Marco Belpoliti, La Stampa 2/12/2007, 2 dicembre 2007
La signora col maglioncino marrone, molto milanese, innalza un cartello su cui è scritto: «Chi ingrassa l’ingrosso?»
La signora col maglioncino marrone, molto milanese, innalza un cartello su cui è scritto: «Chi ingrassa l’ingrosso?». Si trova nel corteo che ieri ha solcato via Paolo Sarpi, a Milano, in un pomeriggio di sabato, orario da shopping. Sono cinquecento, forse meno: uomini, donne, bambini con il monopattino, carrozzine con neonati. Domina il colore arancione del comitato Vivisarpi che ha indetto la manifestazione contro il degrado della via, un tempo una delle arterie più rinomate del commercio al minuto. Ora è dominata da negozi cinesi. Vi si vende all’ingrosso. Per far rifornimento di capi d’abbigliamento vengono da tutto il Nord Italia, e da Svizzera, Slovenia, Croazia. La maggioranza sono vecchi furgoncini che eruttano nuvole di gas nero: scaricano e caricano 24 ore su 24, sette giorni su sette. I grossisti cinesi non chiudono mai. Anche alla domenica li vedi dentro i loro negozi. Vendono ai commercianti dei mercatini: italiani, romeni, senegalesi, nordafricani. La maggioranza degli abitanti sono italiani, molti anziani, tanti bambini; giovani coppie hanno comprato lì, nel triangolo d’oro meneghino-cinese, perché, pur essendo pieno centro, i prezzi sono scesi per via del traffico, dell’inquinamento, dell’assenza di regole che vi regnano. Non sono leghisti quelli che sfilano dietro ordinati striscioni e avvolti in bandiere arancio, su cui è scritto: «Sindaco Moratti rispetta i patti». Sono persone comuni, di destra e di sinistra, lettori del Giornale ma anche dell’Espresso. Il problema della vivibilità non conosce colorazione politica. Quello di via Sarpi è l’ennesimo problema che preoccupa o dovrebbe preoccupare Letizia Moratti, anche se in queste ore sembra aver ben altri pensieri per la testa dopo l’indagine sulle assunzioni d’oro (il suo slogan elettorale era: «Mettiamoci in Comune»). Eppure Milano è una città con mille problemi. Per alcuni aspetti sembra sempre più simile a Napoli: la Palma sale al Nord, aveva predetto Sciascia. Ma la scatola del quartiere che ha creduto alle promesse del sindaco - disciplinare il traffico, spostare l’ingrosso dei cinesi in periferia o nell’hinterland - sta dentro una scatola più grande che reca impressi gli ideogrammi del Celeste impero. Nessuno sa bene quanto fatturano questi esercizi commerciali, ma stando ai cartoni che la notte s’accumulano sui marciapiedi per essere divorati dai camion dell’Amsa, saranno almeno 100 milioni di euro, forse il doppio. Tutti ricordano l’inizio di Gomorra, con il giovane Saviano che va ad abitare nel porto di Napoli: «A Napoli si scarica quasi esclusivamente merce proveniente dalla Cina, 1.600.000 tonnellate. Quella registrata. Almeno un milione passa senza lasciar traccia». L’inerzia del sindaco Alberini, la sua deregulation commerciale, la città trasformata in divertimentificio, in terra di conquista per speculatori e finanzieri, ha prodotto il suo bubbone in centro: Gomorra Sarpi. Qualcuno dice che dietro questa esplosione commerciale - una concorrenza che non ha eguali, con percentuali di sconto sui capi venduti che fanno pensare a un illecito molto ampio - c’è la mafia cinese, la Triade. Xian, il cinese di Napoli interrogato da Saviano, gli mette sulla tovaglia euro, dollaro e yüan: «Ecco la mia triade». Questo è anche il motore che muove via Sarpi e l’indotto intorno: l’altra faccia della città finanziaria, quella delle speculazioni e delle scalate, città dell’intermediazione che non ha più una sola fabbrica nel suo territorio, e che ora procede verso la costruzione delle aree dimesse, moltiplicando le occasioni per fare soldi a una classe di costruttori e finanzieri che appare come la parte legale del nuovo commercio mondiale. Xian spiega a Saviano: «L’economia ha un sopra e un sotto. Noi siamo entrati sotto, e usciamo sopra». La signora per bene che inalbera il cartello sull’ingrasso dell’ingrosso forse non lo sa, ma ha messo il dito nella piaga. In via Sarpi non è una questione di razzismo o di ordine pubblico, ma vi si gioca una partita complicata che la classe dirigente milanese e il sindaco in testa non solo sottovalutano, ma forse non conoscono neppure. O fanno finta di non conoscere.