varie, 3 dicembre 2007
ASTORE
ASTORE Salvatore San Pancrazio Salentino (Brindisi) 20 aprile 1957. Artista. Tra le sue opere, un ciclo di Stanze disabitate: «[...] appena entri nella prima sala hai la sensazione che Astore [...] ti abbia condotto in un luogo dominato dal vuoto e dal silenzio. Tanto che ti viene quasi da camminare in punta di piedi per non disturbare quella quiete. riposante trovarsi circondati da questi grandi quadri, porte aperte su spazi dove addirittura sembra possibile entrare. Nello stesso tempo, dopo qualche istante, si percepisce una sorta di allarme, si resta in attesa. Succederà qualcosa? Qualcuno è appena andato via? C’è un’atmosfera metafisica, eppure si avverte la presenza di un’umanità che non c’è e che probabilmente siamo noi, invitati a varcare la soglia. ”Si tratta pur sempre di anatomie. - spiega l’artista, che rivela anche la sua suggestione - sono opere che nascono da una riflessione su Edward Hopper, sulla sua opera che inquadra un ambiente disabitato, tagliato dalla luce”. un Hopper rivisitato dalla stesura ampia, piatta ma impercettibilmente pulsante di Astore. E dal suo tipico segno, da una linea aggraziata di radice matissiana, che sceglie una porzione di mondo - un nudo, un bambino, un oggetto, anche un sanitario - e la incornicia, dandogli aria, facendone idoli solitari, piccoli eroi della quotidianità, che alternano fierezza e malinconia. Se le grandi tele fanno riflettere sulla messa in scena dell’assenza, nei piccoli pastelli colpisce soprattutto la grande luminosità. E si capisce come il rapporto tra il pieno e il vuoto in questo caso sia soprattutto un equilibrio di luci e di ombre, di raffinate vibrazioni e impalpabili sfumature. Il racconto è lo stesso, aumenta soltanto l’intensità timbrica, il calore di una pittura che comunque mantiene un rigore ”minimalista”, anche perché ognuno di questi interni è costruito sul monocromo. [...] attratto dall’idea e dalla sfida del vuoto. I suoi bambini, gli animali, i nudi, gli oggetti ne sono circondati e ci fanno continuamente i conti. Senza mai sopraffarlo. Perché le opere di questo intonatore di silenzio, hanno bisogno di respiro, vivono di questo. E così succede quella piccola magia che le fa apparire monumentali nonostante la loro piccola dimensione, e leggere quando sono grandi» (Lea Mattarella, ”La Stampa” 3/12/2007).