Giuseppe Montesano, la Repubblica 2/12/2007, 2 dicembre 2007
Come passava il suo tempo Niccolò Machiavelli, intellettuale e scrittore ex consulente del Principe, quando diventò disoccupato perché non diceva sempre sì al Principe? Come tutti gli scrittori, scioperato a perder tempo di giorno e scribacchiando di notte
Come passava il suo tempo Niccolò Machiavelli, intellettuale e scrittore ex consulente del Principe, quando diventò disoccupato perché non diceva sempre sì al Principe? Come tutti gli scrittori, scioperato a perder tempo di giorno e scribacchiando di notte. il 10 dicembre del 1513, e in una lettera Machiavelli si lamenta con Francesco Vettori: perché i Medici non lo adoperano, fosse pure a «voltolare un sasso»? Il tempo gli passa andando a caccia di tordi col vischio e a sentir ciarlare i taglialegna, e già nel primo pomeriggio se ne va all´osteria. Là, in compagnia di beccai e mugnai si «ingaglioffa» a giocare a carte tutta la giornata, dando battaglia per «un quattrino» e facendosi dispetti con quei «pidocchi» tra parolacce e urla. La noia e l´inattività lo affliggono, ed è forse in quei giorni in cui persino i compagni di bevute servono a togliere «el cervello di muffa», che scrive per divagarsi Belfagor arcidiavolo: un micro-racconto riproposto dal Melangolo con i disegni di Emanuele Luzzati. Plutone raduna i demoni per risolvere un caso: è possibile che quasi tutti i dannati dicano di andare all´inferno a causa delle mogli? Per saperlo, Plutone spedisce sulla terra Belfagor arcidiavolo, che va a Firenze perché lì può far fruttare «con arti usuraie» i suoi soldi. Ma, errore gravissimo, Belfagor-Roderigo sceglie per moglie una «Monna Onesta», e, peggio, se ne innamora. E qui la favola di Belfagor arcidiavolo prende a correre con il ritmo secco e tutto fatti di Machiavelli, essenziale come uno scheletro ripulito fino all´osso che si metta a danzare e a ghignare. Monna Onesta rovina il marito; lui fugge; salvato da un contadino, per ringraziarlo lo fa arricchire invasando le donne e uscendone a comando. Mai fidarsi del diavolo, però: Belfagor-Roderigo entra nel corpo della figlia del re di Francia e si rifiuta di uscirne. Ma come in uno scatenato cartoon a ritmo di jazz New Orléans, il machiavellico contadino convoca una band che con «trombe, corni, tamburi, cornamuse, cembanelle, cemboli e altri romori» circonda Belfagor-Roderigo e gli dice che è venuta a riprenderselo la moglie: «Fu cosa meravigliosa a pensare quanta alterazione di mente recassi a Roderigo sentire ricordato il nome della moglie». Senza più ragionare, l´arcidiavolo ritorna all´inferno con la velocità di un Wile Coyote rinsavito che sfugga a un malefico Bip-Bip. In Belfagor arcidiavolo Machiavelli giocava con il tema medievale della satira contro le donne e dei fiorentini più astuti del diavolo, in un divertissement che avrà certo letto ad alta voce agli amici e a una qualche "Monna": e non certo una Monna Onesta come quella della sua favola, perché anche se l´autore del Principe era ammogliato con monna Marietta e aveva una barca di figli, da Lodovico a Guido a Piero a Baccina e al piccolo Totto, non si faceva per questo mancare gli svaghi di piacere. Come racconta lui stesso in una lettera, nel 1509, a Verona, finisce adescato da una donna a pagamento: al buio non si accorge di nulla, e pur trovandola floscia e ripugnante, «tanta era la disperata foia che io havevo, che la fotte´ un colpo…». Ma quando Niccolò la vede, scopre l´orrore: la donna è una vecchia piena di pidocchi, vizza, cisposa, senza denti, bavosa, senza capelli, con la barbetta, balbuziente. L´avventura da romanzo picaresco alla Lazarillo de Tormes o in stile Pitocco è finita? Per niente! Appena la vecchia parla le esce «un fiato sì puzzolente», che l´autore del Principe le dà di stomaco addosso. Ma a leggere il suo epistolario, si scopre che non sempre a Machiavelli andava così male: a Francesco Guicciardini scrive che si sbaciucchia con "la Riccia", che però lo trova pazzo come tutti i letterati; Guicciardini gli risponde ricordandogli che "la Mariscotta", una cortigiana, ha nostalgia di lui e dei suoi modi educati: perché in realtà Niccolò, che diceva che «la fortuna è donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla», era in realtà timidissimo e compito; a Francesco Vettori scrive che «ogni dì siamo in casa di qualche fanciulla per rihavere le forze, godendoci questo resto della vita»; poi, a sorpresa, consiglia al Vettori di lasciarsi andare all´amore, come ha fatto sempre lui stesso: «Levategli dunque i basti, cavategli il freno, chiudete gli occhi e dite: fa´ tu, Amore, guidami tu, sono tuo servo…»; e, a cinquant´anni, dichiara di aver lasciato «i pensieri delle cose grandi et gravi» per seguire Venere e una donna che gli fa amare il contrario di ciò che amava prima: una «creatura tanto delicata e tanto nobile…». Era il Rinascimento, un mondo in cui tutto diventava possibile: dove l´elogio della carne di Pietro Aretino e le sottigliezze neoplatoniche di Marsilio Ficino andavano a braccetto, dove le satire sulle donne perditrici si sposavano in uno stesso poeta ai madrigali in lode delle donne gentili, dove gli arcidiavoli si innamoravano delle Monne Oneste e i prelati di quelle molto meno oneste. Quali contraddizioni era in grado di ingoiare e ruminare quell´epoca di festosa e cruda vitalità nel suo stomaco? Sul finire del Rinascimento ormai stremato, il Gran Maestro Rabelais fece trionfare nel suo Gargantua et Pantagruel la liberazione sessuale di maschi e femmine e la grande Cuccagna del cibo sognata dal popolo nella Abbazia di Thélème: una libera confraternita di gaudenti illuminati che aveva per sola insegna il motto pre-anarchico: «Fa´ ciò che vuoi!». Ma nel Libro Terzo del suo enorme romanzo, Rabelais era poi capace di andare avanti dal capitolo nono al capitolo quarantottesimo a dibattere con Herr Trippa e il filosofo Spaccapeli, e con infiniti teologi e sapienti tutti invischiati in deliranti discussioni sulle corna e sulla donna, per rispondere al comico, delirante, irrisolvibile quesito: è opportuno che Pantagruel prenda moglie? Ma la sapienza umana non basta a questa decisione, Pantagruel e i suoi gaudenti partono per rivolgersi all´Oracolo della Divina Bottiglia, e la Dea dei bevitori offre una sola risposta a tutti i quesiti: Trink, cioè «Bevi!». Attraverso Rabelais la Divina Bottiglia dice a Pantagruel che la vita deve scorrere e fluire libera dai legacci, sangue e vino e flussi mestruali e sudore e seme si devono mescolare in un solo fiume, e i giorni devono essere vissuti fino alla feccia. Il diavolo? Ma il diavolo non esiste, e se mai c´è, che beva anche lui per dimenticare se stesso nel vino! Poi la festa rinascimentale finisce, e il diavolo ricompare: prima come satirico svelatore delle malvagità umane nei Sogni di Francisco De Quevedo e nel Diavolo zoppo di René Lesage, poi per ritornare alla fine dell´Età dei Lumi, e di nuovo in compagnia della donna: anzi, questa volta, lui stesso trasformatosi in donna. il demone in forma di cammello del Diavolo innamorato di Jacques Cazotte, che per tentare Alvaro diventa una seducente Biondetta, amorosa e dolce, coraggiosa e erotica, e che alla fine riesce a portarsi a letto lo spagnolo. l´inizio del grande Cafarnao, della totentanz romantica: erotismo e sosia negli Elisir del diavolo di Hoffmann, cadaveri tornati in vita per sedurre monaci rosei e belli nella Morta innamorata di Gautier, donne diaboliche più del diavolo nelle Diaboliche del cattolicissimo Barbey D´Aurevilly. la fin de siècle che trionfa nella Carne, la morte e il diavolo, con un erotismo morboso e sfrenato a tessere i rapporti tra i Belfagor decadenti e le sensuali e crudeli Belle-dame-sans-merci, fino alle messe nere di Huysmans che in Là-bas lascia correre la sua misoginia intrisa di bavosa e frustrata sensualità, dimenticando che il père Baudelaire aveva già messo in scena il Sabba, ma con raffinata ironia lo aveva congedato per sempre nello scherzo sublime di Le Monstre: «La tua gamba muscolosa e secca sa arrampicarsi sui vulcani e, nonostante la neve e la miseria, sa danzare i più focosi can can… Sciocca, tu te ne vai dritta al Diavolo! Volentieri verrei con te, se questa sveltezza spaventosa non mi mandasse in bambola: vattene dunque, tutta sola, al Diavolo!... Sono diabolicamente afflitto di non reggerti la torcia, e di prendere congedo da te, fiaccola d´inferno! Giudica, mia cara, quanto sono afflitto: poiché da tanto tempo io ti amo! Sì, vecchio mostro, io ti amo…». Da qui in poi l´amore non sarà mai più quello carnale e allegro di Machiavelli, per illustrare i tête-à-tête tra Donne e Arcidiavoli non basterà il festevole e bertoldesco Luzzati che illustra Belfagor arcidiavolo, e ci vorrà la feroce lacerazione di Mattotti che racconta nello strazio Lo strano caso del dottor Jeckill e Mr. Hyde. Qualche secolo fa a Vienna è apparso un uomo con gli occhialetti e il pizzetto, ha sostenuto che i bambini sono perversi polimorfi, che le donne godono più degli uomini e che esiste una demoniaca potenza che si chiama Libido. Allora, strizzando l´occhietto, Belfagor arcidiavolo si è sdraiato sul lettino del dottor Freud e si è scisso in due; Belfagor è diventato psicanalista, e l´Arcidiavolo abita l´Inconscio, né maschio né femmina: è cominciata la Modernità. Giuseppe Montesano ha recentemente pubblicato Il ribelle in guanti rosa: Charles Baudelaire (Mondadori) e ha curato Una settimana di bontà di Max Ernst (Adelphi)