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 2007  dicembre 02 Domenica calendario

Bagdad l a stazione di sicurezza congiunta Thrasher, nel quartiere di Ghazaliya, periferia ovest di Bagdad, è ospitata in una villa dell´epoca di Saddam, con colonne alte sette metri e una fontana, ora asciutta, che sembra una torta a strati di cemento e calcare

Bagdad l a stazione di sicurezza congiunta Thrasher, nel quartiere di Ghazaliya, periferia ovest di Bagdad, è ospitata in una villa dell´epoca di Saddam, con colonne alte sette metri e una fontana, ora asciutta, che sembra una torta a strati di cemento e calcare. La villa e due case adiacenti sono state circondate con barriere antiesplosivo. La stazione Thrasher è stata allestita lo scorso marzo, nell´ambito della surge, la strategia di rafforzamento del contingente americano con l´arrivo di nuove truppe architettata dal comandante generale delle forze armate americane in Iraq, il generale David Petraeus. Il trasferimento delle unità dalle grandi basi alle stazioni di sicurezza congiunte - piccoli avamposti nelle zone più pericolose di Bagdad - è un elemento fondamentale della strategia antiguerriglia di Petraeus, e la Thrasher adesso ospita un centinaio di soldati americani e qualche centinaio di soldati iracheni. Questo autunno, sul tetto della villa, tra sacchetti di sabbia, apparati per le comunicazioni e attrezzature ginniche, il tutto protetto da un tendone anticecchino, il capitano Jon Brooks, comandante della Thrasher, ci indicava i luoghi di interesse della zona. «Questo posto è stato scelto perché era la principale discarica di cadaveri qui a Ghazaliya», dice indicando uno spazio erboso lì vicino. «Lasciavano qua fino a undici cadaveri la settimana, quasi tutti brutalmente mutilati». La Moschea «Madre di tutte le battaglie», con la sua inconfondibile falange di minareti a forma di missili Scud, sorge qui vicino. Saddam Hussein si nascose a Ghazaliya durante i bombardamenti americani nella prima Guerra del Golfo, e costruì la moschea per dimostrare al quartiere la sua gratitudine («A Ghazaliya vivevano - e vivono ancora - moltissimi militari in pensione dei tempi di Saddam», dice Brooks). Nell´aprile del 2004, i guerriglieri feriti che avevano partecipato alla battaglia per Falluja trovarono rifugio in questa moschea. Ghazaliya confina con la propaggine orientale della provincia di Anbar, il cuore della guerriglia sunnita, ed è diventata una porta d´accesso strategica alla capitale per combattenti e jihadisti stranieri. Durante una precedente visita, nel dicembre del 2003, avevo incontrato dei guerriglieri in un loro rifugio segreto situato nel quartiere. Mi avevano detto che erano determinati a uccidere gli americani. Da allora, con poche eccezioni, Ghazaliya è stata una zona inaccessibile per gli occidentali, giornalisti compresi, che correvano il rischio di essere rapiti e uccisi. Le pattuglie dell´esercito americano erano regolarmente oggetto di agguati. Il capitano Brooks ha ventotto anni, è di media statura e di corporatura massiccia, con capelli castani tagliati corti. Dal tetto, indica il punto in cui è stato ucciso da un cecchino, lo scorso febbraio, il sergente Robert Thrasher, a cui è intitolata la stazione. All´epoca, la compagnia operava intorno a Camp Victory, la base americana che abbraccia un vasto settore di Bagdad, aeroporto compreso. Thrasher aveva ventitrè anni: era entrato nell´esercito direttamente dopo il liceo. nonostante l´influenza della guerriglia, Ghazaliya inizialmente è rimasta quello che è stata per decenni, un quartiere borghese della capitale, dove le tensioni settarie erano tenute più o meno a freno. La stragrande maggioranza degli abitanti, stimati in centomila, erano sunniti, ma, dice Brooks, «c´erano moltissimi professionisti sunniti con livello di istruzione universitario, e anche sciiti, e moschee di entrambe le confessioni». Il quartiere è cambiato dopo il febbraio del 2006, quando i militanti sunniti fecero saltare in aria il santuario di Askariya, del Nono secolo, a Samarra, uno dei luoghi più sacri per gli sciiti, e la violenza settaria dilagò per tutto l´Iraq. Le milizie sciite, primo fra tutte l´Esercito del Mahdi, investirono Ghazaliya partendo da Shulla, un gigantesco quartiere povero abitato da sciiti, subito a nord di Ghazaliya. I sunniti risposero chiamando in soccorso i gruppi più intransigenti della guerriglia e i jihadisti stranieri agli ordini di Al Qaeda in Mesopotamia (che le forze armate americane chiamano Al Qaeda in Iraq). «Estremisti sunniti nella zona ce n´erano anche prima di Samarra. Dopo Samarra, però, Al Qaeda in Iraq ci è andata giù pesante», dice il capitano Brooks. «Avevano squadroni della morte. Selezionavano sistematicamente le persone basandosi sulla zona in cui abitavano o sulla gente che frequentavano. Le torturavano brutalmente, le uccidevano e scaricavano in strada i cadaveri». Le famiglie sciite, e molti sunniti (quelli che ne avevano i mezzi finanziari) hanno lasciato il quartiere. All´inizio di quest´anno, la parte meridionale di Ghazaliya era sotto il controllo di fatto di Al Qaeda in Mesopotamia, mentre la parte nord era sotto assedio dei miliziani sciiti. «Bastavano venti dollari e una carta telefonica per piazzare una bomba», dice il capitano Brooks riferendosi agli ordigni improvvisati che hanno provocato la maggioranza dei morti fra i soldati americani. «La gente si è resa conto di aver lasciato entrare qualcosa che non riusciva più a controllare». Il presidente Bush, dopo essersi assicurato le dimissioni del segretario della Difesa Donald Rumsfeld, a novembre dell´anno scorso, ha offerto al suo nuovo team di guerra - il segretario della Difesa Robert Gates e il generale Petraeus - un´opportunità per cambiare la strategia in Iraq, e a febbraio ha preso il via la surge. Il piano necessitava di trentamila soldati in più, ma alcuni calcoli stimano il numero effettivo in cinquantamila. Trenta stazioni di sicurezza congiunte sono state aperte a Bagdad, di cui tre a Ghazaliya; la prima, la stazione Casino, nella parte nord del quartiere, poi è arrivata la Thrasher, nella zona sudoccidentale e infine, a maggio, la Maverick, a sudest. Brooks indica una grande casa con le finestre rotte, di fronte alla base. I suoi uomini la chiamano la «casa della cannonata», perché quando sono arrivati qui per la prima volta alcuni cecchini gli hanno sparato addosso dall´interno, e loro hanno risposto bombardando la casa con i cannoni dei carri armati. «Non ci hanno più sparato», dice. Gli uomini di Brooks hanno cominciato a pattugliare sistematicamente le strade di giorno e a effettuare incursioni aggressive durante la notte, operazioni ad alta intensità di manodopera; William Bushnell, un sergente della compagnia di Brooks, è stato ucciso durante uno di questi pattugliamenti, ad aprile. Prima, gli uomini di Brooks dopo aver girato per le strade di Ghazaliya tornavano al fortilizio di Camp Victory. Con la surge, gli americani sono diventati una presenza permanente nel quartiere. Da quando si sono insediati a Ghazaliya, i soldati statunitensi hanno eretto più di trenta chilometri di muri di cemento, per separare residenti sciiti e residenti sunniti e per istituire dei perimetri controllati. Secondo Brooks, il successo della sua unità è stato reso possibile dai colleghi della stazione Casino, che hanno tenuto i miliziani sciiti di Shulla fuori dal quartiere. A metà estate, la violenza a Ghazaliya si era ridotta notevolmente. Questo autunno, quando salivo sul tetto della stazione Thrasher di sera, vedevo ogni tanto qualche esplosione in lontananza, palle di fuoco salivano divampando nel cielo. Una sera, una grossa esplosione ha scosso l´edificio, seguita da colpi di arma automatica che illuminavano momentaneamente le strade. Ma gran parte di queste esplosioni erano lontano da Ghazaliya, tanto che neanche le si sentiva. diminuito drasticamente anche il numero di cadaveri ritrovati nel quartiere, scendendo «praticamente a zero, ai livelli di prima di Samarra», dice Brooks. La sua compagnia non ha avuto più nessun caduto. Quando ha parlato di fronte al Congresso, a settembre, Petraeus ha citato Ghazaliya come un esempio dei progressi che le forze armate americane stanno realizzando in Iraq. La nuova strategia punta anche a preparare il terreno per sostituire degli americani con le forze di sicurezza irachene, e tutte le stazioni di sicurezza congiunte, come suggerisce il nome, comprendono sia americani che iracheni. Ma gli iracheni non appartengono tutti alle forze ufficiali, quelle controllate dal governo. Con l´assistenza degli americani, diverse centinaia di volontari sunniti armati, chiamati i Guardiani di Ghazaliya, hanno cominciato ad assumere gradualmente compiti di polizia. Queste milizie sunnite, con l´approvazione degli americani, hanno cominciato a spuntare un po´ dappertutto. Molte di esse, con grande sconcerto degli sciiti, includono tra le loro fila anche ex guerriglieri. Un esponente di uno dei principali partiti politici sciiti mi ha detto: «Alcuni di questi gruppi armati fino a ieri erano forze ostili che attraccavano il governo iracheno, le forze della coalizione e chiunque avesse a che fare con il governo. Erano considerati terroristi. Che cosa è successo?».  una domanda che ho sentito spesso in Iraq. Il colonnello J.B. Burton è un bonaccione dal fisico taurino che comanda la brigata Dagger (Pugnale) del 1° fanteria, con giurisdizione sulla maggior parte dell´area nordoccidentale della capitale: nel territorio sotto il suo controllo sono comprese quattordici stazioni di sicurezza congiunte, incluse le tre di Ghazaliya. «Abbiamo cominciato facendoci questa domanda: che cos´è che sta facilitando la penetrazione di Al Qaeda in un´area popolata da arabi laici e moderati?», ci ha detto il colonnello Burton. La risposta, ha aggiunto, è la paura delle milizie sciite. «Secondo me, questo è un periodo che offre opportunità importanti per coinvolgere quelli che vogliono contribuire a trovare una soluzione. Lo si fa parlando con la gente. Che diamine, non è mica diverso da Tullahoma, nel Tennessee, da dove vengo io. Ci si siede nella veranda sul retro, si beve tè, si ascolta il canto dei grilli e si parla». Il colonnello Burton prosegue: «Se parliamo anche con gente che ha premuto il grilletto contro i nostri soldati? Cavolo, sì! Perché stiamo combattendo contro un nemico comune: Al Qaeda». […] Ghazaliya non è l´unica zona dell´Iraq in cui lo scenario è cambiato. Nella mia precedente visita, dieci mesi fa, la violenza sembrava incontrollabile, con rapimenti di massa e uccisioni in pieno giorno. Quasi tutti gli iracheni di mia conoscenza commentavano con amarezza il fatto che gli americani e i leader politici iracheni se ne stessero nascosti al sicuro nella Zona Verde, mentre tutto intorno a loro i massacri infuriavano. Secondo il Pentagono, a febbraio la guerra aveva provocato la morte di quasi duemila civili iracheni; a ottobre, il numero è sceso a meno di mille. Come per tutte le statistiche sulle vittime della guerra irachena, si tratta di cifre contestate, ma nessuno nega che la violenza sia considerevolmente diminuita. Anche il conto dei caduti fra le truppe americane è calato in maniera sensibile, dai centoventisei di maggio, quando la surge si stava intensificando, ai trentotto del mese scorso. Almeno per il momento, sembra che la strategia stia funzionando. Da un certo punto di vista, si può dire che la surge sia stata un tardivo processo di selezione delle emergenze. Gli americani hanno affrontato il nodo di alcuni dei quartieri più pericolosi di Bagdad, come Ghazaliya e Amiriya, ma gran parte della provincia di Diyala, che si estende dal nordest della capitale fino al confine con l´Iran, e Kirkuk, che è diventata uno dei punti caldi a causa delle rivendicazioni curde sulla città e le sue risorse petrolifere, rimangono dei terrificanti campi di battaglia. Il 29 ottobre, lo stesso giorno in cui a Baquba, nella provincia di Diyala, sono stati trovati i corpi decapitati di venti uomini, un attentatore suicida a bordo di una bicicletta ha ucciso ventinove poliziotti in città. E non c´è ancora alcuna presenza significativa delle forze armate Usa nei quartieri poveri sciiti della capitale, come Sadr City e Sulla, sotto il controllo dei miliziani sciiti, molti dei quali si dichiarano membri dell´Esercito del Mahdi, il gruppo armato guidato da Moqtada al-Sadr, sempre pronto a giocare politicamente sul filo del rasoio e a fare un uso tattico della violenza, mandando all´aria regolarmente i piani di guerra del Pentagono. In effetti, gli analisti attribuiscono gran parte della recente diminuzione dei morti tra i civili iracheni non tanto alla strategia militare americana quanto alla decisione di Sadr, in agosto, di ordinare all´Esercito del Mahdi, considerato responsabile di gran parte degli omicidi settari tra sunniti e sciiti a Bagdad e dintorni, di «congelare» le sue attività per sei mesi. Lo scopo apparente di Sadr era quello di scongiurare un´escalation, dopo una battaglia durata due giorni tra l´Esercito del Mahdi e un´altra milizia sciita, e ristabilire la sua autorità sui suoi uomini. La surge ha coinciso con il cosiddetto Risveglio Sunnita, la decisione, da parte di alcuni leader tribali della provincia di Anbar, di allearsi con gli americani e combattere Al Qaeda in Mesopotamia, un elemento nuovo che non era previsto nel piano di Petraeus. Successivamente, anche sunniti di altre zone hanno fatto la stessa scelta, anche se molti altri sono rimasti sulle loro posizioni; Al Qaeda in Mesopotamia è ancora attiva e nel Paese rimangono gruppi di jihadisti stranieri. Il 13 settembre, Abu Risha, il leader tribale sunnita considerato il catalizzatore dell´alleanza, e che il presidente Bush aveva incontrato ad Anbar dieci giorni prima, è stato assassinato. Abu Risha era una figura influente e carismatica, e anche se suo fratello si è fatto avanti per prendere il suo posto quasi tutti gli iracheni con cui ho parlato giudicano la sua morte una grave perdita, e si chiedono quanto potrà sopravvivere il fratello. La speranza di riuscire alla fine a neutralizzare Al Qaeda, rimuovendo così almeno uno degli aspetti drammatici di questa guerra dalle molte sfaccettature, comunque c´è. La combinazione di surge, Risveglio Sunnita e congelamento delle milizie di Sadr ha contribuito a stabilizzare aree turbolente della capitale e della provincia di Anbar; non è chiaro se questi progressi potranno essere estesi - o anche soltanto mantenuti - con un minor numero di truppe, ma ulteriori afflussi di soldati non saranno sufficienti a vincere la guerra. Non che siano previsti, anzi: il presidente Bush ha promesso di ritirare, entro il prossimo luglio, un numero di soldati quasi equivalente a quello inviato in Iraq a gennaio. Il futuro dell´Iraq, per il momento, fluttua in un limbo. Il meglio che si possa dire, forse, è che gli Stati Uniti si sono comprati o presi in prestito un po´ di spazio per lavorare. Ma ci sono dei costi, alcuni più evidenti di altri. […] La nuova strategia, come la maggior parte di quelle precedentemente adottate in Iraq, ha l´inconveniente di essere stata imposta dagli americani. Molti dei politici sciiti del governo iracheno non hanno preso bene la decisione americana di recintare i quartieri di Bagdad e di reclutare e armare organizzazioni di volontari sunniti senza consultarli. I timori sono che gli Stati Uniti non stiano facendo altro che armare una nuova serie di milizie, minando l´autorità del fragile governo di coalizione. E forse lo scopo è effettivamente anche questo. L´Iraq, con centosettantamila soldati americani sul suo territorio, non è un Paese sovrano e gli Stati Uniti usano la loro potenza militare per plasmare la scena politica irachena. Rafforzando i sunniti, Washington costringe il governo di al-Maliki a introdurre un maggior numero di sunniti nelle forze di sicurezza, un passo verso la riconciliazione nazionale. […] Alla stazione Thrasher, Brooks e i suoi uomini effettuano, di solito dopo il tramonto, diversi raid a settimana, generalmente sulla base di soffiate da parte di residenti che telefonano a una linea verde attiva ventiquattro ore su ventiquattro (rispondono interpreti iracheni, soprannominati terps, da interpreter); durante i pattugliamenti diurni, gli uomini di Brooks distribuiscono volantini dov´è indicato il numero a cui telefonare. «Diciamo: "Se qualcuno ti minaccia, fai una telefonata". I pattugliamenti a piedi sono fondamentali: quando vedi qualcuno che cammina per le strade di casa tua, quando vedi una faccia, è diverso», dice Brooks. «Essendo comandante di carro armato, l´ho trovato divertente: la prima cosa che ho dovuto fare è stata dire ai miei carristi di uscire e girare a piedi». […] Una notte, ho preso parte a uno di questi raid, battezzato da Brooks Operazione Basettoni perché l´obbiettivo principale era un uomo con una gran quantità di peli sul viso. Siamo partiti dalla stazione Thrasher a bordo di un veicolo corazzato da combattimento Bradley. […] Quando lo sportello posteriore ad azionamento idraulico del Bradley si è aperto, ho visto soldati iracheni e americani correre di qua e di là, urlando, con le armi in pugno. Ho seguito alcuni soldati in una casa. Nella cucina, un giovane americano armato di tutto punto era piegato sopra a un uomo steso faccia a terra. Il soldato imprecava mentre cercava di legargli le mani dietro la schiena con delle manette di plastica. Sul tavolo erano poggiati un paio di piatti per un pasto non terminato, oltre a un telefono cellulare che continuava a squillare. In una camera adiacente, un altro uomo steso con la faccia a terra veniva legato. Un adolescente, il fratello più piccolo dei due uomini, è entrato in cucina e ha cominciato a protestare; il soldato americano ha ammanettato anche lui. Spingendogli la faccia per terra, il soldato ha gridato, in inglese: «Chiudi la bocca, cazzo! Muovi questa cazzo di testa!». Una donna di mezza età con un grembiule a fiori esce fuori, singhiozzando, mentre i tre fratelli vengono portati via. Vengono fatti inginocchiare, con le mani ammanettate dietro la testa. Un terp mascherato confronta i loro visi con quello ritratto su una fotografia. I soldati americani perquisiscono l´adolescente, che ha appena una leggera peluria sul volto, e uno borbotta: «Questo di sicuro non è Basettoni». Il giovane soldato spinge energicamente i tre uomini giù in strada. ( l´unico soldato che ho visto comportarsi in questo modo; più tardi, quando ha cominciato a trattare male delle donne, in un´altra casa, un ufficiale gli ha detto di darsi una calmata.) Dopo un´ulteriore consultazione tra gli americani e i loro terp mascherati, si è arrivati alla conclusione che nessuno dei tre arrestati era tra gli obbiettivi del raid. Tolte le manette, hanno detto loro di tornarsene a casa. A questo punto, gli americani rivolgono la loro attenzione ad altri tre uomini, seduti su un marciapiede. Uno di loro è un adolescente grassoccio. Insieme a lui, c´è un ragazzo di poco più di vent´anni, magro e con la barba incolta, e un uomo sui trent´anni. I tre spiegano che se ne stavano seduti al fresco, a fumare e chiacchierare. Gli americani buttano giù dal letto i loro familiari, tra i quali ci sono diversi bambini piccoli. Il ragazzo - quattordici anni - lo lasciano al padre, ma gli altri due decidono di portarli con loro alla stazione. Mi arrampico a bordo del Bradley insieme al più anziano degli arrestati, seduto sulla panca di fronte a me. Gli hanno legato le mani, e sta tremando. Il mitragliere del Bradley si china in avanti, gli afferra la maglietta e gliela tira su, sopra la testa, come un cappuccio. L´uomo, disorientato, resta seduto dritto, immobile, tenendo la bocca aperta contro il tessuto che gli ricopre la faccia, come per aiutarsi a respirare. Per coincidenza, un iracheno che conoscevo bene aveva cominciato a lavorare per gli americani in un base che rientrava nella giurisdizione del colonnello Burton. Lo chiamerò Karim. sciita e vive in un quartiere misto di Bagdad, appena a est di Ghazaliya. Karim dice che lui e un amico, che chiamerò Amar (anche altri nomi sono stati modificati in questo articolo) hanno fatto più di quaranta segnalazioni agli americani, provocando la cattura di decine e decine di terroristi. Karim dice che inizialmente aveva accolto con favore la presenza dell´Esercito del Mahdi, perché offriva, almeno in parte, protezione contro le azioni degli estremisti sunniti. Ma la milizia si è trasformata in qualcosa di simile a un´organizzazione mafiosa, che estorce denaro e rapisce e uccide i suoi vicini, sia sciiti che sunniti. Gli uomini dell´Esercito del Mahdi nel suo quartiere, che considerano Karim e Amar persone amiche, non hanno idea che sono loro a consegnarli agli americani. Poi Karim mi racconta che non ingannano solo l´Esercito del Mahdi, ma anche gli americani. Amar è amico di Karim da una vita. Tre mesi prima, Amar e il suo fratello maggiore, Jafaar, stavano andando in giro a bordo del camioncino di un amico, Sayyid, quando un gruppo di uomini armati gli fece cenno. Amar li riconobbe come uomini dell´Esercito del Mahdi e pensò che stessero avvicinandosi per salutarli. Non appena Sayyid frenò, il camioncino fu crivellato di pallottole. Amar si rannicchiò il più possibile mentre gli uomini dell´Esercito del Mahdi scaricavano i loro kalashnikov sul veicolo. Ne uscì illeso, ma Jafaar e Sayyid erano morti. quella notte, Amar disse a Karim che aveva giurato, all´obitorio, sul cadavere di suo fratello, di vendicarsi. Aveva promesso di uccidere cento uomini del Mahdi, dieci per ognuna delle dita di Jafaar. Sua madre, Umm Jafaar, lo sosteneva nel suo progetto di vendetta e implorò Karima di aiutare suo figlio. Lui accettò. La loro prima precauzione fu assicurarsi che i miliziani del Mahdi non sospettassero di loro. Durante il corteo funebre di Jafaar, lanciarono furibonde accuse contro una tribù sunnita che viveva nelle vicinanze. Si sparse presto la voce che la famiglia e gli amici di Jafaar incolpavano i sunniti della sua morte. Karim e Amar decisero che sarebbe stato più facile compiere gli omicidi se si fossero conquistati la fiducia degli americani. Karim si recò in una vicina base militare americana e parlò con un capitano. «Dissi al capitano: "Lei dà una mano a me, io do una mano a lei. Io amo il mio Paese, i miei vicini. Il Mahdi ha ucciso molti miei amici, e anche soldati americani. Voglio collaborare». Karim diede al capitano i nomi di due degli uomini che avevano ucciso Jafaar. Il capitano disse che se questi due uomini fossero stati arrestati, Karim avrebbe ricevuto del denaro. Lui rifiutò: «Se lo prendo, divento una spia, e io sono un gentiluomo, non una spia». Karim mise in contatto il capitano con Amar, che indirizzò i soldati americani alle abitazioni dove si trovavano i due miliziani. L´operazione fu un successo. «Trovarono molti fucili e pistole», dice Karim. «Li presero, indagarono e si convinsero di quello che erano, assassini. Uno era giovane, quindici o sedici anni, e aveva ucciso cinque o sei persone. Stava appena cominciando. Ora sta a Bucca [un campo di prigionia gestito dagli americani nel Sud dell´Iraq]». «Poi abbiamo cominciato a uccidere», mi dice Karim. La loro prima vittima è stato il padre del miliziano più giovane. Quando gli chiedo se il padre avesse qualcosa a che fare con l´omicidio di Jafaar, Karim sembra spiazzato e dice di no, ma che era un agente dei servizi segreti sotto Saddam e che probabilmente aveva anche ucciso della gente (nelle vendette tribali irachene, i parenti maschi spesso sono considerati obbiettivi legittimi). Il padre ora lavorava come tassista. Karim disse alla sorella di Amar di fermarlo mentre usciva di casa e di chiedergli di farsi portare in un magazzino ai confini di un quartiere sunnita. «Amar e io li abbiamo seguiti», dice Karim. «Lei è uscita dalla macchina e ha attraversato la strada. Io ho detto ad Amar: "Fallo ora"». Amar, con la macchina, tagliò la strada al tassista. «Amar uscì dall´auto e gli sparò in faccia. Avevo messo nella pistola cinque pallottole dum dum e cinque normali. Una dum dum è sufficiente a uccidere un uomo. Gli dissi di spararne solo quattro e di conservarne qualcuna, per ogni evenienza, ma lui le ha sparate tutte». (Dopo, secondo il racconto di Karim, Amar si è scusato. «Ha detto: "Non sono riuscito a frenarmi. Sono diventato pazzo"»). Dopo l´uccisione, sono andati da uno shaykh sunnita che Karim conosceva, e che aveva un fratello nella guerriglia. Il fratello dello shaykh e i suoi uomini hanno rapito sei miliziani del Mahdi, compresi quattro che facevano parte del gruppo che aveva ucciso Jafaar. Li portarono in una casa di Mansur, un quartiere sunnita, dove li aspettavano Karim e Amar. «Erano legati e con la testa coperta. Amar li ha picchiati selvaggiamente, io no», dice Karim. «Fingevamo di essere dei mujahidin sunniti. Gli abbiamo detto: "Se ci direte la verità vi lasceremo andare, ma se non lo fate vi ammazziamo". Naturalmente, non era vero». Gli uomini dissero che il loro obbiettivo era Sayyid: Jafaar si trovava nella macchina solo per caso. «Dissero che avevano ucciso Sayyid perché era membro del Badr [l´ala militare del Supremo consiglio islamico dell´Iraq, uno dei principali rivali dell´Esercito del Mahdi] e lavorava con gli americani. Ma non è vero. Lo hanno ucciso perché era ricco e non rispettava l´esercito del Mahdi. Erano invidiosi». Karim mi dice che andò via prima della fine dell´interrogatorio, e che non parlò con Amar fino al giorno successivo. «Quando l´ho visto, lui mi ha baciato e mi ha detto: "Ho lasciato tre cadaveri vicino alla ferrovia e due a via del Canale, perché li portassero all´obitorio"». «Io gli dissi: "E il numero sei, che fine ha fatto?", e Amar mi rispose: "Lo ha preso il fratello dello shaykh, perché pensa che abbia ucciso suo cugino"». Le uccisioni continuarono. Dopo quindici giorni, andarono da Umm Jafaar, la madre di Amar. «Le dissi chi era morto e chi era in prigione. Lei era felicissima», dice Karim. «Poi disse: "Volete che mi senta completamente consolata?"». Umm Jafaar chiese loro di portarle delle parti del corpo degli uomini uccisi. Amar fece quanto lei gli aveva chiesto. «A un uomo ha tagliato l´orecchio mentre era ancora vivo», dice Karim. «Ma giuro che Amar non ha mai ucciso un innocente». Karim dice che Amar ha ucciso tra i diciotto e i venti uomini. «Dopo un po´, ho detto ad Amar che dovevamo fermarci. Anche mia moglie era arrabbiata con me. Neanche a me piaceva fare questa cosa, ma dovevamo farlo. Dovevamo ammazzare quella gente, perché stavano uccidendo troppe persone. Quando qualcuno di loro veniva ucciso, i miei vicini festeggiavano; a volte festeggiavano perfino quelli dell´Esercito del Mahdi». Karim mi fa il nome del capitano americano con cui lavora Amar. «Amar è un amico del capitano, ma lui non sa di tutta questa storia». Aggiunge: «Amar era amico di quelli del Mahdi, molto amico. Devo essere sincero con te. Se non fosse stato per l´uccisione di Jafaar, sarebbe ancora loro amico». Amar ha detto a Karim che non si fermerà fino a quando non avrà raggiunto il suo obbiettivo di cento vittime. «Ormai è assetato di sangue», dice Karim. «A volte penso che forse abbia davvero perso la testa». Nei giorni seguenti, ho verificato che Amar collaborava effettivamente con l´esercito americano; ho sentito dire anche che era stato assunto da una grossa società privata che lavora in appalto per le forze armate Usa. Il caso di Amar sottolinea uno dei tanti pericoli che comporta combattere una guerra in una terra dove la cultura e la lingua sono incomprensibili per la maggior parte dei soldati. L´esercito americano può fare poco senza l´assistenza di alleati locali a tutti i livelli, dai collaboratori come Amar ai leader politici. Paradossalmente, è proprio durante i raid che gli americani, pur armati di tutto punto, manifestano in modo più evidente la loro vulnerabilità. I nostri soldati sono sempre accompagnati dai loro spettrali terp. Spesso danno il via all´operazione basandosi su soffiate provenienti da fonti dubbie, senza sapere che cosa si nasconde dietro a quelle informazioni. Le motivazioni degli iracheni che lavorano per gli americani da me incontrati vanno dal pecuniario - un lavoro e un buono stipendio - al patriottico, o a una combinazione delle due. Ma nella maggior parte dei casi, l´unica scelta è fidarsi di loro. […] In seguito, ho detto al colonnello Burton che avevo sentito dire di iracheni che lavoravano per gli americani per portare avanti una loro vendetta. Lui mi ha risposto: «Mettiamola così. Io so che noi lavoriamo con persone che hanno fornito informazioni che hanno portato alla cattura di criminali e alla scoperta di depositi di armi. Ci hanno anche chiamato per dirci dove potevamo trovare i resti di persone che stavamo cercando. In Iraq, esiste una forma di giustizia tradizionale, ma noi facciamo del nostro meglio per superarla». Le vendette tribali sono state una caratteristica di fondo dell´Iraq fin dall´inizio della guerra. A rendere inusuale la storia di Amar sono le proporzioni - cento uomini per la vita di suo fratello - ma crimini del genere sono comuni. Una spinta iniziale alla guerriglia arrivò in parte dagli eventi della primavera del 2003, quando le truppe americane, a Falluja, aprirono il fuoco su una manifestazione uccidendo diciassette persone, e i parenti dei caduti cercarono vendetta uccidendo americani. Nelle famiglie tribali, spesso, è la matriarca che incoraggia la vendetta, come ha fatto la madre di Amar. Umm Jafaar è una donna anziana e di bell´aspetto. Quando arrivo a casa sua, insieme a Karim, indossa una abaya nera e noto che porta dei tatuaggi tribali azzurri sul mento e sulle mani. Mi invita a sedermi sul divano, mentre lei si siede vicino a me, su una poltrona. Le tre figlie piccole di Jafaar ci guardano. Quando le chiedo se vuole vendetta per la morte di suo figlio, lei si alza dalla poltrona, viene da me e mi bacia sulla testa. «Sì, voglio vendetta», mi dice. «Sono una madre, e ho perso mio figlio senza ragione». Comincia a piangere, squassata da violenti singhiozzi. Quando si riprende, mi indica le sue nipoti. «Le guardi, non hanno un padre», dice. «Perché?». Umm Jafaar prosegue dicendomi di aver portato le parti del corpo delle vittime di Amar, avvolte in un telo, fino alla tomba di Jafaar, nella città santa di Najaf, e di averle seppellite lì. «Gli dico, "Ecco, queste appartengono a chi ti ha ucciso, ti ho vendicato"». Muovendo la mano in senso orizzontale a disegnare un cerchio, mi dice: «Le ho messe tutto intorno alla tomba. Fino ad ora, ho portato una mano, un occhio, un pomo d´Adamo, alluci, dita, orecchie e nasi». (Karim mi ha detto che la mano aveva lasciato cattivo odore nella casa per giorni). Le chiedo quanti uomini del Mahdi avesse ucciso Amar. «Non lo so: diciotto, venti? Ma il cuore ancora mi fa male. Anche se li uccideremo tutti, non avrò sollievo», dice. «Gli americani li prendono e li mettono dentro», prosegue Umm Jafaar. «Questa non è una soluzione, devono essere uccisi!». Si rivolge a me: «Dica alle forze americane che io sono pronta a combattere con loro contro l´Esercito del Mahdi. Sono una donna ma sono pronta. Quando venite qui, sacrificheremo tutto per voi, perché voi non avete ucciso mio figlio. Io prego per gli americani - anche se sono cristiani ed ebrei - e prego il profeta Maometto, perché vi protegga». […] Il cellulare di Karim squilla. Risponde e comincia a parlare in arabo. Finita la telefonata, mi dice che era Amar e che era in giro insieme a una pattuglia degli americani. «Hanno catturato due del Mahdi, e i terp degli americani li stanno facendo ballare sotto la minaccia delle pistole», dice Karim, ridendo. Gli chiedo se posso incontrare Amar. Karim mi risponde che vedrà che cosa si può fare. […] Gli americani sperano che i Guardiani di Ghazaliya, il gruppo di volontari sunniti, possano svolgere la funzione di una nuova forza di polizia. Anche qui, però, ci sono complicazioni: il generale Petraeus ha citato il caso dei Guardiani come esempio di un´evoluzione positiva della situazione, ma gli sciiti la vedono in modo molto diverso. «La politica adottata dal governo iracheno, insieme alla coalizione, è quella di sciogliere le milizie armate», dice un esponente del Supremo consiglio islamico dell´Iraq, che riconosce che le forze di sicurezza irachene sono un «organismo debole e malato», infestato dalle milizie, e che devono essere riformate. «Ma la soluzione non è far entrare in scena altre forze, forze su cui la gente nutre dubbi». Gli americani, dice l´esponente sciita, stanno armando i volontari sunniti senza guardare adeguatamente a quello che hanno fatto prima. «Ci sono tantissime storie di gente coinvolta nel Risveglio Sunnita, persone che nella loro zona sono note per essere pericolosissimi criminali», dice, citando gruppi della guerriglia estremisti come le Brigate della Rivoluzione del 1920 e l´Esercito Islamico, i cui membri si sono uniti ai gruppi di volontari. «Ora vanno in giro armati, con divise e tesserini che consentono loro di andare in posti normalmente accessibili solo alle forze di sicurezza irachene». E aggiunge: «Bisogna introdurre dei meccanismi che garantiscano la fedeltà di questi individui all´Iraq e al suo governo, prima che si rafforzino e arrivino a ritagliarsi dei territori sotto il loro controllo». In un mattino terso di fine settembre, una dozzina di volontari dei Guardiani di Ghazaliya si radunano in un piccolo mercato per incontrare il capitano Brooks. Vestiti con camicie color crema, pantaloni cachi e cappelli da baseball beige, hanno l´aria di un gruppo di guardie del servizio di sicurezza di un campo da golf. L´unica insegna visibile sono dei piccoli distintivi sulla spalla, con la bandiera irachena. (Il colonnello Burton mi aveva detto: «Quelli di Ghazaliya adesso hanno un´aria marziale, piuttosto ben vestiti, con una certa professionalità; molti di loro sono ex soldati dell´esercito iracheno»). Il loro leader, un corpulento uomo di mezza età con in mano un taccuino, accoglie premurosamente il capitano Brooks. Questo è un giorno importante per i Guardiani. Dopo tre mesi sotto la supervisione dell´esercito iracheno, stanno per ricevere l´autorizzazione a gestire autonomamente i blocchi stradali, esattamente quel tipo di transizione che l´esponente sciita paventava. Il loro capo guida Brooks in diversi punti intorno all´incrocio, dove vorrebbe mettere i posti di blocco. Brooks subito dice: «Non potete combattere da qui, vi serve un posto dove potervi ritirare». Il Guardiano indica una fila di edifici e suggerisce che potrebbero essere il posto ideale per un ufficio dei Guardiani, dove i suoi uomini potrebbero riposare. Brooks dice: «Non voglio che vi rannicchiate tra quattro mura», e suggerisce invece di allestire un padiglione dentro al mercato, coperto da una tenda. Mentre il capitano se ne va in giro, un negoziante viene da lui e gli indica i liquami per la strada. Brooks dice che manderà un «camion aspiratore» per toglierli. Un altro si lamenta dell´elettricità, e un terzo dice che il quartiere ha bisogno di un´autobotte, «per far depositare la polvere». Brooks alza gli occhi al cielo. «Posso risolvere tantissime cose», dice. «Ma sulla polvere non posso fare molto». Il capitano va oltre e viene avvicinato da una donna che dice che suo figlio, un membro dei Guardiani, è stato arrestato di recente, e da allora non ne sa più niente. Mentre la donna sta parlando, si sente il suono di spari dall´altro lato del mercato: un Guardiano ha sparato dei colpi d´avvertimento nei confronti di un veicolo che non ha rispettato il suo ordine di fermarsi. Brooks manda i suoi uomini con l´ordine di ispezionare il posto di blocco: «Vedete se si possono sistemare le cose in modo da lasciare alla gente più tempo per reagire». Tornando a rivolgersi alla donna, le dice che cercherà di scoprire qualcosa su suo figlio. Le dice che tra pochi giorni verrà aperto un ufficio nelle vicinanze, dove i residenti potranno ottenere informazioni sui detenuti.  mezzogiorno, ormai; il caldo è intenso e Brooks sta diventando impaziente. assediato da un altro gruppo di commercianti, che si lamentano di un campo ricoperto di rifiuti vicino alle loro bancarelle. Brooks indica un grosso cassonetto aperto, uno dei tanti dislocati dai suoi soldati negli spazi vuoti in tutto il quartiere. Fa notare che è quasi vuoto e che la spazzatura è stata gettata tutto intorno. «Perché mi dovrei preoccupare della vostra spazzatura se la gente di qui non se ne preoccupa?». Risaliamo sul blindato e andiamo via. Mentre stiamo per lasciare il mercato, Brooks urla al guidatore di fermarsi e salta giù, imprecando ad alta voce. Si dirige a grandi falcate verso un uomo che sta seduto sotto un albero, dietro a un tavolino ricolmo di cioccolatini, sacchetti di patatine, sigarette e qualche giocattolo di plastica da due soldi. Brooks afferra una pistola di plastica e un kalashnikov giocattolo e li sventola in faccia al venditore. «Che cos´è questa roba?», urla. Il venditore, che sorrideva nervoso mentre Brooks veniva verso di lui, ora è in grande apprensione. «Sono solo giocattoli, per bambini», dice cercando di rabbonire il capitano e sforzandosi di continuare a sorridere. Un terp mascherato, molto alto, chiamato Leo, traduce per Brooks. «Sei un idiota!», urla Brooks. Leo dice qualcosa all´uomo in arabo. «Secondo te, cosa succede se uno dei miei soldati si vede puntare questa roba contro, di notte?», fa Brooks agitando la pistola giocattolo sotto agli occhi dell´uomo. «Ammazzerai più bambini tu in questo quartiere di quelli che ammazzerà Al Qaeda!». Brooks chiede una risposta. Leo parla nuovamente al venditore, e lui dice che non è il solo a vendere armi giocattolo; c´è una bancarella di fronte agli uffici del municipio a Ghazaliya. «Tutti li vendono», dice. Brooks ascolta impassibile. Poi fa un passo indietro e sputa per terra di fronte al tavolo del venditore. Agitando il pugno, dice: «Mi fai vomitare, assassino di bambini», e gira i tacchi per andarsene. Si ferma dopo pochi passi, si volta di nuovo e con un calcio solleva una nuvola di polvere in direzione del venditore. «Andiamocene!», urla. Brooks rimane in silenzio durante il tragitto di ritorno alla stazione Thrasher. Tornati alla base, chiedo a Leo delucidazioni sul dialogo con il venditore. Lui dice di non aver tradotto «esattamente», quello che ha detto il capitano Brooks: «Ha usato molte parole molto offensive, sai. Se gliele avessi riferite esattamente, quell´uomo si sarebbe molto risentito». Diversi giorni dopo il mio incontro con Umm Jafaar, Karim mi organizza un incontro con Amar. Un uomo tarchiato, sui trentacinque anni, con la testa rasata quasi a zero e una faccia grassoccia e bitorzoluta, con folti baffi. Emana un senso di inquietante serenità, e faccio fatica a sostenere a lungo il suo sguardo. Parla in tono prosaico, monocorde. «Jafaar aveva dieci dita; ognuna di queste dita valeva dieci uomini dell´Esercito del Mahdi», dice. «Per questo ho deciso di vendicarmi contro cento di loro. Fino ad ora, ho consumato la mia vendetta contro venti di loro». Mette nel conto anche quelli che ha fatto catturare dagli americani? gli chiedo. Amar scuote la testa. «Certi ora sono in prigione», dice. «Se verranno rilasciati, li ucciderò. Se non verranno rilasciati, ucciderò i loro fratelli o i loro padri. Oggi, ne ho uno in mente». Lui e Karim parlano in arabo per un momento, poi Karim si rivolge a me e mi dice: «Sì, questa persona se lo merita. Ha ucciso almeno trecento persone a Bagdad». Amar fa il nome di un quartiere lì vicino. «La maggior parte li porto lì per ucciderli», dice. « a due minuti da Hay al-Adil, un quartiere sunnita. L´esercito del Mahdi pensa che siano quelli di Hay al-Adil che li stanno ammazzando». Amar fa un tenue sorriso. «Vengono con me, come miei amici. Si fidano di me, quelli del Mahdi». Amar dice che a volte li invita anche in un magazzino di sua proprietà, «per mangiare o per bere, o per fare la corsa dei piccioni. Mi invento storie diverse». Una volta lì, di solito gli mette una droga nel tè, o la sparge sui datteri che gli offre. «Loro si addormentano e io gli sparo in testa». A volte, taglia loro la gola. «Gli americani sono troppo onorevoli, troppo puliti», dice. «La devono ammazzare, questa gente. gente sporca. E comunque, se non li ammazzano loro, lo faccio io. Ma aiutando gli americani ad arrestarli faccio in modo che loro non sospettino di me». Prima della morte di Jafaar, Amar aveva fatto degli errori: alcol, donne. Nella sua ricerca di vendetta si è avvicinato a Dio e questo, dice, lo spinge a continuare. «Dio vuole che io uccida questa gente. haram [proibito] uccidere i gatti, ma è bene uccidere quelli del Mahdi», dice. «Hanno strangolato dei sunniti di fronte ai miei occhi, delle brave persone. Io non sento differenza tra me e i sunniti; mi dà molta rabbia questa cosa. Quelli del Mahdi non sono gli stessi che erano un tempo: ammazzano sciiti o sunniti, per qualsiasi motivo. Se andrò all´inferno, sarò comunque contento, perché mi sono vendicato». E aggiunge: «Per essere sincero, solo dopo il primo omicidio non ho dormito bene, perché non avevo mai ucciso prima. Dopo, però, mi sono sentito normale». La settimana scorsa, ho parlato di nuovo con Karim. Lui mi ha detto che era successo qualcosa, che adesso c´era motivo di credere che l´Esercito del Mahdi si fosse reso conto che Amar era implicato nelle uccisioni. Karim lo stava esortando a lasciare Bagdad, almeno per un po´, altrimenti c´erano probabilità che potesse diventare un bersaglio. Per il momento, però, Amar si limitava a stare nascosto. […] Traduzione di Fabio Galimberti © 2007,