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 2007  dicembre 02 Domenica calendario

LA REPUBBLICA 2/12/2007

PINO CORRIAS
NIENTE di buono prometteva quel cornicione di celebrità obliqua dal quale Azouz Marzouk non era mai più voluto scendere. Mostro per una notte, ricercato per strage consanguinea. Illuminato di fama nerissima. Ma poi subito assolto con le scuse. Immortalato dai riflettori del senso di colpa collettivo ("Io, tunisino, vittima del pregiudizio") ma con occhiali neri fin troppo griffati, giubba di pelle, catena d´oro, aria guerriera. E poi naturalmente cuore infranto di padre e sposo. Anche lui eroe - mai involontario - del molto sangue versato sui nuovi palcoscenici della cronaca nera, anzi nerissima, che poi la ridondanza quotidiana trasforma in un seriale aggiornabile all´infinito. Come le lacrime di Annamaria Franzoni sul sangue versato a Cogne. Come gli occhi celesti di Albertino Stasi, che galleggiano nel vuoto di Garlasco. Come gli inciampi mediatici delle Gemelle Kappa che truccano una foto, ma si fanno scoprire e ci rimangono sotto. Come il fondale della quieta Perugia che moltiplica leggende notturne e false piste governate dal sorriso di Amanda e dal suo irrisolto enigma.
Ma a differenza degli altri personaggi - costretti al ruolo di inseguiti, indagati, analizzati - Azouz si è lasciato ingaggiare, con luci da reality, a interpretare la vittima e il riscatto. A raccontare il dolore provato in proprio: «Mai e poi mai potrò perdonare chi ha cancellato la mia famiglia». Ma anche a prefigurane una scandalosa via d´uscita tra le plastiche avvelenate dello spettacolo: «Che male c´è se anche ci fossero un po´ di soldi dopo tanto dolore?» E perciò: personaggio televisivo con gettone incorporato; case di moda pronte all´ingaggio per la sfilata; Isola dei famosi in trattativa; Fabrizio Corona («gli voglio bene, è un mio vero amico, dico sul serio») pronto a pagargli il servizio fotografico per inquadrare, nella camera ardente del funerale tunisino, le salme del figlio e della moglie. E poi ancora: ospite notturno di pizzerie e discoteche di buia provincia per una foto, per un autografo col bacio: «Un grande ciao da Azouz Marzouk».
Dicono confidenze di investigatori che se lo siano portati via all´alba, ore 5,30, sotto casa, tra le palazzine gialle d´edilizia popolare a Merone. I ragazzi della Guardia di Finanza infreddoliti dall´attesa, lui sveglio e caldo, su nera automobile con musica in sottofondo («Cosa volete ancora? Mi arrestate? Sono innocente») dopo la solita notte insonne nei locali, tra la Brianza e Milano.
Bazzicava identiche notti la scorsa estate al seguito di Lele Mora, detto Lelito, detto il Sultano, specializzato in cibo televisivo per casalinghe e sogni portatili per rotocalchi: « un bravo ragazzo, sto cercando di dargli una mano», raccontava Mora, con pallore d´antibiotico. Azouz gli sedeva di fianco, ospite sempre d´onore della tavolata centrale, quella con ostriche e fotografi, dentro ai neon di certe immense pizzerie, dove qualunque reduce d´irradiamento televisivo - tronisti, veline, sfaccendati - emana irresistibili lucentezze da reliquia, muovendo pellegrinaggi di ragazzi tatuati, e signorine in tacchi a spillo, con la cingomma. In quelle sere Azouz indossava completi di lino bianco e scendeva da lucide Porsche Carrera, i vestiti regalati da Lelito («poverino non ha niente da mettersi») l´auto in prestito da concessionari amici, immaginando che quella doppia esibizione fosse una gentilezza della sorte, un risarcimento, e non la trappola che lo stava perdendo.
Azouz viene da Zaghouan, che è un paese di case bianche e parabole satellitari, trenta chilometri dal mare di Hammamet, due ore di volo dalle scatole colorate dei miraggi d´Occidente. La sua è una famiglia benestante, niente esodi per fame, ma trasvolata con biglietto e permesso turistico. Sogna la Germania. Ma nel 2000 approda e si ferma nella sua versione in grigio, Erba. Conosce Raffaella Castagna. La sposa. Vive circondato da molti sospetti: «I brianzoli sono razzisti, anche se non tutti». E dall´odio profondo di Rosa e di Olindo, i vicini di casa, che considerano quella indecente coppia mista - «lei molto ricca, lui molto cattivo e per di più tunisino» - un´interferenza all´ordine naturale del cortile, all´ordine naturale delle cose. E un rumore da cancellare.
Un anno e mezzo prima del sangue, l´arresto per spaccio di droga. Pena patteggiata, dimezzata a 16 mesi dall´indulto dell´agosto 2006, uscito a respirare la nuova vita, che però assomiglia alla vecchia, senza alcun pentimento, molto rancore per il carcere («lì dentro pensavo di morire») e con una giustificazione sempre pronta, colpa dell´avvocato, colpa dei giudici, colpa della sua buona fede: «Quella volta ho ammesso le accuse, ma ho sbagliato, ero innocente». Come no.
Dopo la strage, lo stordimento, i lampi, la fama. Anche la frustrazione. Non lo vogliono al funerale della quarta vittima, la vicina del piano di sopra: «Grazie ma preferiamo pregare per conto nostro», gli fanno sapere. Non lo fanno entrare nemmeno all´asilo che frequentava Youssef, dove lui una mattina di gennaio porta in dono i giocattoli: «Grazie, ma deve lasciarli davanti al portone».
In televisione dice che cerca un lavoro vero. Cerca una casa. Dice che vuole aprire un ostello al suo Paese. Oppure un campeggio. Oppure una macelleria a Erba. Oppure un import-export. Va e viene dalla Tunisia. Prepara una richiesta di risarcimento milionario per i giornali e le tv che nella notte del fatidico 11 dicembre 2006 lo hanno chiamato "l´assassino in fuga". Nel frattempo vende il suo memoriale a un settimanale. Rilascia interviste. Concede servizi fotografici. I giornali cominciano a chiamarlo "il piccolo cafone", "il vedovo allegro". Lui parla guardingo. Anche quando ti fa vedere la versione in metallo e oro dell´ultima foto di Youssef che porta al collo: «Ti piace? Mi manca tanto».
La vicinanza di Corona non aiuta, Bentley blu, ragazze bionde, il suo elogio: «Secondo me Azouz è un grande personaggio. Viene dalla cronaca nera? Chi se ne frega». Viene dalla cronaca nera e ora ci torna. Come un destino. Come un epilogo molto annunciato. Come un cornicione obliquo che infine si spezza.


DAL NOSTRO INVIATO
COMO - Per un Fabrizio Corona che, per affetto o interesse, si spinge ad andare sotto la casa ormai vuota di via Cavour a Merone, perché convinto che «Azouz sia stato coinvolto in una cosa che non gli appartiene, perché è un bravissimo ragazzo», c´è un Lele Mora, l´agente di star e starlette tv, che da quel ragazzo con l´ambizione di lavorare in tv ora prende le distanze. «Prima mi faceva tenerezza, ora non voglio più vederlo, non voglio avere a che fare con chi usa o spaccia droga», dice lui, mentre Corona ammette: «Anche io ho guadagnato su di lui» e racconta ai soli presenti in via Cavour, i giornalisti, che proprio due giorni fa Azouz l´aveva chiamato per chiedergli tre inviti per la discoteca milanese dei vip.
Signor Mora, da quanto tempo non vedeva Azouz Marzouk?
«Ma io l´avrò visto quattro o cinque volte in tutto, e non perché l´avessi cercato io: mi è stato portato e presentato, mi faceva tenerezza per quello che aveva subito e ho pensato di aiutarlo, tutto qui. Mai stati amici».
Eppure per alcuni mesi, dopo la vicenda che aveva acceso i riflettori su di lui, sembrava potesse entrare nella sua scuderia.
«Ma non scherziamo, io gliel´ho sempre detto che quello non era un mestiere per lui. "Sei diventato famoso per una brutta vicenda - gli dicevo - e la gente non ti perdonerebbe il fatto di cercare di farti pubblicità". Io, in realtà, gli proponevo di trovargli un lavoro come guardiano, centralinista, cose così».
E lui?
«Prendeva tempo e non si decideva. Siccome capivo che però aveva bisogno di aiuto, gli ho dato dei soldi: una sera l´ho portato con me a una serata che organizzavo in un locale e gli ho dato l´intero compenso, cinquemila euro. Un´altra volta gli ho dato altri tremila euro. Ma lo facevo così, perché a me piace aiutare la gente».
Anche la gente che non aveva un passato proprio limpido? Azouz in carcere ci era già stato, proprio per questioni di droga.
«A me il suo passato non interessa. Quando l´ho visto io, quelle poche volte, certo non ha mai fatto niente di illegale in mia presenza. Io non tollero la droga, per quanto voi giornalisti non ci crediate, io non tollero che le persone che lavorano con me ne facciano uso, tantomeno che la spaccino».
Quindi, se Azouz dovesse tornare a chiederle aiuto?
«Io spero che sia innocente e che lo possa provare. Ma se ha fatto una cosa del genere non voglio più vederlo».
(or.li.)

LA STAMPA 2/12/2007
PAOLO COLONNELLO
INVIATO A COMO
«Sono molto arrabbiato perché i miei affari hanno subito un freno...». Era il 17 gennaio scorso. La coppia dei vicini diabolici era stata arrestata da poco, ancora le cronache grondavano sangue del massacro di Erba, e lui, Azouz Marzouk, padre e marito delle vittime di via Diaz, si lamentava. Non il dolore per la strage dei suoi cari ma il dispetto per gli ostacoli ai suoi affari che l’enorme risonanza di quei fatti aveva provocato. Almeno così emerge dalle intercettazioni che punteggiano le quasi 400 pagine d’ordinanza con la quale ieri mattina all’alba il bel tunisino lanciato nell’effimero circo dei «famosi» è stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Como assieme ad altre 6 persone (tre sono ancora latitanti), quasi tutti suoi amici e parenti. L’accusa parla di concorso in spaccio di sostanze stupefacenti per fatti che vanno dal 2004 fino all’ottobre scorso, con una breve interruzione proprio nei giorni della strage, quando Marzouk, accusato ingiustamente nell’immediatezza dei fatti, tornò da Tunisi per scoprire che la sua famiglia era stata sterminata dalla ferocia di Rosi e Olindo che oggi in carcere probabilmente festeggeranno.
Dice il suo avvocato, Roberto Tropenscovino: «Azouz si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, coinvolto in un’indagine che non lo riguarda. Sono convinto che nel giro di pochi giorni verrà scarcerato». Ma il meticoloso lavoro degli investigatori, che gli contestano almeno 7 mila episodi di spaccio, sembra smentirlo: negli ultimi mesi sono state interrogate almeno 140 persone, una buona fetta dei circa 250 clienti di Marzouk, che avrebbero confermato il suo ruolo nel giro di spaccio dei «tunisini di Merone», il gruppo di amici, fratelli e cugini che controllava lo smercio di coca e hashish sui 15 chilometri di statale che da Ponte Lambro arriva fino a Cantù. Un giro d’affari da 350 mila euro all’anno nel quale Marzouk, solo dopo la strage dei suoi cari, si era ritagliato un ruolo più defilato, occupandosi dello smistamento e dei contatti telefonici con i «clienti» e non più dello smercio al minuto per strada.
Troppa esposizione, troppi sbirri, troppe intercettazioni. Pessime circostanze per fare bene il lavoro da pusher che Marzouk il bello, fresco di un lutto che avrebbe schiantato chiunque, a quanto pare ha continuato a svolgere, nonostante tutto.
«Questi sono i mesi più belli della mia vita», dice in un’intercettazione del 15 aprile commentando l’interesse del manager dello spettacolo. «Vedo gente bella, gente con i soldi...Mi hanno proposto di lavorare in cambio di sesso, sono arrivati a dirmi: ”quanto vuoi per una scopata?”...».
Già gli sembravano lontani i giorni in cui doveva contrabbandare qualche dose con le tossiche della zona, come racconta un’altra intercettazione ambientale del 4 gennaio, a neanche un mese dalla scoperta del massacro in casa sua. Nell’auto ferma sul ciglio della strada, Marzouk chiede alla ragazza «sesso senza raccomandazioni» e quando lei si mostra un po’ incerta temendo che il tunisino sia ancora sconvolto dalla tragedia, lui la tranquillizza: «Non devi sentirti in colpa...». Il 19 gennaio invece, mentre ad Erba si discute se Raffaella Castagna e il piccolo Youssef debbano essere sepolti entrambi con una bara bianca, Marzouk si lascia andare ad uno sfogo: «Ma cosa me ne frega della cassa com’è, bianca o marrone...». Un disperato Azouz, travolto da un destino crudele e insolito. Ma sì, meglio tuffarsi nel lavoro: «Noi la bianca ce l’abbiamo buona», spiega a uno dei clienti poi verbalizzati davanti al pm Massimo Astori, lo stesso che assieme al pm Fadda scoprì gli assassini di Erba. «A me - prosegue Marzouk - quando qualcuno mi dice di non sniffare, io sniffo ancora di più, per ripicca...».

LA STAMPA 2/12/2007
STEFANIA MIRETTI
No, non era poi diventato «un personaggio». La fabbrica del gossip pesta sassi, t’arruola e ti scarica appena smetti di fare share, e alla fine per Azouz Marzouk non s’era rimediato granché: un paio di ospitate in discoteca, una serata in pizzeria organizzata dall’agente Lele Mora, che lo fece arrivare in Porsche Carrera - c’erano i giornalisti, e ne avrebbero scritto - e una poltrona tutta per lui a «Matrix», ma solo finché gli italiani avessero mostrato di gradire lo spettacolo della strage di Erba e la dolce cadenza di quell’enigmatico maghrebino che diceva «la mia moglie» e intercalava con troppi «sicuro». Poi, nell’album dei famosi, la figurina del vedovo allegro ha lasciato il posto a quelle delle gemelline senza cuore e dello zingaro assassino, e oggi è Amanda che si vorrebbe mettere sotto contratto: sai chissenefrega del tunisino in occhiali da sole che ancora smania per andare a ballare all’Hollywood, il locale dei calciatori e delle veline, e aveva pregato Fabrizio Corona di procurargli tre inviti per questa sera?
A una carriera da showman per il marito della povera Raffaella Castagna, salta fuori che non ci aveva pensato proprio nessuno, neppure quelli che gli avevano offerto una ribalta: «Mi era stato presentato come un ragazzo bisognoso d’aiuto», diceva ieri sera l’agente Lele Mora, «e io gliel’ho offerto: aiuto economico, sia chiaro, piccole cifre... e sono pronto a farlo ancora, se si dimostrerà che non è uno spacciatore. Ma gli ho sempre spiegato che doveva trovarsi un lavoro serio, perché di affrontare una carriera nello spettacolo non se ne parlava: non era il caso e non ne aveva le capacità. Azouz è un bel ragazzo, è vero, l’ho detto. Ma sa quanti ce ne sono di bei ragazzi, in Italia?».
Appunto. E dunque Azouz, quando la guardia di finanza ha bussato alla sua porta con un’ordinanza di custodia cautelare, era già tornato a essere quello che sempre era stato: né tagliagole musulmano né futuro divo della televisione, ma un giovane tunisino che fiuta l’aria, spaccia droga perché tutti lo fanno compresi i suoi fratelli, incontra una donna italiana sola e pronta ad offrire a lui e a se stessa una chance, acquisisce un suocero che una sera lo prende da parte e gli dice «se vuoi mia figlia a me sta bene, ma vedi di rigare dritto», rifiuta lavori perché sgobbare per mille euro al mese è roba da sfigati, viene arrestato, esce con l’indulto e torna a inventarsi la giornata. Uno come tanti.
Dentro lo schermo popolato dai personaggi-figurina che sono il mito di tanti giovani maghrebini così come dei coetanei italiani, Azouz ci finisce per caso, vittima della banalità del male: tutta l’Italia sotto choc assiste al suo sbarco all’aeroporto di Malpensa, quando lui da qualche ora non è più il mostro, ma è pur sempre un tunisino pregiudicato i cui traffici potrebbero aver messo a repentaglio la vita della sua famiglia italiana; e però, sorpresa, lo spacciatore è carino, ha una felpa col cappuccio e un giubbotto da rapper, sfoggia la prima di una serie di griffe vistose sulle stanghette degli occhiali da sole. E l’audience s’impenna quando, nello zapping dei giorni successivi, c’è di nuovo e sempre Azouz in tv, non più inseguito dalle telecamere in strada ma seduto nel salotto di Magalli, ospite d’onore da Mentana, telegenico nella sua divisa da tronista. L’ipotesi che lo spettatore distratto finisca per scambiarlo per uno dei ragazzi del «Grande Fratello» si rivela presto una facile profezia: al funerale tunisino di Raffaella e Youssef c’è anche Fabrizio Corona venuto a trattare un’esclusiva che qualcuno avrà ben commissionato, anche se non verrà rivendicata perché la famiglia Castagna inoltra pubbliche diffide. Ma a quel punto il vedovo allegro, sospettato d’essersi venduto la veglia funebre, si sente già in pista e replica a muso duro a chi lo accusa di voler speculare su una tragedia che, dopo tutto, è anche la sua: «Che male ci sarebbe, se dopo quel che ho sofferto mi rifacessi una vita nel mondo dello spettacolo?». Seguono le ospitate in discoteca, un servizio fotografico su Eva Tremila, il memoriale a puntate su «Diva e donna», le voci poi smentite d’un possibile ingaggio per «L’isola dei famosi».
Assicura ora Lele Mora di non essersi mai sognato di mettere sotto contratto uno come lui, «in televisione», dice, «ci vanno quelli che sanno fare qualcosa», però Azouz, poveretto, c’è da capirlo, «oggi come oggi è facile montarsi la testa, figurarsi per un ragazzo che viene dal nulla e di colpo si ritrova con la gente che per strada lo fotografa col telefonino». Nell’ultima istantanea, mentre Azouz si prepara ad affrontare la notte nel carcere di Vigevano, c’è invece Fabrizio Corona in visita ai parenti, nella palazzina popolare dove il tunisino era tornato ad abitare dopo lo sterminio della sua famiglia (una «vita miserevole» secondo il titolare della rinomata agenzia di paparazzi, prova certa «che Azouz non è uno spacciatore»). Accorso là dove sono accesi i riflettori di giornata per testimoniare solidarietà e vicinanza «in questo momento difficile». E anche un po’ per annunciare che farà un disco con Patrick Lumumba.

CORRIERE DELLA SERA 2/12/2007
GIUSI FASANO
DAL NOSTRO INVIATO
ERBA (Como) – il 5 aprile dell’ anno scorso. Azouz Marzouk parla al telefono con un amico. «Sai che ti dico? Che sono stati i mesi più belli della mia vita. Pensa che mi hanno perfino proposto soldi in cambio di sesso. Sono arrivati a dirmi quanto vuoi per una scopata?».
La celebrità appena assaggiata ha un sapore che sembra piacergli molto.
Interviste, apparizioni in televisione, inviti a feste modaiole, serate in discoteca. Tutti pazzi per Azouz, e lui a volte si fa pagare, altre no. Ogni volta, comunque, fatica a frenarsi, come gli consigliano amici, avvocati, parenti. «Guarda che non puoi andare al Grande Fratello, chissà cosa diranno di te. Non esporti così tanto. Fahmi, diglielo anche tu...» gli ha spiegato in più di un’occasione il cugino Bohren, chiedendo il conforto del fratello di Azouz, appunto, Fahmi (Bohren e Fahmi sono fra gli arrestati di ieri).
Nelle oltre 500 pagine di ordinanza di custodia cautelare il capitolo su Azouz Marzouk è lungo, dettagliato.
Per descrivere la sua personalità e per far capire al giudice delle indagini preliminari chi è quel ragazzo, il pubblico ministero scrive che alcune delle intercettazioni allegate all’ inchiesta «lasciano allibiti». Per la spregiudicatezza dell’indagato, sottintende la procura, soprattutto alla luce dell’immagine pubblica che Azouz ha fatto passare di sé. E nelle carte si citano alcuni dei fatti accertati.
Per esempio l’intercettazione ambientale registrata nella macchina di Azouz il 4 gennaio 2006. Raffaella Castagna, sua moglie, e Youssef, il suo bambino di due anni, non erano ancora stati sepolti. Olindo Romano e Rosa Bazzi, i due vicini di casa autori della strage, non erano ancora stati arrestati.
Di Azouz si parlava e si scriveva ormai da settimane come del «tunisino accusato ingiustamente del massacro ». Ecco. Lui la sera del 4 gennaio era appartato in auto con un’amica italiana per una pausa di sesso. Niente di illecito. Quello che «lascia allibiti» gli investigatori è che lei, amica della moglie uccisa di Azouz, dice «non so se facciamo bene. Io mi sento in colpa».
E lui: «Perché? Non devi sentirti in colpa. Non hai colpe. Facciamolo senza raccomandazioni...», dove per raccomandazioni si intuisce che voleva invece dire «precauzioni». Poi il tunisino confessa che «è la prima volta che lo faccio in macchina» e lei lo redarguisce: «E allora avresti potuto anche portarmi in un posto più bello».
La tragedia. E il suo passato da spacciatore. Forse si sentiva già protetto dalla sua improvvisa notorietà, Azouz. E avere a che fare ancora con la droga non lo preoccupava più di tanto. Le cimici e i telefoni l’hanno registrato: «Tanto non ci prenderanno mai». Arrestato per droga nell’ aprile del 2005 e rilasciato con l’indulto ad agosto del 2006, Azouz si sentiva al sicuro, convinto di aver già pagato il suo conto alla giustizia. Non più di un mese fa un’amica aveva messo in guardia lui e i suoi parenti: «Con quella roba state facendo delle grandissime stronzate. Avevate giurato di non farlo più». Lui le aveva riso in faccia e aveva continuato a parlare con i suoi cugini.
In un’altra intercettazione ambientale è sempre lui che spiega al suo interlocutore del momento: «A me quando qualcuno mi dice di non sniffare sniffo ancora di più, per ripicca ».
Tre giorni fa è tornato da Napoli dov’era andato a sbrigare «alcuni affari », come diceva ormai spesso in questi ultimi mesi. «Che nottata», si era vantato con qualcuno degli altri oggi indagati. «Ho pippato tutta la notte...».
E ancora: in una conversazione telefonica della primavera scorsa parlava di quanto gli girasse tutto bene. «Ho conosciuto gente importante» spiegava. Tutto perfetto, se non fosse stato per un unico rammarico: «Ho fatto sesso sporco», confidava a un amico, espressione che evidentemente hanno colto al volo, dall’altro capo del filo. Perché l’argomento non è stato approfondito.
Giusi Fasano

CORRIERE DELLA SERA 2/12/2007
MARCO IMARISIO
«Guarda che al Coconut è pieno di figa, prima o poi dovresti farci un salto». Erano i primi di settembre, Azouz Marzouk sedeva sulle panchine fuori dal Radetzki. In quel locale milanese popolato da agenti di borsa e avvocati in happy hour, il tunisino di Erba faceva la figura del carciofo in un roseto, del parvenu.
Era in sosta in un mondo non suo, aspettando che il suo amico Fabrizio Corona si decidesse a scendere da casa. In un panorama di abiti di buon taglio e cravatte pudicamente allentate, lui indossava una camicia rosa aperta sul petto rasato e coperto di catene d’oro, sotto ad un gessato a righe larghe. Roba da film di Scorsese e non da borghesone in libera uscita. In mano aveva un pacco di depliant del Coconut di Eupilio, il locale di Franco Ribaro, un altro dei suoi nuovi meravigliosi amici. Ristorante, pizzeria, discoteca «e sempre tanta figa» sottolineava lui mentre allungava i depliant a sconosciuti. Gli altri lo guardavano come si guarda un insetto strano, una blatta che misteriosamente è comparsa sul muro del salotto di casa.
Era lo stesso genere di occhiate che il 13 gennaio di quest’anno gli riservarono i suoi concittadini di Erba ai funerali di Paola Galli, la nonna di Youssef. Quando Azouz arrivò sul sagrato della chiesa, una signora estrasse il telefonino dal visone e scattò una foto. Una ragazza lo guardava estasiata, «è più bello di Zidane». Ma nessuno si spingeva a mettergli una mano sulle spalle. Solo all’uscita, sull’onda effimera della commozione, qualcuno si era cimentato nel gioco della riabilitazione, con il tunisino ex spacciatore, cattivo ma non assassino, vittima di pregiudizi e di un delitto orrendo. Lo avevano abbracciato sussurrandogli «comportati bene», con lo stesso atteggiamento di chi dà due euro a un questuante e poi aggiunge «mi raccomando, non se li beva». Azouz si era prestato a tutto questo, ben sapendo che era una finzione, che nulla sarebbe cambiato.
Fu l’ultimo giorno della sua prima vita. Quella nuova e in apparenza scintillante cominciò a Zaghouan, ai funerali musulmani di Youssef e Raffaella, con Fabrizio Corona che si materializza tra le tombe bianche del cimitero sulla collina. Azouz gli aveva promesso di indossare la maglia con il logo della sua agenzia durante la tumulazione dei feretri e l’esclusiva sulle foto della cerimonia. Rosi e Olindo, i carnefici, Raffaella, Paola, Youssef, le vittime, uscirono presto dai notiziari su Azouz. Vi entrarono invece Lele Mora, qualche tronista, un sottobosco variopinto, in odore di trash e con Vallettopoli che incombeva.
Lui si è sempre trovato bene con questa compagnia di giro, ricchi e reietti al tempo stesso. Gli calzava come un guanto. In quel mondo dove essere è apparire, l’unico requisito necessario è la bellezza. E poi, era portatore di valore aggiunto, la sua condizione di superstite in vendita, vittima pronta all’uso e al glamour. La popolarità era sempre legata al fatto di avere addosso l’odore del sangue di quella notte. per questo che chiamava Mentana, per la fiction su Erba con annesso dibattito, e lo share che arriva al 27 per cento solamente al suo ingresso in scena. Ma era una gloria di passaggio, tanto prima o poi qualche altro delitto si sarebbe portato via scena e notorietà. Di tutte le promesse patinate, la conduzione di un talk show, un libro di memorie, l’Isola dei famosi, rimaneva solo la pizzeria Coconut di Eupilio e la Porsche prestata dal proprietario per le gite a Milano.
In qualche remoto luogo dell’anima, Azouz dava l’impressione di coltivare un dolore, simbolizzato dal ciondolo d’oro con la foto di Youssef. Prima dell’estate, era ancora un uomo che soffriva, e somatizzava il tormento in un tremolio che dalla gamba destra gli saliva su tutto il fianco. Quella sera di settembre, sembrava soltanto la brutta imitazione di Fabrizio Corona. Nessun tremolio. Neppure una parola dedicata alla sua famiglia, ad un ricordo da coltivare. Un uomo ancora bello, ma imbolsito da una bella vita di plastica. La sua trasformazione si stava definitivamente compiendo. Una volta scolorito il ricordo del sangue, sarebbe saltato fuori un posto anche per lui, tra soubrette da pizzeria e presentatori sul viale del tramonto.
Dopo aver scolato un analcolico e aver provato a chiamare Fabrizio, che aveva il cellulare spento, Azouz disse che pensava di prender casa a Milano, che il passato era alle spalle, compresi i suoi lutti. Lui era pronto a prendersi quel che la vita – e i nuovi amici – gli avrebbero concesso. Ma il passato certe volte torna, sotto forma di vecchie abitudini. Forse è vero quello che dice ora Azouz dal carcere, che lui non aveva più bisogno di quello spaccio da pezzenti. L’Azouz diventato famoso rimaneva pur sempre il capo dei tunisini di Merone e di Erba, erano l’unico punto fisso della sua vita, nonostante le amicizie sventolate sui rotocalchi.
Tutti sapevamo che c’era solo da aspettare. Oggi Azouz si riprende quel ruolo di cattivo che gli è sempre rimasto addosso, anche dopo esser stato scagionato dalle accuse della prima notte. Tutti noi lo abbiamo sempre osservato da lontano donandogli una finta solidarietà che invece era semplice attesa di una caduta che sarebbe inevitabilmente arrivata. La cosa peggiore è che Azouz sapeva tutto. E accettava l’ipocrisia, pensando che era pur sempre meglio dell’indifferenza, del nulla.
Marco Imarisio

CORRIERE DELLA SERA 2/12/2007
GIUSEPPE GUASTELLA
MILANO – Severo, deluso a tratti arrabbiato, Fabrizio Corona ieri è stato tra i primi precipitarsi a casa di Azouz Marzouk nella sua doppia veste di amico e di fotogiornalista a caccia di scoop. Non è tenero Corona con il tunisino: «Se le accuse sono vere, beh, da lui non me l’aspettavo», dichiara. Ma è solidale con l’amico, che resta sempre «un bravo ragazzo, coinvolto in una cosa che non gli appartiene» e spera «esca presto, per tornare alla ribalta e riprendere a guadagnare», anche se è convinto che la notorietà «i soldi facili e la bella vita gli abbiano fatto perdere la testa».
«Quando ho saputo dell’arresto, sono rimasto di stucco, non pensavo fosse tornato a fare quelle cose», racconta il paparazzo secondo il quale «ultimamente Azouz viveva della sua immagine» e, «come tutti coloro che finiscono in un modo o nell’altro per diventare famosi, è rimasto coinvolto mentalmente ed economicamente da un mondo che non è il suo. Azouz non fa una vita di lusso. Chi spaccia veramente conduce una vita non miserevole come la sua».
Subito dopo la mattanza di Erba, Azouz gli assicurò che con la droga non aveva più nulla a che fare.
«Mi disse che era uscito da quei giri, che era finito in galera innocente. Gli credetti e gli credo ancora. Io non concepisco quelli che trafficano con la cocaina». Per questo, e non solo, visto che Corona è sempre a caccia di guadagni, il paparazzo si decise ad aiutarlo: «Ci telefonava tante volte, fino a ieri quando mi ha chiesto tre inviti per andare a ballare con gli amici all’Hollywood. Io e Lele abbiamo provato a fargli guadagnare un po’ di soldi. Gli ho trovato appuntamenti e sponsor, gli ho fatto fare interviste in tv. Lui diceva che non riusciva a trovare lavoro, ma alla fine mi sono reso conto che non voleva trovarlo». Se Azouz è noto al pubblico, oltre che per la tragedia di Erba, in parte lo deve anche a Corona. Nessun senso di colpa? «No, perché glielo avevo detto di fare attenzione». Di soldi Azouz ne ha guadagnati: «Cinquanta-sessantamila euro. Tanti per uno abituato a 1.500 euro al mese», sottolinea Corona. E del progetto di una discoteca da mettere su insieme anche con Lele Mora? «Azouz ci ha telefonato tantissime volte, una volta ci ha contattati – racconta Corona – per conto di un ristoratore di Brescia, ma quando abbiamo valutato la questione, ci siamo resi conto che non avremmo avuto tempo da dedicarci».
Tante telefonate da Azouz a Corona e a Mora. Potrebbero essere state intercettate. Corona non se ne preoccupa, anzi: «Ci manca solo che ci mettano in mezzo anche in questa storia. C’è un lato positivo: così si vedrà che noi con la droga non c’entriamo niente. Ora mi immagino Azouz in carcere nelle condizioni in cui sono stato io per cento giorni. Per me è come tornare al passato ».
Giuseppe Guastella

CORRIERE DELLA SERA 3/12/2007
GIUSI FASANO
DAL NOSTRO INVIATO
ERBA (Lecco) – Otto mesi fa era un’altra vita. Azouz Marzouk, intercettato, diceva di aver fatto «sesso sporco» e si vantava di aver «incontrato gente potente. Mi hanno proposto un lavoro in cambio di sesso. Mi vergogno di quello che ho fatto, sai, ma continuo ad avere proposte di sesso (...). Sono arrivati a offrirmi soldi per farlo». In pratica racconta come è andata: «Sono persone ricchissime e potentissime che mi hanno comprato, scusa la parola, per far sesso (...) Perché ho girato troppo (...) stato con lui. Poi lui ha parlato bene di me e anche i suoi amici mi hanno cercato per fare sesso. Mi vergogno, ti dico la verità...».
Se sfogli le 486 pagine di richiesta di custodia cautelare sul «Gruppo di Merone» (Azouz, fratelli, cugini e parenti vari arrestati due giorni fa per droga) questa sul sesso è una delle poche divagazioni dal tema dello spaccio a essere finita negli atti. Gli inquirenti sono stati attentissimi a non inserire nelle carte dell’inchiesta nemmeno una riga sul variegato mondo vip con il quale Azouz ha avuto a che fare da quando la strage di Erba, con i suoi quattro morti, gli ha cambiato la vita. Non c’è Fabrizio Corona, né Lele Mora, nella richiesta poi firmata dal gip. Non ci sono le offerte di cifre esorbitanti che i maligni dicono abbia ricevuto in cambio di interviste o apparizioni tivù. Via anche tutte le conversazioni private più o meno gossipare fatte o ricevute da quando il tunisino è diventato famoso.
I finanzieri guidati dal comandante Rodolfo Mecarelli hanno trascritto solo fatti e circostanze «strettamente attinenti alle indagini », salvo qualche passaggio che servisse a inquadrare il personaggio Azouz. Per esempio la sua passione per le auto di lusso. «Milano è una città che non mi piace proprio – si lamenta lui in una intercettazione ambientale ”. un posto dove non mi trovo bene. E poi gli arabi che girano per Milano hanno tutti delle macchine così brutte... A me piacciono le Bmw, le Audi, le Porsche. Un giorno o l’altro me ne torno in Tunisia con una di queste che sembro un pascià (...) Quando vedo delle belle macchine io non capisco più niente. Mi piacciono solo quelle che in prima arrivano a 70 all’ora...». Non sono ancora passati tre mesi dai funerali di sua moglie e suo figlio. Dai giorni in cui lui si spazientiva al telefono: «Ma che cosa vuoi che me ne freghi della bara com’è, bianca marrone...». Era il 19 gennaio.
Ora nella cella del carcere dei Piccolini, a Vigevano, Azouz rifiuta il cibo. Il cappellano, don Florindo Arenghi, dice che l’ha visto ieri mattina, «tranquillo». Gli ha fatto un cenno di saluto con la testa «ma mi ha detto che preferiva non parlare, così l’ho lasciato solo». « preoccupato quanto basta per un procedimento che non va sottovalutato ma sa che si sta facendo più rumore del dovuto» sostiene il suo avvocato, Roberto Tropenscovino. Davanti al gip Azouz dovrà chiarire un bel po’ di cose dalle quali emergerebbe la sua partecipazione e la sua «piena consapevolezza» all’attività di spaccio organizzata nella casa di Merone dove viveva dal dopo strage. Il 15 aprile, per esempio. Lui e altri due cercano il punto esatto dov’è stata seppellita la «roba» da spacciare. Azouz si arrabbia con uno dei due: «Ma come fai ad averlo scordato? Io che la vendo mi tocca anche cercarla... ». Il 17 marzo strani rumori sentiti durante una conversazione al cellulare gli avevano fatto dire al gruppo «non parlate più al telefonino... ho sentito un po’ di problemi».
Gli altri del giro lo chiamavano «figlio di buona donna» e lui, uscito dall’anonimato, si sentiva come protetto dalla fama, trasmetteva spavalderia anche agli altri. Il cugino Bilel teneva «lezioni» a tutti sul fatto che «in Italia ti processano solo se hai la droga addosso, sennò finisce in niente». Per questo la cocaina spesso non veniva consegnata brevi manu ai consumatori ma lasciata dietro un muretto, sotto casa. L’acquirente la ritirava e lasciava i soldi. Sotto lo sguardo dei tunisini, dalla finestra, e dei finanzieri, poco più in là.

LA REPUBBLICA 3/12/2007
OR.LI.
MILANO - Vestito con jeans e maglione bianco, gli abiti che aveva addosso quando è stato fermato dalla Guardia di finanza di Como all´alba di sabato, nessuna voglia di mangiare. Azouz Marzouk, chiuso nel carcere di Vigevano con l´accusa di concorso in detenzione e spaccio di stupefacenti - si ipotizza un giro da dieci chili tra hashish, cocaina ed eroina spacciati in soli due anni - sta leggendo l´imponente ordinanza che l´ha riportato dietro le sbarre, dopo una prima condanna già scontata.
Legge le intercettazioni che lo riguardano, i giudizi espressi dalla procura e dal gip su quei suoi «atteggiamenti che lasciano allibiti», soprattutto dopo la morte di moglie e figlio: intanto si prepara all´interrogatorio di garanzia, che potrebbe avvenire oggi pomeriggio, ma con più probabilità domani. Dovrà dare conto non solo delle intercettazioni in cui avrebbe parlato, tra sottintesi, di droga da vendere e venduta, ma anche delle testimonianze di duecento consumatori che si rifornivano in quello che il gip chiama «l´ipermercato di Merone, con ritmi di vendita elevatissimi», ovvero l´abitazione popolare in cui Marzouk abitava con alcuni familiari, in parte arrestati con lui sabato. In un altro carcere, quello di San Vittore, anche suo fratello Fahimi aspetta e riferisce al suo avvocato Salvatore Arcadipane: «Azouz non c´entra niente». Il 27enne tunisino dice di essere pronto a rispondere alle domande del gip. «Le contestazioni che vengono mosse al mio assistito, che comunque contestiamo, non possono motivare la misura del carcere», spiega il suo avvocato, Roberto Tropescovino, che chiederà che Azouz venga rimesso in libertà o che gli sia concesso solo l´obbligo di dimora. Nell´appartamento in cui vivevano in sei, in via Cavour, i militari hanno trovato solo pochi grammi di hashish e ieri hanno continuato a battere i dintorni del comasco e del lecchese con perquisizioni mirate a scoprire dove le dieci persone colpite dall´ordinanza di custodia cautelare potrebbero aver nascosto la droga.
Mai, assicurano gli investigatori, forti di almeno due anni di riprese e intercettazioni, la droga era transitata per l´appartamento di via Diaz a Erba dove Azouz viveva con la moglie Raffaella Castagna e il piccolo Youssef, teatro a dicembre scorso della loro morte, di quella della mamma di Raffaella e di una vicina. Un eccidio compiuto dai vicini di casa, Olindo Romano e Rosa Bazzi, che avrebbero (inutilmente) tentato di spiegare la loro furia omicida con presunte "attenzioni" che Azouz avrebbe fatto a Rosa: una versione, però, a cui gli stessi investigatori non hanno mai dato gran credito. I giri sporchi, Azouz, li avrebbe lasciati lontano da quella casa: le telefonate in codice con parenti e amici - con i quali usava nomi di fantasia - e con i clienti porterebbero sempre verso l´appartamento di Merone.
(or. li.)

REPUBBLICA 3/12/2007
ORIANA LISO
ORIANA LISO
MILANO - La Porsche Carrera con cui una sera era arrivato in una pizzeria di Eupilio al fianco di Lele Mora era il prestito di una concessionaria che voleva farsi pubblicità su quel nuovo personaggio tinto di uno strano, nuovo miscuglio di nero e rosa. Ma Azouz Marzouk per le macchine potenti avrebbe dato tutto. «Quando le vedo non capisco più niente»: così diceva al telefono ad amici e soci d´affari, nelle mille conversazioni intercettate. Lui non voleva fare la fame come altri tanti extracomunitari venuti a cercare fortuna, senza trovarla, in Italia. «Non voglio essere un pezzente come gli altri arabi che vivono a Milano», sentenziava. Tunisini, maghrebini: per lui erano la sorte da fuggire, ad ogni costo. Ma il suo obiettivo stava diventando all´improvviso più lontano: da una parte, poco dopo gli orrori di dicembre scorso, diceva che quelli erano «i mesi più belli» per l´improvvisa notorietà. Dall´altra si arrabbiava perché i riflettori (quelli degli investigatori, più che delle tv) gli impedivano di star dietro senza paure ai suoi tanti clienti. Peggio: a mezza bocca diceva la sua rabbia per l´attenzione venuta dalla strage, «che mi compromette gli affari».
«A me piace la bella vita, e allora?» spiattellava a chi gli consigliava prudenza in quella girandola di parole in codice che - secondo la ricostruzione della procura - volevano dire sempre una cosa: cocaina da vendere, da smerciare nel cortile della casa di Merone, da procurare alla piazza di Erba, fino a Como. Anche da consumare, visto che con spavalderia diceva: «Noi la bianca ce l´abbiamo buona, se a me qualcuno dice di non sniffare lo faccio ancora di più».
Frasi inequivocabili, secondo il gip che ha firmato l´arresto: come quella in cui, discutendo con le persone che erano con lui in auto, il 15 aprile scorso, si lamentava del fatto che non trovassero il nascondiglio usato e diceva con una punta di ironia: «Io che la vendo devo anche cercarla...». Un modo per far soldi e realizzare così uno dei mille progetti di cui Azouz s´innamorava per un periodo, per poi cambiare idea. Solo una restava fissa: «Qui non mi piace, Milano non mi piace, gli italiani sono inaffidabili, anche se la vita qui è più evoluta». Per non essere più guardato con sospetto, sognava di fare il viaggio all´incontrario verso casa: «Io voglio tornare in Tunisia a fare il pascià, voglio vivere lì come un signore». Nella sua terra, a Zaghouan, voleva tornarci, ma non certo con la Golf grigia con cui i militari l´hanno fermato all´alba di sabato. «Mi piacciono le Bmw, ma più di tutto le Ferrari», sognava al telefono. Lì avrebbe potuto sfoggiare senza sguardi di sufficienza gli abiti firmati, altra sua grande passione, sbandierando quelle amicizie di vip o presunti tali che aveva stretto in Italia; e sbandierando anche le donne che - prima non quanto dopo la tragedia della sua famiglia - gli si offrivano. un capitolo triste e delicato, quello del sesso. Perché a leggere quelle frasi pronunciate poche settimane, a volte pochi giorni dopo la morte di sua moglie e di suo figlio si stenta a comprendere. «Mi hanno offerto lavoro in cambio di sesso», confessava nella presunta intimità della sua auto, facendo poi giri di parole per spiegare il senso di quelle frasi, di quel «sesso sporco» a cui si sarebbe prestato.