omonima azienda di acque minerali, che vede rinviati a giudizio l’allora presidente di Capitalia Cesare Geronzi, l’ex amministratore delegato Matteo Arpe e altri sei manager della banca romana. Gli imputati sono in totale 66, trentacinquemila le parti civili ammesse in aula.
A rigor di norma sul giudice naturale, il collegio si sarebbe dovuto formare nel luglio di quest’anno, quando sono stati decisi gli ultimi rinvii a giudizio. Ogni tribunale è organizzato in modo tale che vi sia una automatica assegnazione del giudice, per il dato giorno e la data ora. Ma Parma è una città troppo piccola per un’ondata di processi come quelli in arrivo (i dibattimenti per ora sono unificati, ma non è escluso che possano scindersi, moltiplicando per tre il problema). E i suoi Uffici giudiziari «sono sottoposti ad impegni e tensioni (interne ed esterne) incompatibili con le dimensioni e le risorse degli Uffici stessi», così ha sentenziato il Consiglio superiore della magistratura lo scorso 25 ottobre, in una seduta dove è stato stabilito che il processo Parmalat e la brutta figura che a causa sua rischia la nostra giustizia «costituisce una straordinaria emergenza», ma non è stata trovata la quadratura del cerchio. Paradossalmente, i primi a lanciare l’allarme sono stati gli avvocati, tramite Antonino Tuccari, presidente della combattiva Camera penale di Parma. «Lo diciamo dal dicembre 2006, quando tutto cominciò: sono i processi l’ostacolo più alto da superare. Nessuno ci ha ascoltati. Adesso rischiamo di farci ridere dietro da mezzo mondo».
Le cause di questo stallo sono molteplici. Alcune fisiologiche, altre meno. La quasi totalità dei magistrati giudicanti del tribunale penale di Parma è incompatibile con il processo. Hanno già trattato il caso, in sede di indagini o udienza preliminari. Il presidente della sezione del Tribunale Eleonora Fiengo ha provato a creare il collegio, nominando tre «incompatibili», in barba alle regole tabellari. E’ stato un gesto di protesta, un modo per richiamare l’attenzione del Csm. Ma anche Fiengo ci ha messo del suo, rifiutandosi, lei che incompatibile non sarebbe, di presiedere il processo, in quanto già alle prese con il dibattimento sull’uccisione del piccolo Tommaso Onofri.
La soluzione più semplice sarebbe il trasferimento alla sezione penale di alcuni giudici civili. A giocare contro ci sono due elementi. Il primo è di opportunità, passare dalle cause civili al processo del secolo sembra sconveniente. Il secondo è di natura molto prosaica, come ha constatato anche una delegazione del Csm in trasferta a Parma per sondare il terreno. Come succede in tutti i tribunali d’Italia, sono rari i magistrati che accettano di passare al penale abbandonando i ritmi tranquilli del civile, tanto più se sanno che ad attenderli ci sono sei milioni di pagine e rogne infinite. Sarà anche piccolo, l’ufficio giudiziario di Parma, ma non si fa mancare nulla, neppure un conflitto tra le due cariche più importanti. Il presidente del Tribunale Stellario Bruno e la presidentessa della Sezione penale non si amano, e comunicano soltanto via fax. Il primo non vuole prendere alcuna decisione, e le delega alla seconda, la quale rimanda la questione al mittente, il tutto nella prospettiva fideistica di un aiuto esterno. Nessuno si assume la responsabilità di imporre il passaggio a qualche magistrato dalla sezione civile, o di applicare le tabelle, andando per esclusione fino a ufficializzare lo stato di emergenza.
La cavalleria è comunque in arrivo, sotto forma di «applicazioni», ovvero il trasferimento temporaneo di alcuni giudici provenienti da altre sedi, a patto che non si ripeta quel che è accaduto con l’ultimo «prestito», un Gip di Brescia risultato inutilizzabile in quanto fratello e figlio di avvocati difensori di imputati Parmalat. E’ l’escamotage che ha permesso di concludere le indagini – il record è del gup Domenico Truppa, rimasto «applicato» per due anni – ma è legato alle carenze di organico. Se mancano due persone, il Csm non ne può mandare di più. E il tribunale di Parma, finora, non ha comunicato nulla all’organo di autogoverno della magistratura, che quindi è ufficialmente impossibilitato ad intervenire. Può farlo in autonomia, ma comincia a farsi tardi: tra il bando per il trasferimento temporaneo e l’arrivo del magistrato nella sede prescelta possono passare anche 18 mesi. Altro ostacolo: in un collegio giudicante non ci dovrebbe mai essere più di un «applicato », e quindi il passaggio dal serbatoio del civile – comunque oberato di cascami Parmalat legati alle procedure fallimentari – sembra inevitabile. «Nei casi di eccezionalità e urgenza», così recita la norma, è possibile ricorrere alla supplenza. Ma la durata temporale di questo istituto non può eccedere i sei mesi, e Parmalat «minaccia» di superare i due anni. Tre giudici, magari ben preparati, per un processo di importanza enorme: sembra facile. Ma anche se il mondo ci guarda, siamo pur sempre in Italia.