TuttoScienze La Stampa 05/12/2007, pag.V DAVIDE PATITUCCI, 5 dicembre 2007
Intervista Antonino Zichichi. TuttoScienze La Stampa 5 Dicembre 2007. Uragani, alluvioni e siccità sono una minaccia
Intervista Antonino Zichichi. TuttoScienze La Stampa 5 Dicembre 2007. Uragani, alluvioni e siccità sono una minaccia. Ne sono convinti i membri del Comitato per il Nobel che il 10 dicembre consegneranno il premio per la Pace 2007 all’ex vicepresidente Usa Al Gore e all’Ipcc, il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici. Un organismo che fa parte dell’Onu, ma che è nato in Italia, al Centro di cultura scientifica Ettore Majorana di Erice, su iniziativa di Antonino Zichichi, presidente del Centro Enrico Fermi. Professore, com’è nata l’idea di far incontrare gli scienziati per discutere di cambiamenti climatici? «L’idea fu concepita a metà degli Anni 80 nell’ambito dei seminari sulle emergenze planetarie, un appuntamento in cui da 30 anni scienziati di ogni nazione si incontrano a Erice per parlare del Pianeta. Era l’86, quando convinsi il professor Obasi, allora segretario dell’Organizzazione meteorologica mondiale, a creare un comitato: lo scopo era fissare basi rigorose per lo studio dei problemi meteoclimatologici e degli effetti delle attività umane sull’inquinamento. Il gruppo da me presieduto era composto da 50 membri, tra cui Tsung Dao Lee, allievo di Fermi e Nobel per la fisica. Fu Lee a introdurre nello studio del clima le turbolenze, alla base dei modelli climatologici. Poi il comitato si ampliò, trasformandosi in un organismo dell’Onu: l’attuale Ipcc. Che ora conta 2500 membri». La maggior parte degli scienziati è d’accordo nel ritenere che le temperature siano in aumento. Diverse, invece, sono le opinioni sulle cause. Perché è così difficile arrivare a un unico punto di vista? «L’Ipcc ha indotto il grande pubblico a credere che la scienza abbia capito tutto del clima. Se fosse vero, il destino del Pianeta sarebbe privo d’incertezze e sotto il rigoroso controllo della scienza. Ma non è così». Che cosa non è stato ancora capito? «Il problema è la descrizione matematica del clima. E’ basata su quelle che chiamiamo equazioni differenziali (che descrivono, istante per istante, ciò che avviene), non lineari e accoppiate (ogni formula ha grande influenza su tutte le altre). Le equazioni, però, non hanno una soluzione analitica, ma solo approssimazioni numeriche, per giungere alle quali è necessario usare alcuni parametri liberi». Può fare un esempio? «Il padre della matematica che descrive i fenomeni meteoclimatologici, John Von Neumann, 50 anni fa spiegava così le difficoltà di queste equazioni: ”Se mi date quattro parametri liberi, vi costruisco un modello matematico che descrive quello che fa un elefante. Ma se mi permettete di aggiungerne un quinto, vi prevedo che l’elefante volerà”. I modelli dell’Ipcc hanno molto più di cinque parametri. E’ una matematica che appartiene alla scienza della complessità, che studia, ad esempio, l’attività cerebrale o le Borse». In che modo la fisica dell’Universo subnucleare e la climatologia sono unite dallo studio dei sistemi complessi? «Come i climatologi, anche noi fisici che lavoriamo nel campo delle interazioni fondamentali: tentiamo di fare previsioni, per esempio sul livello di energia in corrispondenza del quale dovrebbero esistere nuove particelle. Tuttavia, nonostante la matematica che usiamo sia più accurata di quella adoperata in climatologia, abbiamo problemi nel fare previsioni. Ma queste predizioni non hanno conseguenze sulla vita di tutti i giorni. Al contrario, le previsioni legate ai modelli climatici hanno enormi conseguenze sul futuro». Quali conseguenze? «Sui costi. Se queste predizioni si rivelassero inesatte, potrebbero comportare uno spreco di miliardi, coinvolgendo molti governi nel mondo». La crisi ambientale è legata al problema energetico. Come fronteggiarlo? «La stragrande maggioranza degli abitanti del Pianeta, fatta eccezione per gli 800 milioni di individui a cui abbiamo il privilegio di appartenere, ha a disposizione la stessa quantità di energia che avevano i nostri antenati nell’età della pietra. La soluzione è il fuoco nucleare». Sono trascorsi 20 anni da quando l’Italia ci rinunciò: fu un errore? «Fu una decisione sbagliata, che costrinse il nostro Paese, allora leader mondiale nel campo della sicurezza delle centrali, alla schiavitù energetica». Al meeting di Bali l’Onu discute come rafforzare gli accordi di Kyoto sul taglio dei gas serra. E’ la via giusta? «Kyoto non è la soluzione al problema. Occorre migliorare la matematica dei modelli. Ad esempio, un’analisi delle variazioni climatiche del passato dimostra che i raggi cosmici influiscono sul clima, ma nessun modello ha introdotto questa variabile. Eppure, per via dei raggi, negli ultimi 500 milioni di anni, le calotte polari si sono sciolte e riformate quattro volte (all’incirca ogni 140 milioni di anni), in coincidenza con il transito della Terra in uno dei quattro bracci della galassia». Come può aiutarci la scienza? «La matematica da sola non basta. necessario migliorare gli strumenti di misura e la loro sensibilità». Intanto gli allarmi crescono: quanto li condivide? «I cambiamenti climatici hanno sempre accompagnato la storia della Terra, ma in passato non se ne aveva conoscenza. Ecco perché è importante non fare annunci di catastrofi imminenti, avallandoli come se fossero previsioni rigorose. Il rischio, altrimenti, è che la scienza perda la sua credibilità». DAVIDE PATITUCCI