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 2007  dicembre 06 Giovedì calendario

VARI ARTICOLI SULLA CRISI ECONOMICA DEL MANIFESTO

CORRIERE DELLA SERA, 6/12/2007
R.R.
ROMA – Sergio Cusani è stato contattato dai vertici del manifesto, che hanno intenzione di sottoporgli i libri contabili. Il contatto, tre giorni fa: ancora nessun accordo firmato, ma è certo che l’ex finanziere dovrà presto capire quali siano le reali condizioni economiche del quotidiano comunista, i cui conti sono ormai da anni, spiacevole gioco di parole, in rosso.
C’è qualcosa di curioso, e di non scontato, nel fatto che un quotidiano come il manifesto
affidi le proprie sorti proprio all’uomo che, trent’anni fa, era considerato un genio della Borsa, cresciuto alla scuola di Serafino Ferruzzi, poi passato al servizio di Raul Gardini, infine divenuto famoso alle cronache giudiziarie per aver gestito la maxi tangente Enimont ai partiti.
Ma ormai Cusani – che di tutti i protagonisti della vicenda Enimont (banchieri, manager di Stato, industriali e politici) è quello che ha scontato la pena più pesante: 5 anni e 6 mesi, di cui quattro trascorsi in carcere – ha cambiato vita, è passato ufficialmente dall’altra parte; si occupa dei problemi dei detenuti e collabora con i sindacalisti della Fiom-Cgil, per i quali svolge pure un’attività di monitoraggio delle aziende in crisi.
Infatti. «Anche il manifesto
è in crisi – spiegano nella redazione di via Tomacelli – e speriamo che l’abilità di Cusani nel capire le possibili strategie di un’azienda, ci indichi quale sia la strada da percorrere per uscire dalle nostre difficoltà».
La situazione del giornale è seria: i dipendenti sono in cassa integrazione da un anno, gli stipendi non vengono pagati ormai da cinque mesi, e Valentino Parlato risponde ai lettori, i quali spediscono lettere e fax sostenendo che, per conquistare nuove fette di mercato editoriale, sarebbe sufficiente togliere quelle due parole sopra la testata: «quotidiano comunista».
Dice Valentino Parlato: «Comunisti o no, per favore, abbonatevi e portateci soldi freschi ». Il manifesto non è nuovo a crisi economiche, ma finora è sempre riuscito a far fronte ai conti in rosso, ricorrendo anche a sottoscrizioni tra i lettori e a vendite del quotidiano a prezzi di sostegno.

CORRIERE DELLA SERA, 13/12/2007
ANGELA FRENDA
MILANO – Il manifesto «deve essere anche un’azienda». E fa niente che «tanti, come noi, possono storcere il naso perché abituati a concepire l’azienda come organismo predatorio del lavoro e dell’intelligenza collettiva. Combattere questo modello resta una delle ragioni principali del nostro lavoro e della nostra vita. Ma l’azienda alla quale pensiamo è l’insieme di persone e cose organizzate economicamente per il conseguimento di uno scopo determinato».
Nel quotidiano di via Tomacelli (ma da gennaio traslocano nella nuova sede di via Bargoni, in zona Porta Portese) si cambia registro. E si introduce il concetto, finora poco amato, di azienda. L’annuncio è stato dato ieri ai lettori in un lungo e sofferto articolo di prima pagina, che è stato il frutto dell’assemblea di martedì tra i giorna-listi, la direzione, e Sergio Cusani. L’ex finanziere è stato infatti contattato dai vertici del manifesto
perché stili un piano di risanamento dei conti economici, da anni oramai in rosso.
Il manifesto ha affidato le proprie sorti, quindi, all’uomo che trent’anni fa era considerato un genio della Borsa, che poi ha lavorato per Raul Gardini e che infine è divenuto famoso nelle cronache giudiziarie per aver gestito la maxi tangente Enimont ai partiti. Oggi Cusani però ha cambiato vita: si occupa di problemi dei detenuti e collabora con i sindacalisti della Fiom-Cgil, per i quali svolge attività di monitoraggio delle aziende in crisi. E martedì ha illustrato il suo progetto di risanamento ai redattori del manifesto.
In sintesi, Manifesto spa, titolare delle testata, ha adesso sulle sue spalle il debito di 12 milioni di euro a fronte di un patrimonio di 20 milioni di euro. Secondo il piano di Cusani la Spa concederebbe per durata pluridecennale la testata alla cooperativa Manifesto Cearl ricevendo un canone annuo. Così la Cearl sarebbe libera di agire come impresa competitiva non più oberata dai debiti.
Un’«aziendalizzazione», spiega il direttore Gabriele Polo, «sofferta ma necessaria. ora di diventare grandi e abbandonare la fase adolescenziale. Vanno bene le sottoscrizioni, e siamo sempre stupiti dalla generosità dei nostri lettori. Ma non possiamo continuare a sopravvivere girando con il cappello in mano. Dobbiamo diventare adulti e porre fine alla fase post ’68. Quindi serve anche una struttura aziendale. Basta incarichi confusi e scarsa responsabilizzazione nel gestire il patrimonio ». L’azienda a cui pensa Polo, però, «sarà diversa. Perché non punta ai profitti ma all’indipendenza del giornale». Pensiero, questo, in sintonia con la maggior parte della redazione. Come conferma Andrea Fabozzi, membro del Cdr: «Quasi tutti noi crediamo che non ci farebbe male l’introduzione di criteri aziendali. Nessuna demonizzazione, insomma. Perché l’alternativa è rimanere assistiti a vita. Semmai il problema è spiegare bene questa cosa ai nostri lettori, alcuni dei quali potrebbero non capire». Di qui, il fondo di ieri. Dopo un’assemblea che si è conclusa con il voto per acclamazione della proposta di Cusani. Il quale spiega soddi-sfatto: «Il progetto si deve e si può fare. La trasformazione in azienda e l’abbandono di un’organizzazione non competitiva? I giornalisti l’hanno capita. Come? Ho spiegato che anche loro dovevano fare uno sforzo, adesso, rispetto alle proprie ideologie. Così come i loro lettori avevano fatto tanti sforzi finora».