varie, 3 dicembre 2007
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Bajani Andrea
• Roma 1975. Scrittore. Libri: Se consideri le colpe. «[...] ha l’intensità, la purezza lirica, la bellezza di un’opera in cui l’autore abbia lasciato maturare poco a poco il proprio sentimento della vita o, di essa, la propria esperienza [...] narra in prima persona. Ma la vera protagonista sintattico-stilistica è la seconda persona con cui si rivolge a un’interlocutrice, che dapprima crediamo essere una fidanzata, un’amante, una moglie. Si scopre presto essere la madre, morta da poco, lontana da casa. morta a Bucarest, dove viveva in qualità di neo imprenditrice. La madre Lula ha abbandonato il figlio Lorenzo e il marito, padre adottivo del ragazzo. Il romanzo di Bajani cresce in ragione di questo abbandono. Ma Se consideri le colpe non è un romanzo sulla morte della madre. Essa non è che l’effetto di una lancinante devastazione morale. Perché la madre del ragazzo s’era allontanata, era andata via di casa? Noi italiani abbiamo un mucchio di sentimenti nei confronti degli stranieri che abitano con noi, sia che sbarchino clandestinamente, sia che abbiano un regolare permesso di soggiorno o addirittura siano divenuti, come noi, italiani. In particolare, abbiamo un sentimento specifico di diffidenza nei confronti dei rumeni. Bajani rovescia questo abnorme luogo comune. Crediamo, o fingiamo di credere, che la storia coloniale sia finita, con la Seconda guerra mondiale, o con le guerre di liberazione degli anni Sessanta. Invece la fisionomia dell’Occidente, da esse sfigurata, è rimasta quello che era, si è anzi imbruttita a causa di tutte le operazioni di maquillage frattanto intercorse. L’opera di colonizzazione continua. La differenza, rispetto a prima, è che prospera senza armi. Basta una donna intraprendente come la protagonista di Se consideri le colpe perché, appunto, i misfatti continuino. Costei, la madre, inventa una macchina per far dimagrire, una specie di uovo. Basta entrarvi dentro, stare lì tranquilli, sudare, per uscirne nuovi di zecca, uguali a tutti i pionieri che dimorano al di là del Danubio. Lula per la sua invenzione si esalta. Si arricchisce, in ogni senso, o almeno così crede. ”Ti eri concentrata, dice il figlio, sulle parti più povere del mondo, dicevi che lì avevano molta energia, un senso della vita più sviluppato del nostro. Dicevi che far arrivare apparecchi come il tuo in posti così era un po’ come portare la luce, o l’acqua o il telefono”. D’altra parte Lula è una donna come le altre, credendo nelle fiabe e nell’autoassoluzione, si innamora di un nuovo uomo o forse, dal suo punto di vista, di un uomo nuovo, un uomo come lei, un uomo che, come lei, è andato all’avventura in terra straniera. Ma questo uomo uguale a Lula, questo Anselmi, è proprio un Giasone (il cui nome ricorre): quando il tempo è passato, non è naturale avere accanto a sé una donna più giovane, una nuova donna? Abbandonata, Lula (una iper giasonica Medea) si lascia andare, non ha il coraggio di tornare a casa, si avvilisce fino alla degradazione o all’umiliazione, ingrassa, deperisce, muore. di qui che comincia la presa di coscienza del figlio, vero tema del libro: il rapporto dei figli con madri che, per lavorare, si allontanano da loro (la morte della protagonista non è che una estremistica metafora di tale nuova condizione, come la sua intraprendenza ne era la causa, storicamente determinata). ”Se consideri le colpe, dice l’orazione funebre per Lula, se consideri le colpe, Signore chi potrà sussistere”. Infatti Lula non sussiste. Con il suo sintomatico, lieve, impercettibile senso del pudore, con il suo trasalire di fronte alla volgarità linguistica come spia della volgarità del mondo di cui Lula era parte, Bajani ci ha appena detto che il figlio, guardando alcune foto della madre a Bucarest, sotto o vicino a quel totem del dominio, dell’oppressione, della morte, che è il palazzo di Ceausescu, da ovunque visibile, Bajani ci ha appena detto che la figura ivi ritratta è quella di una donna non solo disfatta ma deforme, ingrassata (la deformità, la putrescenza di un mondo che vuole tutto). C’è forse bisogno che il Signore consideri le colpe? Non sono esse da se stesse considerate? A questo contrappasso atroce, l’uovo/la bara (in cui Lorenzo s’infila, in una come quella che ha da poco accolto la madre), Bajani risponde con un quasi assillante controllo stilistico fondato su un doppio movimento, quello del tu-io, cui corrisponde un’oscillazione temporale, tra presente (vuoto) e passato (da riempire). Il tu di Bajani non è infatti, come nei romanzi sulla morte della madre, un tu confidenziale, cioè autobiografico; né è il tu riflessivo della tradizione novecentesca, da Michel Butor a Georges Perec a Jay McInerney. un tu puramente e semplicemente umano, nostalgico (vedi l’uso dell’imperfetto), straziante, che nasce, anzi sgorga, dallo strazio di uno spettacolo miserevole, il dominio, lo sfruttamento, e da una perdita incomparabile, la perdita di ciò che non si è mai avuto» (Franco Cordelli, ”Corriere della Sera 1/12/2007).