Francesco Manacorda, La Stampa 4/12/2007, 4 dicembre 2007
In un momento in cui il nostro Paese muoveva i primi passi per uscire dal labirinto delle sue rovine, era sembrato essenziale per la ripresa economica italiana la creazione di un organismo che promuovesse la formazione di nuovo risparmio a media scadenza, necessario a mettere le aziende produttive in condizioni di equilibrio»
In un momento in cui il nostro Paese muoveva i primi passi per uscire dal labirinto delle sue rovine, era sembrato essenziale per la ripresa economica italiana la creazione di un organismo che promuovesse la formazione di nuovo risparmio a media scadenza, necessario a mettere le aziende produttive in condizioni di equilibrio». E’ il 29 ottobre del 1947 ed Enrico Cuccia, nel presentare per la prima volta agli azionisti il bilancio dell’istituto - che ha cominciato ad operare il 16 settembre dell’anno precedente - traccia in poche righe il manifesto programmatico della «sua» Mediobanca. Per i trentacinque anni successivi l’assemblea di bilancio, che quasi sempre si tiene il 28 ottobre - l’anniversario della marcia su Roma, a rimarcare la distanza dal fascismo - sarà in pratica l’unica occasione in cui l’uomo che ha fondato e guida Mediobanca, e la cui riservatezza costituisce parte integrante del suo mito, si esprime pubblicamente. Così oggi - mentre l’istituto continua a condurre molte danze dell’economia nostrana - celebra il centenario della nascita di Cuccia con un volume che verrà presentato questa mattina a Milano e che riunisce proprio le sue relazioni di bilancio dal 1947 al 1982. Un’occasione per avere sotto gli occhi la summa quasi integrale del pensiero - almeno quello pubblico - del banchiere che ancora oggi si identifica pienamente con la più influente delle istituzioni finanziarie italiane. Sempre conciso, attento a usare un linguaggio piano, incline a una filosofia da buon padre di famiglia, («ogni iniziativa non sufficientemente meditata e preparata può essere fonte di delusione e di errori», dice ad esempio nel 1959, mentre nel ”70 auspica che si possa «provocare nella clientela quel senso di limite e di moderazione che è la migliore protezione del proprio denaro»), il Cuccia che affiora dal susseguirsi delle relazioni ha una visione in qualche modo «bifocale»: gli occhi puntati alle vicende dell’economia italiana e ai loro riflessi sull’ambito d’azione di Mediobanca, ma attentissimi anche a cogliere gli sviluppi - o le involuzioni - internazionali di pari passo con l’apertura del capitale (l’ingresso di Lazard Frères & C. e Lehman Brothers è di metà Anni ”50) a soggetti stranieri, effettuata proprio per realizzare una piena internazionalizzazione dell’istituto. Sulla scena italiana la polemica è spesso aperta e ribattuta anno dopo anno - sull’eccessivo indebitamento delle imprese, sui crediti agevolati che non vengono permessi a Mediobanca, sulla politica di bilancio che a partire dagli Anni ”70 spinge l’inflazione - ma al tempo stesso lo sguardo del banchiere che siamo abituati a pensare tutto concentrato sulle segrete cose del potere finanziario, è attentissimo all’economia reale, aiutato in questo anche dall’opera dell’ufficio studi. Nel 1960 segnala che «l’economia italiana è entrata nel ciclo della cosiddetta ”affluence”, nel ”62 analizza «la notevole attrattiva che i beni durevoli di consumo hanno esercitato in questi ultimi anni» con effetti benefici sulla congiuntura, ma già nel ”69 avverte che all’orizzonte c’è «un quadro pieno di tensioni e interrogativi» destinato a sfociare nella crisi degli Anni ”70. Facile concordare su quello che ricorda il presidente del consiglio di gestione di Mediobanca Renato Pagliaro nella sua introduzione al libro, ossia che «l’indiscussa protagonista delle Relazioni è l’impresa». A costo - verrebbe da dire - di tralasciare o riservare trattamenti meno attenti ad altri attori della scena finanziaria. Se infatti è ben nota la non eccessiva propensione di Cuccia e della sua Mediobanca per gli azionisti di minoranza, nelle pieghe delle relazioni si trovano anche giudizi impietosi su grande capitale e manager, come in questo passaggio del ”79: «A uno spirito imprenditoriale in eclissi si è mano a mano sostituito un professionalismo non sempre all’altezza dei propri compiti». Di grande attualità suonano anche le parole di Cuccia dedicate al rapporto banca-impresa nel ”77: «Oggi, dopo che il guasto ha raggiunto le proporzioni che tutti sappiamo, si cercano vie d’uscita alla crisi nell’ambito del sistema bancario ed in particolare, si almanaccano artificiosi accorgimenti che dovrebbero sollecitare l’apporto di capitale di rischio da parte del sistema stesso, senza avvedersi che intenti di questo genere snaturano in maniera irrimediabile la funzione creditizia e non risolvono... i problemi essenziali e strutturali delle imprese industriali». Parole che trent’anni dopo, mentre si insediano i vertici Telecom scelti soprattutto dai soci bancari, rischiano di suonare come profetiche.