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 2007  dicembre 04 Martedì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

NEW YORK – Tra i tanti «guru» di ogni tipo – geni del management, filosofi del tempo libero, rivoluzionari dell’alimentazione – sfornati a getto continuo dall’America, Timothy Ferriss è, di certo, uno dei più improbabili. Trent’anni, manager un tempo indaffaratissimo, Ferriss dice di aver imparato a organizzare il suo lavoro in modo tale da ricavarsi un bel po’ di tempo libero da dedicare alle sue molte (e a volte stravaganti) passioni: dalle arti marziali – tornei di kickboxing vinti in Cina, corsi di kendo in Giappone – alle immersioni nei mari caraibici, fino ai campionati di tango.
Questo ragazzo di Long Island trapianto in California ha trasferito la sua ricetta in un libro dal titolo esagerato almeno quanto il suo stile di vita: «The 4 hour work week», la settimana lavorativa di quattro ore. Ed ha raccolto, subito, un successo travolgente. Non solo il manuale va a ruba ovunque negli Usa, ma la sbrigativa ricetta di Ferriss – eliminate la maggioranza delle e-mail senza leggerle, abolite Blackberry e cellulari «intelligenti » come i Treo, accettate il rischio di vivere in una condizione di «ignoranza selettiva » – spopola soprattutto nella Silicon Valley, cioè nella culla di quell’information
technology alla quale oggi Ferriss si ribella.
Molti manager di società tecnologiche californiane che apprezzano l’analisi del «guru» con la faccia da bambino non la interpretano come un invito a tornare al passato, ma come uno stimolo ad usare la tecnologia per ridurre gli impegni e non solo per moltiplicarli, come è avvenuto fin qui. Migliaia di impiegati e dirigenti che non riescono a rompere l’assedio dei messaggi di posta elettronica e che non leggono più un giornale o un libro, divorano, invece, con avidità la prosa ossuta di questo «pifferaio magico». Ferriss li invita, ad esempio, a usare la tecnologia per selezionare le e-mail, rispondendo alle più importanti, eliminando quelle inutili o poco significative e affidando le altre alle cure di un consulente esterno: un personal assistant indiano o filippino che può essere reclutato a un costo variabile tra i 4 e i 10 dollari l’ora.
La low information diet (dieta dell’informazione limitata) proposta dal manager spazia dal banale al grottesco. Passando da una provocazione all’altra, Ferriss propone ai suoi seguaci di concentrarsi su una sola cosa alla volta, li invita a partecipare a una riunione solo se è garantito che produca una decisione entro mezz’ora, a delegare ai livelli più bassi tutte le decisioni meno rilevanti e a creare barriere per tenere lontani i perditempo, amici e colleghi compresi. Anche giornali e tg vanno consumati con parsimonia perché il tempo è una risorsa sempre più scarsa: per le notizie del giorno possono anche bastare i camerieri del ristorante.
La cosa che stupisce non è tanto il successo del libro: «In fondo – nota Fabio Rosati, l’amministratore delegato di Elance, una società di consulenza professionale basata a Mountain View, non lontano dal quartier generale di Google – Silicon Valley brulica di professionisti ambiziosi, con un grande istinto professionale, ma che sono sempre alla ricerca di un’ora libera da dedicare al fitness o a una corsa in bici». Ferriss promette l’impossibile, ma col suo titolo attira molta più attenzione che se avesse parlato di una settimana di 20 o 30 ore lavorative: un obiettivo che per qualcuno è già a portata di mano. A colpire è, invece, soprattutto l’intensità del dibattito che si è aperto sulle tesi di Ferriss, che ormai viene invitato a tenere seminari e conferenze nelle grandi università americane, da Princeton al Mit di Boston, ad Harvard.
Molti sostengono che, al di là delle sue discutibili proposte, l’abilità dell’eccentrico manager sia stata quella di intercettare e dare evidenza ad un malessere diffuso e crescente per il modo in cui le tecnologie elettroniche hanno invaso le nostre vite, offrendo sì nuove opportunità, ma anche assorbendo molto tempo libero e obbligando molte aziende a modificare l’organizzazione del lavoro.
Secondo Radicati Group, un istituto di Palo Alto specializzato in ricerche di mercato, in media i funzionari di una corporation oggi ricevono 126 messaggi di posta elettronica al giorno: il 55% in più rispetto a tre anni fa. E da qui al 2009 è prevedibile un ulteriore incremento del 40 per cento. Un trend insostenibile che non ci si può più illudere di tenere sotto controllo con i filtri «anti-spam»: la «spazzatura informatica» è infatti ormai solo una parte di un flusso di messaggi che cresce in continuazione grazie alla facilità con la quale chiunque può inviare a cento amici o colleghi un video tratto da YouTube o anche solo l’invito a fermarsi un’ora di più in ufficio per mangiare una fetta di torta e bere un bicchiere di vino. E le reti sociali, da Facebook a MySpace, funzionano inesorabilmente da moltiplicatori di questo fenomeno. per questo che in California spuntano una dopo l’altra società come ClearContext e Seriosity che offrono software sempre più sofisticati per cercare di selezionare la posta elettronica, evidenziando i messaggi più importanti. Ma sono tecnologie che lasciano ancora molto a desiderare. Così finisce per fare proseliti un apostata che, nel mezzo della valle delle tecnologie, invita i suoi seguaci a «staccare la spina».
Ovviamente Ferriss ha anche molti detrattori. Alcuni si soffermano ad analizzare l’incongruenza della sua ricetta, ma i più lo accusano di essere uno che predica bene e razzola male, visto che la frenetica campagna di marketing che sta conducendo a sostegno del suo libro lo impegna ben più di quattro ore per settimana. Lui replica che i dibattiti sul suo scritto non sono un lavoro ma un’attività di arricchimento interiore. Impegni che, comunque, che non gli hanno impedito di tornare in Giappone per darsi al suo ultimo hobby: lo yabusame, il tiro con l’arco da un cavallo in corsa.
Massimo Gaggi