Duke Ellington, la Repubblica 2/12/2007, 2 dicembre 2007
Migliaia di chilometri sulle strade d´America, inviti e ricevimenti in tutto il mondo. Amicizie tra gangster, poveri diavoli e teste coronate
Migliaia di chilometri sulle strade d´America, inviti e ricevimenti in tutto il mondo. Amicizie tra gangster, poveri diavoli e teste coronate. Pochi maestri, infiniti allievi, condannato a essere sempre il migliore. Esce in Italia in versione integrale l´autobiografia dell´uomo che cambiò il jazz "Scrissi la partitura di ”Solitude´ in piedi, in venti minuti, appoggiato alla vetrata dello studio" DUKE ELLINGTON Il Cotton Club. La sala era al secondo piano dell´angolo di nordest fra la Centoquarantaduesima Strada e Lenox Avenue; sotto c´era l´ex Douglas Theatre, più tardi diventato il Golden Gate Ballroom. La sala superiore era stata pensata come sala da ballo, ma l´ex campione dei pesi massimi Jack Johnson l´aveva diretta come Club De Luxe. Per quei tempi era un gran cabaret, con quattro-cinquecento posti a sedere. […] Gli artisti erano ben pagati e i prezzi per i clienti erano alti. C´erano dodici ballerine e otto showgirl, tutte pupe carinissime. E si vestivano così bene! La domenica sera, quando le celebrità riempivano il locale, uscivano elegantissime dai camerini. Ogni volta che arrivavano, le star e la gente ricca dicevano: «Oh cielo, e quella chi è?». Erano splendide, ma oggi sembra che ragazze così siano scomparse. [...] Qualche volta mi domando che cosa sarebbe diventata la mia musica, se allora non fossi stato esposto ai suoni e alle atmosfere di quella gente sensibile e profonda: cantanti, ballerini, musicisti e attori di Harlem. In a Sentimental Mood. Due ragazze che conoscevo avevano litigato perché una aveva soffiato il ragazzo all´altra. Allora mi sedetti fra loro, suonai il pianoforte per rabbonirle e dedicai loro una canzone nuova. A loro piacque, la canticchiarono e le cose tornarono tranquille. Più tardi la canzone fu chiamata In a Sentimental Mood. Un´altra hit, Solitude, arrivò più o meno nello stesso modo di Mood Indigo. In uno studio di registrazione nel settembre 1934, a Chicago, avevamo tre pezzi pronti e ne occorreva un quarto. L´orchestra che ci precedeva suonò più del previsto e io riuscii a buttarlo giù mentre aspettavo. Scrissi la partitura di Solitude in piedi, in venti minuti, appoggiato alla vetrata dello studio. Dopo che fu suonata e registrata la prima volta, nello studio tutti erano commossi, tecnico compreso. Duelli musicali. Il locale di Mexico fu teatro di molte battaglie musicali. Ogni mercoledì sera c´era una gara di fiati, e ogni volta veniva scelto uno strumento diverso. Una settimana erano di turno le cornette, poi i sax alti, i clarinetti eccetera, finché arrivava la volta dei suonatori di tuba. Il locale era talmente piccolo che ci potevano stare soltanto una o due tube. Le altre si schieravano fuori sul marciapiede e aspettavano. All´epoca la gara di virtuosismi era lo sport più popolare tra i musicisti professionisti. Non dimenticherò mai la sera che furono di scena Fats Waller, James P. Johnson e "The Lion". Purtroppo non c´erano ancora i registratori. In viaggio. Ho visto parecchie volte l´aurora boreale. Ma una sera in Canada, mentre io e Harry Carney eravamo in viaggio da Three Rivers, nel Quebec, a North Bay, nell´Ontario, sulla Route 17, ne capitò una meravigliosa. Ci pareva di essere due ometti seduti dietro due uomini alti in un enorme Radio city, mentre si stava rappresentando uno spettacolo teatrale. Non si vedevano i suonatori, ma soltanto le ombre e i riflessi degli artisti che andavano e venivano davanti a un fondale illuminato. Era il più grande spettacolo che avessi mai visto e continuò finché dovetti uscire dalla macchina. […] Metà delle volte, in viaggio, io e Harry arriviamo nella città dove dobbiamo suonare, persuasi che l´altro sappia dov´è il posto o abbia una mappa in tasca. Ma ogni tanto capita che nessuno di noi due lo sappia. «Tranquillo!», dico, e andiamo da un benzinaio, dove Harry dice: «Il pieno, per favore». Dopo essermi sgranchito, chiedo al benzinaio: «Sa mica dove suona , stasera?». Di solito il tipo risponde: «Oh, giù all´Auditorium, al semaforo a tre isolati da qui girate a sinistra, poi la prima a destra, poi sempre dritto, non potete sbagliare». Miles. Quando una volta, una signora del pubblico lamentò che non riusciva a capire quello che stava suonando Miles, lui rispose con una delle sue sagge sentenze sull´arte: «Io ho impiegato vent´anni di studi e di esercizi per fare quello che sto facendo in questo concerto. Come può pensare, lei, di ascoltare e capire in cinque minuti?». Quanto era vero, era vero e universale. Ah Miles! La musica. Per me la musica è sensazione, assimilazione, prefigurazione, adulazione, reputazione. Mi porta in posti nuovi, mi fa fare nuove esperienze. Mi procura inviti per occasioni interessanti in Nord e Sudamerica, Europa, Africa, Asia, Australia. In India ho sentito odori che non ho sentito in nessun altro luogo. In Svezia ho visto cieli che altrove non ci sono. In Africa ho ascoltato tamburi lontani. In Brasile ho ricevuto dalla cuica forti passioni. A Phoenix ho visto un disco volante; un arcobaleno di luna a Reno; neve e nebbia a Toronto; neve, lampi e tuoni a Chicago; quattro arcobaleni tutti insieme a Stoccolma; e un anno esatto dopo la morte di Billy Strayhorn, alla stessa ora e nello stesso minuto, ho visto una celebrazione nel cielo, uno squarcio tra le nuvole su un´autostrada del New Jersey. Alla Casa Bianca. Suonammo a Washington al ballo ufficiale per l´insediamento del presidente nel gennaio 1969, e quando entrò Nixon nella sala da ballo si fermarono tutti. La prima cosa che disse fu: «Come direbbe Duke Ellington, non significa nulla se non c´è quel certo swing». […] Quando andai a trovare il presidente Eisenhower e a suonare per lui alla cena dei corrispondenti alla Casa Bianca, mi fu data una sontuosa suite al Mayflower Hotel. Mentre uscivo dall´ascensore nella hall, il presidente entrava. Mi salutò con calore e poi, mentre me ne andavo, mi gridò forte: «Ehi, Duke, non dimenticarti di suonare Mood Indigo». Menestrello da strada. Sono qui, cinquant´anni dopo, e ancora butto i musicisti giù dal letto per farli lavorare, per poterli ascoltare, così loro possono guadagnare da vivere per le loro famiglie. Questo, però, non altera la prospettiva del menestrello di strada, che talvolta immagina di prendere forbici e carta o cartone e di ritagliare delle figurine. Le porta fuori, all´angolo della strada, e le mette in mostra, piegandole e tirandole in modo che facciano rumore. Naturalmente il rumore è la cosa principale, perché la gente lo sente, e quando gli piace, dice: «Lo compro». Così gli faccio avere il rumore. E io raccolgo le mie figurine e torno fuori il giorno dopo, in un altro angolo di strada, per vedere se riesco a far piacere il rumore a dell´altra gente.