Michele Rak, DA CENERENTOLA A CAPPUCCETTO ROSSO, 186 pp. Bruno Mondadori, euro 25, 4 dicembre 2007
DA CENERENTOLA A CAPPUCCETTO ROSSO
Il Foglio 4 dicembre 2007. Nelle corti napoletana e parigina del Seicento, inaugurando un genere che riassume liberamente i precedenti e si stabilizza nel giro di due o tre secoli, appaiono le fiabe. Vengono da tradizioni antiche, racconti orientali, mediterranei, da vene narrative marginali e memorie cultuali. A guidarne i personaggi non è il destino medievale ma le abilità dell’individuo moderno. Cenerentola è l’emblema dell’ascesa sociale senza scrupoli, Cappuccetto rosso un monito sulle insidie delle città nuove. Il ”Cunto de li cunti”, nella lingua teatrale napoletana dischiude le possibilità della fiaba barocca.
Narrazioni recitate da donne e destinate a un pubblico femminile, appannaggio di élite e del loro intrattenimento. Ma il dio fabulino, invocato dagli antichi romani per ispirare le favole dei bambini, nasconde nelle creazioni che incoraggia anche messaggi scabrosi per adulti. Riciclando la facezia umanistica e dissimulando contenuti sotto un abito godibile, la narrazione fiabesca diventa un modo di affilare la satira sociale o svelare meandri dell’inconscio. L’effetto di spaesamento, l’assenza di un tempo determinato e la ritualità dell’azione, sono ingredienti del ”cunto” seicentesco che ne consentiranno un’ ininterrotta rielaborazione.
Cinquant’anni dopo il capolavoro di Basile appare la ”Posilicheata”, ambientata sul promontorio di Posillipo, il cui carattere fiabesco parodiava l’etica ambigua delle corti. A Parigi la fiaba si reincarna nella forma più sofisticata dei ”contes” di Charles Perrault che pubblica il suo libro nell’ultimo lustro del secolo introducendo il gioco del racconto in mezzo ad altri giochi quali le mascherate, i concerti, le feste, gli eventi di teatro. Ma trasferendo Basile alla corte di Luigi XIV, non osa far violare – come accade a Napoli – la Bella Addormentata: risparmia al principe tanto smodato ardore e si limita a svegliarla. Dopo l’arrivo, nel 1704, delle ”Mille e una notte”, il racconto barocco si arricchisce di atmosfere orientali e viene rielaborato da un centinaio di romanzieri. Tutte le sue potenzialità si sviluppano poi nel discorso illuminista: insegnamento etico, erotismo licenzioso, magia, scienza, viaggio. Si tratta di una lunga strada, compendiata in questa colta ma leggera ”Breve storia illustrata della fiaba barocca”, che finisce con il 1789, quando il racconto di meraviglie inizia a disperdersi nella fantasia borghese. E dove l’ambiziosa Cenerentola può diventare ”il soggetto delle varianti ingovernabili e porno del fumetto e di Internet.”