Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  dicembre 02 Domenica calendario

Il 9 ottobre 1897, all´epoca della prima corsa all´oro, Jack London sbarcò nel Klondike. Visse, quell´inverno, in una capanna abbandonata, in mezzo ai lupi

Il 9 ottobre 1897, all´epoca della prima corsa all´oro, Jack London sbarcò nel Klondike. Visse, quell´inverno, in una capanna abbandonata, in mezzo ai lupi. Trasportava bagagli nella neve e in salita, miglia e miglia con centocinquanta libbre addosso. Si sentiva più forte degli indiani, e pieno di salute. quando scriveva, che la schiena gli faceva male. A battere a macchina gli venivano subito dei dolori alle braccia, e ascessi alle dita. La colonna vertebrale, che «così lealmente» lo aveva servito nel vento e nelle tempeste, veniva umiliata da quella macchina, che lo costringeva a stare piegato in due, e gli infliggeva «dolori fortissimi», come se avesse i reumatismi. Carmina non dant panem; molti scrittori, per mantenersi, hanno dovuto lavorare. A inizio Novecento - prima che lo Stato mecenate cominciasse a offrire agli intellettuali svariate sponde - i mestieri potevano essere stravaganti, e a volte estremi; ma quasi tutti, poeti e narratori, lamentano che sia la scrittura l´impegno più massacrante. Charles Bukowski, che in una serata di ubriachezza era capace di mettere a ferro e fuoco una casa, e che al sogno americano stava contrapponendo la scrittura dell´eccesso - di alcol, sesso, e sregolatezze di varia natura - lavorò in realtà piuttosto disciplinatamente, per quattordici anni, come impiegato alle poste. Quando gli diedero uno stipendio solo per scrivere, per una settimana rimase paralizzato dal terrore; poi si mise al lavoro. Ma le conferenze continuarono a spaventarlo a morte; durante il giorno beveva e vomitava; poi, al momento di parlare, riprendeva a bere, e man mano gli cresceva l´irritazione verso il pubblico, che a volte rispondeva a colpi (ricambiati) di bottiglie. Era più facile lavorare in fabbrica, sosteneva, bianco di paura: perché in fabbrica «non c´è pressione». Maksim Gorkij era ancora un bambino quando faceva lo scaricatore sul Volga, portando, «per invidia dei grandi», casse da cento libbre: e poi lo sguattero, il fuochista, il pescatore, il fornaio, quattordici ore di fila di notte o di giorno, in cantine surriscaldate o torride saline. Ma poi un suo racconto ebbe successo, e cominciò a dover produrre, per vari quotidiani, due articoli al giorno: allora confessò che quel «lavoro da galera» lo sfiancava, «era superiore alle sue forze». Dashiell Hammett, l´inventore dell´hard boiled, cercò tutta la vita di fare l´investigatore, anche quando la tbc lo aveva reso un dandy allampanato di cinquantasette chili: era alto quasi due metri, e nei pedinamenti gli era difficile passare inosservato. Molti scrittori deplorano la natura vampiresca della scrittura. Italo Svevo, per diventare «un buon industriale», fu costretto a abbandonare i romanzi, perché gli bastava pensare una frase, ed era perso, per la vita attiva, per un´intera settimana; scrisse sul biglietto da visita «commerciante» e diventò un grande imprenditore nel settore delle vernici navali. E infatti, tra i lavori forzati cui si dedicano gli scrittori di primo Novecento, vengono spesso prediletti i mestieri più distanti e meccanici. Bohumil Hrabal lo teorizzava; sceglieva lavori che non gli si confacevano - fare l´agente delle assicurazioni, per esempio, lui che era timidissimo): così poteva superarsi, e costringersi a filtrare la realtà «con l´occhio di diamante della fantasia». Del resto ci pensò il 1948 a far cambiare mestiere a milioni di cechi, trasformando professori e artisti in operai non qualificati; Hrabal lavorò nelle acciaierie, e quasi ci perse la vita. Georges Perec era già famoso, e non lasciava il suo posto subalterno in un laboratorio medico. Gli proposero un avanzamento se si riciclava in informatica. Perec non ne aveva la minima intenzione; pensava che è pericoloso dipendere dalla scrittura per vivere - pericoloso per la scrittura. Quaranta ore a settimana in laboratorio, e dopo era libero di creare quello che gli pareva. Kafka invece aveva dei rimorsi, a lavorare come assicuratore. Pensava al poeta Paul Adler, che non faceva nulla; si spostava da un amico all´altro, con moglie e figli; aveva solo la sua vocazione: non come lui, che naufragava in un´esistenza da burocrate. A volte però Kafka era più indulgente col lavoro, e diceva che affranca l´uomo dal sogno che lo abbaglia, lasciandolo consegnato alla consueta, fidata nostalgia. I lavori quieti non sempre si addicono agli scrittori. Il tenebroso Céline riuscì a fare della professione medica una prestigiosa impresa internazionale: con la Società delle Nazioni rappresentò, viaggiando per mezzo mondo, la Medicina Occidentale (lui diceva Borghese); prima di diventare, in lugubri quartieri di Parigi, il più gentile, allegro e disponibile dei dottori. Nel 1917 della Rivoluzione russa Michail Bulgakov trasformò il mestiere di medico in una tragedia. Per alleviare un´allergia, trasmessagli da un bambino difterico, prese la morfina, e l´abitudine alla droga; minacciava con la pistola la moglie, che si rifiutava di procurargli oppio e calmanti, e le tirò alla testa un fornello a petrolio. Raccontò tutto in Morfina; fu il lavoro di scrittore a affrancarlo. Alcuni scrittori hanno finto esperienze di vita vissuta per accreditare i loro romanzi. «Ti ga visto solo Verona», ribattevano alle bugie di Emilio Salgari («Torno da Calcutta, salpo per l´Africa»). Fortificato da tante letture di naufragi, il mozzo Salgari attraversò l´Adriatico su una barca peschereccia, di quelle che a Venezia chiamano topi. Tornò a casa raccontando di Sumatra, del Borneo e di Ceylon. Lo prese sul serio il direttore de La Valigia, perché stava a Milano; e gli pubblicò la prima novella. Ritenendo forse a ragione che far letteratura allontani dagli uomini, molti scrittori usano i mestieri per accostare la gente comune. Nel 1928 George Orwell si dimise dalla Polizia Birmana; aveva il sentimento che, se voleva diventare scrittore, doveva sottrarsi a tutti i suoi privilegi, coloniali e di classe, e conoscere la vita degli emarginati. Vendette i cappotti al Monte di Pietà, e visse al gelo tra i barboni, che non lo estromisero - come lui temeva - per il suo accento di Eton. Imparò che dopo quattordici ore passate a pulire piatti o a fare il facchino alle Halles, non si ha più la voglia di lavarsi, né tempo per pensare; insomma fece tutta l´esperienza che diventò nel 1933 Senza un soldo a Parigi e a Londra, e via via tutti i capolavori. Anche Lawrence d´Arabia, abituato a dormire in una buca scavata nel deserto, e a cambiarsi d´abito ogni quattro mesi, faticò orribilmente a scrivere I sette pilastri della saggezza. Lavorava senza orari e mangiava nelle stazioni, perché sono aperte tutta la notte. Dormiva all´Embankment coi barboni, e finì per implorare di entrare nella Raf come aviere semplice e sotto falso nome (per sfuggire ai giornalisti) perché voleva stare in mezzo a una massa di suoi «simili». André Malraux, quando era ministro, riusciva a lavorare ai suoi libri solo di notte, e pensava che per creare, come per fare politica, bisognava conoscere gli uomini; infatti rimproverava a De Gaulle di non aver mai «mangiato con un idraulico». Ottiero Ottieri lasciò la famiglia, gli agi e gli studi letterari per diventare un intellettuale di sinistra; così finì addetto alle assunzioni - quattrocento per quarantamila domande - nel nuovo stabilimento Olivetti a Pozzuoli. Ne fece un capolavoro, Donnarumma all´assalto, emozionante e divertentissima epopea della civiltà della fabbrica nell´arcaico sud degli anni Cinquanta. Diverso è il caso di Colette. Già famosa come scrittrice, utilizzò la sua fama per creare una piccola impresa, con cui far soldi. Aprì nel 1932, in piena Depressione, e vicina ai sessant´anni, un Istituto di bellezza, finanziato dalla principessa di Polignac e dal pascià Al-Glawi, e col sostegno del ministro Maginot (quello della linea difensiva). Colette creò ciprie e pomate, e truccò personalmente le clienti, nei grandi magazzini e nelle filiali, che si aprivano in tutta la Francia. Del resto, già nel 1909 aveva sfruttato il successo dei romanzi della serie di Claudine lanciando, con quel marchio, le calzette da bambina maliziosa, il colletto alla collegiale, e profumi, grembiulini e gelati. La moda si era così diffusa, che perfino le case d´appuntamento offrivano finte scolarette. L´istituto di bellezza invece non andò. Però il fidanzato di Colette, Godeket, che nel frattempo si era messo a vendere uno sturalavandini di sua invenzione, pensava che l´impresa non era stata del tutto inutile; per la scrittrice il contatto col pubblico («quel soggiorno tra gli esseri viventi») le aveva ispirato nuovi temi e un nuovo registro, più aspro e disadorno. Per alcuni, il mestiere d´elezione non è la scrittura. Boris Vian amava sicuramente di più il jazz e la sua tromba, che gli spaccò il cuore difettoso. Antoine de Saint-Exupéry pensava che il suo vero mestiere era pilotare aerei; non c´era libro, diceva, più istruttivo della terra, vista dal cielo. Antoine era già una leggenda, quando nel ”31 andò a ritirare un premio letterario in tuta e espadrillas; volava da venti ore, e da tre giorni non si faceva la barba: del resto, il viso era nero di fuliggine. Per pagare i suoi debiti, tentò di battere un record di volo per cui era previsto un premio di cinquantamila franchi; cadde nel deserto - il deserto in cui comparirà il Piccolo Principe a irritare l´Aviatore in panne con le sue piccole domande metafisiche. Raffaele Viviani fu acrobata. Chaplin non era ancora Chaplin, e Blaise Cendrars aveva ancora due mani quando si esibirono sulle scene di un cabaret di Londra. Era il 1910; la notte, Cendrars vedeva il piccolo clown - preso tutte le sere a calci nel didietro - intento a leggere Schopenhauer. Cendrars fece poi mille mestieri, e rivoluzionarie poesie; ma fu la Grande guerra, da cui uscì con gli occhi cavi e un troncone al posto del braccio destro, a renderlo attore - per Abel Gance, che cercava comparse per un film contro la guerra. La fama gli venne però da un romanzo, L´or, nato in Brasile, dove Cendrars aveva tentato invano di creare un´impresina di import-export. L´austera Nathalie Sarraute era avvocato. Esercitò mentre partoriva tre figlie e Tropismes; ma durante l´occupazione nazista le leggi antisemite la radiarono dall´albo; divorziò allora dal marito per consentirgli di proseguire la professione, e finse di essere la governante delle figlie, che la chiamavano mademoiselle. Ma nelle arringhe giovanili «la libertà sconosciuta» del parlato la aveva affrancata per sempre dalla lingua letteraria; e da allora la eluse - insieme ai terribili protocolli dei sentimenti - in un linguaggio precoce e non ancora formulato. Anche la prima editor di Bruce Chatwin trovava che, dopo aver lavorato per la casa d´aste Sotheby´s, Bruce scriveva come se ancora compilasse schede: ricercava le origini e la provenienza di un rito o di una storia, e segnalava tutti i particolari esteriori con l´esattezza «di un cecchino». Perlopiù gli scrittori del Novecento costretti a lavori alimentari invidiano i colleghi che si consacrano alla letteratura. Ma intanto, quando l´occasione si offriva, non sempre veniva colta; quando nel ”55 l´editore Garzanti offrì a Gadda un anticipo perché lasciasse «la gentile Rai» per finire il Pasticciaccio, l´Ingegnere accettò, ma non ne fece nulla: «sono stufo di questa boiata!», diceva del romanzo - come scrisse Cesare Garboli, a sessant´anni, e dopo un coitus interruptus, chi ha voglia di ricominciare? Comunque le ore perse con i secondi mestieri lavorano sotterraneamente, e alla fine quasi sempre riaffiorano nei capolavori. Anche i surrealisti, a cui lavorare era vietato - perché il capo, André Breton, voleva cambiare il mondo - conobbero un´eccezione, che finì in poesia. Aragon, nel 1930, era così innamorato di Elsa Triolet, e era in tali ristrettezze, che foderò di velluto nero una valigetta, e andò in giro proponendo ai grandi sarti i gioielli finti creati da lei: «Facevi gioielli da giorno e da sera / tutto volgeva in collana nelle tue mani d´Opéra».