La Stampa 05/12/2007, pagg.6-7 STEFANO LEPRI, ROBERTO GIOVANNINI, ALESSANDRO BARBERA, 5 dicembre 2007
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’Gli statali assenteisti ci costano 14 miliardi”. La Stampa 5 Dicembre 2007. ROMA. Contro i fannulloni di nuovo si scaglia il presidente della Confindustria Luca Cordero di Montezemolo. Per lui l’inefficienza del settore pubblico è la vera palla al piede dell’economia italiana; ed «emblema dell’inefficienza» è l’assenteismo. Se si riuscisse ad «azzerare le assenze diverse dalle ferie» e in quei giorni gli impiegati pubblici lavorassero, si avrebbe «un risparmio di quasi un punto di Pil, 14,1 miliardi di euro»; riducendo la somma di ferie e assenze al livello del settore privato si avrebbe «un risparmio di 11,1 miliardi».
Montezemolo parla di istruzione e di freni allo sviluppo, di come evitare che l’Italia «cada indietro» nella competizione internazionale; perché si tratta dell’inaugurazione dell’anno accademico alla Luiss, l’università romana che appartiene alla Confindustria. Propone di premiare il merito e la produttività, anche per consentire l’ascesa sociale di chi non è figlio di ricchi. Ma a sollevare un vespaio è l’atto d’accusa contro il pubblico impiego: «tra ferie e permessi vari un pubblico dipendente è fuori ufficio mediamente un giorno su 5». Tra ferie malattie e permessi, appunto, secondo il presidente della Confindustria «l’assenteismo è del 30% superiore rispetto alle grandi imprese industriali»; «il top si raggiunge al ministero della Difesa, con 65 giorni di assenza in un anno, seguito dal ministero dell’Economia e da quello dell’Ambiente, entrambi con oltre 60 giorni. Altrettanto elevato è l’assenteismo nell’Agenzia delle Entrate. All’Inpdap si sfondano i 67 giorni». Ribatte il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani: «L’assenteismo va combattuto perché danneggia i lavoratori onesti ma Montezemolo ha fatto confusione, i suoi dati non corrispondono al vero». Va oltre Luigi Angeletti della Uil: «Montezemolo si dovrebbe preoccupare in primo luogo del fatto che i lavoratori italiani, sia pubblici che privati, hanno bassi salari. Questa è la vera emergenza».
Andando a chiedere, però, i dati sono gli stessi. La fonte è unica, è il «Conto annuale» delle pubbliche amministrazioni pubblicato dalla Ragioneria dello Stato. I sindacalisti sostengono che occorre guardare al numero dei giorni di malattia e altre assenze retribuite, 18,71 nel 2005 secondo gli ultimi dati disponibili, senza metterci le ferie. Anche così, tuttavia, le assenze nel pubblico sono alquanto superiori rispetto al settore privato. Anche nel settore privato occorre lavorare di più, secondo il leader degli industriali, perché l’orario annuale è troppo corto; solo Francia e Germania l’hanno più corto ancora, ma accordi sindacali e politiche dei governi stanno allungandolo. Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, insinua che l’uscita di Montezemolo, presidente anche della Fiat, potrebbe essere «conseguenza del rifiuto degli incentivi alla rottamazione delle auto» annunciato un paio d’ore prima alla Camera dei deputati. Certo ai sindacati del pubblico impiego suona sgraditissima la richiesta confindustriale di arrivare a «una verifica oggettiva dell’impegno» degli statali, invece dei «premi di risultato uguali per tutti» finora contrattati. «Sembra che tutti i problemi del Paese derivino dalla pubblica amministrazione» commenta il ministro che la regge, Luigi Nicolais. Nella visione di Montezemolo i successi più recenti dell’economia sono merito degli imprenditori; proprio per questo occorre prendere di petto le inefficienze del settore pubblico, indcpace anche di aiutare i più deboli e di garantire «tempi certi alla giustizia». Romano Prodi ha scelto di non commentare. Il governo era chiamato in causa da un’altra parte del discorso di Montezemolo, con critiche evidentemente dirette al ministro per l’Università Fabio Mussi: «stiamo per assistere alla consueta infornata di raccomandati» mentre è «privo di vere risorse» l’impegno preso l’estate scorsa di destinare il 5% finanziamenti alle sole università migliori; insomma «vincono la spesa a pioggia, l’allergia alla meritocrazia, l’università uguale per tutti ispirata a un falso solidarismo che in realtà danneggia i più deboli, perché in realtà i più ricchi possono sempre andare a studiare all’estero». Già, i più deboli; perché il presidente della Confindustria biasima la nostra «società incentrata sulle caste, dove la mobilità sociale è bassissima, dove i figli perpetuano il lavoro dei padri»: «tra le persone di 18-37 anni sei figli di operai su dieci fanno gli operai, una quota che è addirittura in aumento rispetto alle generazioni precedenti, mentre 7 figli di professionisti, imprenditori, dirigenti fanno i professionisti, imprenditori, dirigenti»; qualche segnale di mobilità sociale in più «c’è nelle regioni del Nord, ma non nel resto del Paese».
STEFANO LEPRI
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’Nulla si può contro i medici compiacenti”. La Stampa 5 Dicembre 2007. ROMA. Girolamo Pastorello, lei è direttore centrale per il personale dell’Agenzia delle Entrate. Da voi l’assenteismo impazza, come dice Luca Cordero di Montezemolo?
«Veramente ho l’impressione che il presidente di Confindustria adoperi dati errati. E comunque, mettere insieme assenze, permessi e ferie è come sommare pere, mele e carciofi. Il vero assenteismo, che è un problema molto serio, si nasconde notoriamente tra i dati delle assenze per malattia. Le ferie sono un diritto, non c’entrano con l’assenteismo».
E da voi, com’è la situazione?
«Intanto, noi abbiamo reso pubblici tutti i dati che rileviamo, che mostrano grandi differenze tra ufficio e ufficio, tra regione e regione. L’assenteismo nell’Agenzia delle Entrate non è un fenomeno generalizzato».
Ovvero?
Ovvero, un terzo dei dipendenti non fa nemmeno un giorno di assenza per malattia l’anno. Un terzo si attesta sotto la media nazionale, che è di 10,2 giorni l’anno. Gli altri fanno tante assenze: in pratica, il 30% del personale assomma l’85% delle assenze per malattie di tutta l’Agenzia».
Immagino che ci sia un bel divario tra Nord e Sud...
«Infatti. In Alto Adige, in media si fanno 4,8 giorni di assenza, in Calabria 15,3. 8,5 in Lombardia, 14 in Sicilia. Anche i giovani del Mezzogiorno si ”ammalano” più di quelli del Nord».
Come arginare il fenomeno?
« difficile. Mettendo i numeri in piazza, e poi moltiplicando i controlli. Ma il guaio è che noi le visite fiscali le facciamo, e tante, ma i certificati medici ci stanno sempre...»
Dunque, colpa dei medici...
«Certo è che in molte Asl si verificano abusi. E poi, si devono eliminare regole sbagliate inserite nei contratti. Faccio un esempio: oggi nel pubblico impiego se un lavoratore manca per malattia fino a 14 giorni, dalla busta paga gli tolgono i 250 euro della cosiddetta ”indennità di amministrazione”. Ma se l’assenza si prolunga per almeno un altro giorno, e si arriva a 15 giorni di malattia o più, ecco che l’indennità torna nello stipendio».
Geniale: sembra una regola studiata per favorire l’assenteismo di lunga durata...
«E pensare che fu introdotta per contrastare il microassenteismo, le assenze brevi. Nel prossimo contratto si dovrà per forza rimediare».
ROBERTO GIOVANNINI
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Lo sfogo dei ministeriali ”Qui lavorare non serve”. La Stampa 5 Dicembre 2007. Piazza Santa Croce in Gerusalemme, civico numero uno. «Scusi, è qui l’Inpdap?». Il portiere dello stabile allarga le braccia: «Pure lei...Da quindici anni ricevo posta e regali di Natale. Giri l’angolo, loro stanno al 55 della via, non nella piazza. Se ci va, gli dica di sistemare l’equivoco sugli elenchi». Alle cinque del pomeriggio la direzione generale dell’Istituto voluto dal Governo Ciampi per accorpare i tre vecchi enti previdenziali dello Stato (Enpas, Inadel e Enpdep) è semivuoto. Nella palazzina anni sessanta ci sono solo i dipendenti del turno lungo. L’ultima entra dopo aver parcheggiato davanti ai cassonetti con le doppie frecce. Gli altri escono alla spicciolata. Una signora, alla parola «giornalista», torna indietro terrorizzata e chiama la vigilanza. Nessuno osa qualificarsi nemmeno con il nome di battesimo. Un uomo e una donna escono per fumare una sigaretta. La donna abbozza: «Montezemolo dice che questo è un covo di assenteisti? Lo dica ai dirigenti: non si presentano mai prima delle dieci». L’uomo, un impiegato del Protocollo, è meno disponibile. Prima apostrofa e poi chiama di nuovo la vigilanza. L’amica lo difende: «Sa, è l’effetto del turno lungo». Scende le scale una signora sui cinquanta con passo svelto. «Non ho nulla da dire». Poi, voltato l’angolo, ci ripensa: «Se vuole parlare mi segua». Si accalora: «All’Inpdap si è avverata la profezia di Goya. Il sonno della ragione ha prodotto mostri». Racconta di promozioni «pilotate», di «merito inesistente», di un ente nel quale il controllo sulle persone è «pressoché nullo». Alla domanda se ci sia un problema di assentesismo, la signora fa spallucce: «Se la gente non lavora più è perché qui lavorare non serve. I più seri fanno solo quello che gli viene chiesto. Punto. Qui hanno la meglio gli iscritti alla Cgil e alla Cisl». Sa come diceva Totò? «E’ la somma che fa il totale». Un’altra signora si fa accompagnare alla fermata del 571. «Io ho vinto un concorso regolare nel 1972 e sto per andare in pensione. Gli assenteisti sono sempre esistiti, qui come altrove. Ora dicono che monteranno i tornelli. Chissà».
All’ingresso dell’Inpdap c’è un orologio e i cartellini da timbrare. Non devono servire a granché se in primavera la direzione ha iniziato una battaglia per ottenere le sbarre girevoli nella sede di Via Ballarin, all’Eur, un ministero da 1.800 persone. Motivo ufficiale: «Sicurezza». Una volta negli uffici, i dipendenti dovrebbero portare al collo un badge indentificativo, ma in pochi rispettano la regola. Negli ultimi mesi ci sono stati furti di borse, pellicce, computer. A primavera un gruppo di occupanti di un palazzo Inpdap ha sfondato la vigilanza ed è arrivato fin dietro la porta del presidente Staderini al terzo piano. I sindacati a parole si dicono «favorevoli» ai tornelli, in pratica frenano. «Vogliamo aver chiaro cosa significa», dice Francesco Nicastro della Cisl. «Perché nella sede centrale c’è il bar e la mensa interna, altrove no. In Italia abbiamo decine di piccole sedi senza servizi. In quel caso bisognerà continuare a garantire la pausa pranzo». Il contratto di lavoro del pubblico impiego prevede in media 36 ore settimanali e una pausa di mezz’ora al giorno, «più altri dieci minuti previsti dalle norme europee», rivendica Nicastro.
Nessuno, ai piani alti dell’Inpdap, crede che il tornello avrà un impatto salvifico sull’assenteismo. E del resto, se l’innovazione potrà essere da deterrente contro il vizietto dell’uscita durante il lavoro, non risolve quello della finta malattia. Al ministero dell’Economia, fra i primi per assenze, i tornelli esistono da anni. In quel caso, aiutano a monitorare anche i dipendenti che lavorano in «outsourcing» nel ministero. Aziende private nelle quali, a detta di Montezemolo, i giorni di assenza sono inferiori almeno di un terzo. Con grande disappunto dei sindacati interni, Tommaso Padoa-Schioppa ha appena nominato come capo del personale al ministero Giuseppina Baffi, figlia dell’ex Governatore di Bankitalia ed ex braccio destro di Matteo Arpe a Capitalia. All’uscita del più grande ministero d’Italia la gente è un più loquace. Sabrina e Manuela, due dipendenti di «Eds», spiegano: «Assentesimo? Beh, diciamo che in un giorno facciamo dieci telefonate sette persone le troviamo, tre no». Un dirigente del Tesoro che preferisce l’anonimato è al secondo giorno di lavoro dopo quindici anni a Washington fra Banca Mondiale e Banca Interamericana di Sviluppo: «Le cose stanno migliorando. Prima che partissi era impossibile trovare gente al lavoro di pomeriggio. Ma qui dentro mancano ancora merito e giovani». Annuiscono due trentenni, lui dipendente privato di «ITQ», l’altra di Consip. «Qui si lavora un botto». Ma la pausa caffé al Bar XX settembre, di fronte al ministero, durerà una mezzoretta. Questione di punti di vista.
ALESSANDRO BARBERA