Rocco Cotroneo, Corriere della Sera 2/12/2007, 2 dicembre 2007
VARI ARTICOLI SUL REFERENDUM RELATIVO ALLA NUOVA COSTITUZIONE VENEZUELANA
CORRIERE DELLA SERA 2/12/2007
ROCCO COTRONEO
CARACAS – Si vota su una riforma costituzionale, su profonde modifiche alla natura dello Stato, ma Hugo Chávez sorvola. una scelta «a favore o contro di me». Di più, chi sceglie il «no» è come se votasse «per l’impero e per George Bush». In questa prospettiva l’opposizione «ha possibilità irrisorie di vittoria» e comunque è avvisata: qualunque tentativo di non riconoscere la propria sconfitta verrà represso.
Il presidente venezuelano chiude la campagna del referendum che si svolge oggi con un discorso duro, insolitamente acceso persino per i suoi standard. Sono minacce per tutti. Se gli Stati Uniti tenteranno di ribaltare la volontà popolare, Chávez ordinerà di fermare le esportazioni di petrolio. Se le tv, e in particolare la Cnn, daranno stasera risultati prima del tempo, verranno spente e i giornalisti cacciati.
Il Venezuela che viaggia verso il socialismo è pieno di nemici. Persino Juan Carlos di Spagna, dopo la scaramuccia di Santiago, è nuovamente invitato a chiedere scusa, sennò «ci metto un attimo a nazionalizzare le banche spagnole». Con il collega colombiano Uribe è gelo per la questione degli ostaggi. Poi Caracas è piena di cecchini pronti ad ammazzarlo, «mi ha avvertito anche Fidel» e le elezioni oggi saranno militarizzate. L’esercito occuperà in queste ore anche i pozzi e le installazioni petrolifere. Gli Stati Uniti, insiste Chávez, hanno pronto un piano di invasione.
Quanto Chávez rischi davvero di perdere è un mistero. I sondaggi sono contraddittori, ognuna delle due parti si appoggia a quelli favorevoli e rigetta gli altri. Le mobilitazioni di piazza finiscono alla pari. Le magliette rosse della Revolución hanno riempito venerdì sera la grande avenida Bolivar tanto quanto gli studenti e l’opposizione avevano fatto il giorno prima. «Ma solo grazie ai pullman e alle pressioni sui dipendenti pubblici», fanno notare i fautori del «no».
Tutto si è svolto in grande tranquillità, in contrasto con i toni allarmati di Chávez. Secondo molti osservatori, l’escalation sulla presunta minaccia straniera avrebbe l’obiettivo di compattare l’elettorato chavista, dove esistono perplessità sull’accelerazione statalista. Si vota sulla modifica di ben 69 articoli della Costituzione chavista del 1999, un quinto del totale. Tra i temi più controversi c’è la rielezione indefinita del Presidente, l’aumento del mandato a 7 anni, il controllo sul banco centrale, le modifiche ai principi di proprietà e la sospensione di alcuni diritti nel caso che il governo decreti lo stato di emergenza. Per Chávez la vittoria porterebbe all’aumento del potere popolare, per gli altri la trasformazione del Venezuela in una monarchia assoluta.
Rocco Cotroneo
CORRIERE DELLA SERA 2/12/2007
R.CO.
CARACAS – Per liberarsi di Hugo, in otto anni le hanno provate tutte. L’accerchiamento mediatico, un golpe, la paralisi dei pozzi di petrolio. Poi il referendum del 2004, gli appelli al mondo, la ritirata aventiniana. Oggi l’opposizione venezuelana sogna l’impensabile: batterlo nelle urne, contro la corrente e la gigantesca macchina del consenso schierata dal governo. Spera che Chávez, con l’ennesima chiamata a un plebiscito personale, alla fine riesca a farsi male da solo. Perdendo una parte del consenso accumulato negli anni, con il boom dell’economia e i programmi sociali. Ecco i nuovi e meno nuovi attori dello schieramento per il «no».
Gli studenti
Sono sorti dal nulla, scendendo in strada quando il governo ha tolto la concessione alla prima rete tv del Paese. Durante la campagna elettorale sono stati l’unica forza visibile, riuscendo a differenziarsi dalla vecchia opposizione: non sono tutti figli di papà, bianchi e di destra, checchè ne dica Chávez. Molti di loro erano dalla sua parte, oggi non vogliono un presidente che si trasformi in imperatore.
La sinistra
La Revolución, nonostante si radicalizzi, perde pezzi a sinistra. Due movimenti che facevano parte della base di governo, prima non hanno accettato di confluire nel partito socialista unico e poi hanno obiettato in Parlamento sulle modifiche alla Costituzione. Il gruppo Podemos, di Ismael García, in teoria potrebbe muovere il 4-5% dell’elettorato. Criticano il crescente autoritarismo, non la politica economico-sociale.
Gli ex
Per Chávez sono tutti traditori, pugnalatori alle spalle al servizio dell’ Impero. Negli anni ha perso vari compagni di strada, spesso i più preparati e meno esaltati, ma nulla lo ha colpito come il recente addio di Raul Isaias Baduel. Generale, suo compagno d’armi da ragazzo, Baduel è stato ministro della Difesa. Di recente ha parlato della nuova Costituzione come un colpo di Stato e chiamato a votare «no». Difficile però che sposti voti.
La Chiesa
Con le gerarchie ecclesiastiche la frattura è ormai insanabile. La Conferenza episcopale ha invitato apertamente a votare contro la riforma. Il Venezuela è un Paese molto cattolico, ma raramente la religione ha influito sulla politica. Chávez lo sa e non se ne preoccupa. Però cita Cristo a ogni comizio, come compagno di strada di Castro, del Che. E suo.
I media
Il vasto fronte di opposizione di qualche anno fa non esiste più. Oggi, al di fuori del controllo governativo, sono rimasti i due grandi quotidiani di Caracas, la tv Globovision e poco d’altro. I media di opposizione dicono e scrivono quello che vogliono, il che fa formalmente del Venezuela un Paese con libertà di stampa.
I moderati
una nuova generazione di politici, e di elettori, che rinnega le misure estreme del passato. Sostengono che Chávez verrà battuto nelle urne. Sono i primi a riconoscere che il consenso al governo è reale, legittimo e occorre lavorare sui contenuti. Lottano contro l’astensionismo.
I duri
Ritengono inutile votare, «tanto il governo controlla la macchina elettorale ». Continuano a ritenere che le elezioni siano illegittime e auspicherebbero un colpo di forza. un gruppo ancora cospicuo nelle classi più agiate, ma poco rappresentato, perché tutte le sigle dell’opposizione hanno respinto l’astensionismo.
R. Co.
CORRIERE DELLA SERA 4/12/2007
ROCCO COTRONEO
CARACAS – «Meglio che sia finita così». l’una e mezza del mattino quando Hugo Chávez ordina di accendere le telecamere. Finisce l’attesa degli ospiti, convocati nel pomeriggio in un bunker del suo palazzo e ormai a pezzi.
Meglio che sia finita così, perché il comandante di una rivoluzione, l’eroe popolare, il costruttore dell’uomo nuovo non può mica vincere dello zero virgola né aspettare giorni prima che arrivino in barca i plichi dall’Amazzonia con le ultime schede, «neanche fossimo in Florida nel 2000». E poi fuori stava scoppiando il finimondo. Otto ore di ritardo nella diffusione dei dati, mezza Caracas che sapeva il risultato vero, le tv imbavagliate per legge sugli exit-poll. Era già partito il cacerolazo, la protesta a suon di pentole della classe media, con tutte le luci dei palazzi illuminate. Nessuno vada a dormire, imploravano i leader dell’opposizione, soprattutto i nostri nei seggi, controllate tutto, guardate tutto.
E adesso che succederà? Il tiranno getterà la maschera nella notte, dichiarando una vittoria fasulla? Inutile chiedere nel quartier generale del «no»: sentono il trionfo, ma sui prossimi sviluppi ne sanno quanto nell’ultima favela sulla montagna.
Intanto Chávez prende tempo e riunisce i suoi, quelli in giacca e cravatta e quelli acconciati come il «Che» a 60 anni, le due anime del regime. Li ascolta e poi come sempre decide da solo. «Ok abbiamo perso davvero, tirate fuori i numeri, vado in tv». Si zittiscono i coperchi, partono i botti. Nel cielo di Caracas Est brillano i fuochi a cascata, tenuti nei cassetti per otto lunghi anni. L’invincibile Chávez non esiste più.
Parla soltanto per un’ora, incredibile. Non perché sia tardi. Sonnambulo e caffeinomane, vorrà poi tornare a pensare cosa avrebbe fatto Bolívar in questa notte. Li legge all’ultima virgola quei numeri, con la passione del dettaglio che gli ha passato Fidel. I votanti, gli aventi diritto. I no: 50,70 per cento. I sì: 49,29 per cento. Il dato sull’astensionismo è chiaro, gli hanno girato le spalle i suoi. Scarabocchia nervoso su un foglio, meno 1,4. Sì, abbiamo perso. Ma non è una sconfitta, è un altro «por ahora», non ce l’abbiamo fatta «per adesso», come disse quando lo arrestarono in rivolta nel 1992, il basco rosso di sbieco, e quel video divenne un cult, senza che ancora esistesse YouTube.
Dieci giorni fa disse che in caso di sconfitta avrebbe cominciato a pensare a un sostituto. Tra cinque anni, beninteso, quando scade il suo mandato. Oggi non lo ripete. Ma sa bene che non esiste un «por ahora ». Il Venezuela non vuole il socialismo per decreto né un imperatore repubblicano e tanto meno crede alla favola che stiano sbarcando i marines sulle spiagge del Caribe per prendersi il petrolio.
Milioni di chavisti hanno detto basta, quando è troppo è troppo. Chávez ha sbagliato pesante, per la prima volta, ritenendo che quel sontuoso 63 per cento alle ultime elezioni fosse una carta bianca da riempire. Con l’eliminazione della tv nemica, il mandato presidenziale eterno, la propaganda in stile sovietico e quel terribile Patria Socialismo o Muerte, che tocca leggere persino in metropolitana. Ignorando i problemi veri, la mancanza del latte nei negozi, l’inflazione, la violenza crescente.
Il Venezuela si è risvegliato dalla lunga notte e non è volato nemmeno uno spintone. Ieri i suoi, con la camicia rossa di ordinanza, ministri, collaboratori, dipendenti pubblici, avevano facce da funerale. finito il regime? C’è da rifare tutta la strategia, e non potrà che pensarci lui. Con l’ammissione di sconfitta, sincera e pulita, Chávez taglia le ali ai duri dell’opposizione, che si aspettavano l’esercito nelle strade e sostengono da anni che le elezioni sono marce. Gli avversari del regime restano divisi e senza leader carismatici. Ma sono più forti. Guadagnano terreno i realisti, avevano ragione loro, bisognava andare alla urne e vincere. Ieri hanno lanciato un appello al dialogo e alla distensione. Il Comandante tace, per adesso.
CORRIERE DELLA SERA 4/12/2007
Dopo il no alle riforme
I punti chiave
Politica
Resta il limite dei due mandati (di 6 anni ciascuno) alla carica di presidente. La riforma di Chávez chiedeva mandati di 7 anni, senza limiti di numero.
L’età per il voto resta 18 anni (non scende a 16). Il governo non può censurare i media nelle emergenze
Economia
Il governo non potrà controllare la Banca centrale né espropriare proprietà private per assicurare il fabbisogno alimentare. Il presidente non potrà prendere decisioni di politica monetaria. Tutte richieste bocciate dal referendum
Lavoro
La riforma chavista chiedeva: riduzione dell’orario di lavoro da 8 a 6 ore. Assistenza sociale per i lavoratori che regolarizzano la loro posizione.
Proposte respinte dal voto.
CORRIERE DELLA SERA 4/12/2007
GIAN GUIDO VECCHI
MILANO – Che le pare?
«Mi pare un passaggio democratico profondo nella formidabile esperienza democratica del Venezuela». La voce di Toni Negri, da Parigi, non mostra nessuna delusione, «anche il Venezuela è investito dalla nuova democrazia sudamericana». L’ex leader di Autonomia operaia, 74 anni, negli ultimi anni ha scritto libri di successo planetario come Impero e Moltitudine. Time lo presentò tra gli «innovatori» di inizio millennio, il Nouvel Observateur come il «nuovo Marx». Per Chávez è un punto di riferimento.
E lei non è deluso?
«Conosco bene la sua riforma costituzionale. Ero d’accordo con la decentralizzazione verso un federalismo socialista. Ero e sono contrario al rinnovamento del mandato elettorale, una forzatura indebita, estranea alla rivoluzione bolivariana e non richiesta da nessuno».
A metà agosto lei fu ospite del Parlamento, Chávez la citò a fianco di Aristotele e Machiavelli...
«Sì, e ci aveva messo pure Kennedy! Lasciamo perdere...».
Non si sente l’ispiratore?
«Io?! Ma siamo matti? Io sostengo che il potere costituito e quello costituente dei movimenti devono essere sempre aperti e vivi».
In questo ha sbagliato?
«In Chávez c’è il tentativo di riprendere l’eredità di Cuba, ed è fallimentare. Non perché sia stato fallimentare il socialismo cubano, tutt’altro. Ma anche le esperienze eroiche, col tempo, si ammuffiscono».
E qui sta il suo limite...
«Quelli di Chávez sono limiti di contraddizione: è contraddittorio il centralismo socialista opposto alla formidabile esperienza democratica di base in Venezuela e America Latina. Lui rappresenta quel potere costituente che si era un po’ troppo chiuso nel potere costituito: lo Stato, l’esercito...».
E ora? Ha fallito?
«Ma no. Si dimostra che ha compiuto una rivoluzione democratica aperta al continente. Un processo irreversibile: c’è una destra nuova che si confronta con lui, e non sono più i vecchi latifondisti o petrolieri, piuttosto è un centrodestra. Nel fronte del "no" ci sono molti proletari...».
E quelli che nel mondo guardavano a Chávez come riferimento?
«Erano sciocchi, non si deve guardare ai capi ma ai processi. La democrazia, il distacco dagli Usa: in America Latina si costituisce un potere democratico subcontinentale, una strada che i Kirchner e i Lula hanno intuito. Quanto a Chávez, credo recupererà i suoi voti. una persona intelligente, sveglia, sa divertirsi con la vita: imparerà da questa relativa sconfitta».
CORRIERE DELLA SERA 4/12/2007
CARACAS – Yon Goicochea sembra uscito da un campo di baseball, Fred Guevara da una software house e con Stalin González giocheresti a scacchi. Parlano davanti alle telecamere, come se non facessero altro dalla nascita. Ai tre bamboccioni, come li ha più o meno definiti Chávez, mezzo Venezuela oggi deve dire un inaspettato grazie, perché sono stati loro, meno di settant’anni in tre, a svegliare l’opposizione dal torpore. I leader del movimento degli studenti universitari, domenica, si sono piazzati all’una del pomeriggio nella sede del comitato per il «no» e da lì non si sono mossi fino all’ alba successiva. Appena salivano sul palco, si accendevano le telecamere. Ai politici di professione lasciavano gli appelli alla correttezza e al governo, loro parlavano al cuore della gente, e non solo ai loro coetanei. «Andate a votare, tutti! Possiamo farcela».
Avevano ragione. Chávez ha perso perché i suoi si sono astenuti in massa, mentre l’opposizione ci ha creduto. L’avevano capito anche un mese fa, Yon, Fred e Stalin, quando decisero di portare in strada migliaia di coetanei mentre i grandi nemmeno sapevano se andare a votare. E il governo si limitava a mobilitare gli impiegati pubblici caricati con le buone sui pullman bolivariani.
Ora sono leader adulti, prima parlavano di libertà e partecipazione, ieri di «ricomposizione del quadro politico». Dopo il trionfo hanno resistito alla tentazione di tornare in strada. E per Chávez sono un’arma puntata contro, ancora carica.
Lo smacco
Lui li aveva definiti «bamboccioni»: sono stati l’asso nella manica dell’opposizione
R. Co.
CORRIERE DELLA SERA 4/12/2007
GIAN ANTONIO STELLA
Un lutto? Non proprio, a leggere i (rari) commenti strappati ieri ai leader della sinistra alternativa. Anzi, la sconfitta del compañero
Hugo Chávez nel referendum in cui chiedeva la consacrazione pare sia stata accolta, sia pure a denti stretti, quasi con un po’ di sollievo. Fausto Bertinotti, che in passato s’era sbilanciato fino a definire «formidabile » il colonnello riconoscendogli di avere «portato al governo del Venezuela le ragioni dei poveri e degli indigenti», se l’è cavata dicendo che il risultato «ha fugato qualunque dubbio sul carattere democratico di quel sistema politico». Franco Giordano ha spostato il tiro altrove: «I trucchi, come dimostra la sconfitta per pochissimi voti, non ci sono stati e peraltro Chávez accetta il risultato. Forse bisognava indagare di più su quel che accade in Russia...». Traduzione: Chávez è la pagliuzza, Putin la trave.
Il fatto è che con la sua crescente ingordigia di maggiori poteri, perseguiti «nel nome del popolo», il capo di Stato sudamericano ha finito via via per consumare il credito che aveva anche dentro la sinistra europea. Quella sinistra che, per citare Teodoro Petkoff, l’ex guerrigliero che dopo una profonda autocritica è tra i punti di riferimento dell’ammaccata opposizione venezuelana, «rimasta sotto le macerie della catastrofe sovietica e orfana delle illusioni vietnamite e castriste, quando trova nel Terzo Mondo uno che spara sugli americani ha un orgasmo».
Le ambiguità sul populismo buono, saggio e rivoluzionario, sono tante.
Basti ricordare le lettere di protesta che sommersero Liberazione quando, mesi fa, osò pubblicare un reportage su Cuba in cui si raccontava come la crisi alimentare spingesse molte famiglie ad «allevare un maiale in salotto ». O le critiche rovesciate nei blog contro il governatore pugliese Nichi Vendola, che all’
Infedele di Gad Lerner aveva sostenuto contro Castro e Chávez che «le libertà personali non ammettono deroghe» e che certe benevolenze del passato non sono più riproponibili.
Autocritica obbligata ma tardiva, dopo anni di entusiasmi verso l’«indio simpatico e popolarissimo diventato un idolo dell’America latina ribelle», per usare le parole di Luciana Castellina sul manifesto. Pezzi della sinistra palpitavano per la parola d’ordine: «La rivoluzione avanza collina dopo collina». Sventolavano
El nuevo diario di Managua col poeta Ernesto Cardenal, che diceva di aver saputo «che il presidente Chávez ha rinunciato al suo stipendio e che questo è destinato a borse di studio per studenti». Si davano di gomito guardando su YouTube il loro eroe che all’ Onu si presentava al microfono dove il giorno prima aveva parlato Bush e si faceva il segno della croce: «Qui ieri c’è stato il diavolo. C’è ancora l’odore di zolfo». Diranno: tempi passati. E solo un trinariciuto anticomunista potrebbe negare come nelle ultime settimane proprio il referendum abbia marcato una svolta nelle posizioni, ad esempio, di Rifondazione Comunista. Lo dice l’intervista pubblicata due settimane fa da Liberazione a Raúl Isaías Baduel, il generale a lungo al fianco di Chávez e oggi deluso: «Non abbiamo vissuto per questo, non abbiamo combattuto per questo. Il progetto bolivariano è il sogno di una liberazione, non un regime autoritario». Lo conferma un reportage scritto un paio di giorni fa da Massimo Cavallini. Il quale, dopo avere irriso all’«uomo della Provvidenza» che «parla, si muove e decide, in un curioso "mix" di mistica ampollosità (la sua biografia è già stata trasformata in oggetto di culto) e di furbesca ciarlataneria», definiva l’impianto teorico della sua marcia verso il socialismo «concetti fumosi e pressoché impercettibili, nebbiosi percorsi senza identificabili punti d’arrivo, una sorta di bla-bla-bla filosofico- sociologico».
Parole che, scritte da una firma di punta del giornalismo «rosso» qual è Cavallini, e sul quotidiano di Rifondazione, suonavano come la fine di ogni benevolenza. Al punto di accusare Chávez di voler «chiudere (e chiudere all’indietro) il cerchio di una "dittatura costituzionale"» trasformando le speranze sollevate in un déjà-vu «tragico e farsesco »: «Non il socialismo, ma il potere di un uomo solo». Conclusione: «Sarebbe bello se domenica i venezuelani dicessero "no" alle piccole geometrie di questo "infallibile" Grande Geometra che, come un suo antecessore, ha sempre ragione. Bello soprattutto per chi ancora crede nel socialismo. Come direbbero a Genova: in termini di culto della personalità e di provvidenziali leader, qui, a sinistra, abbiamo già dato».
Si poteva dire meglio? Peccato che, sul sito
www.rifondazione.it, plastico suggello a mille contraddizioni, sia in bella vista la tesi esatta e contraria. Un articolo recente in cui Salim Lamrani canta il Caudillo perché «nessun governo del mondo ha fatto tanto in tanto poco tempo» e «ha portato a termine riforme sociali spettacolari» e ha «operato gratuitamente circa 200.000 persone che soffrivano di cataratta » e abbassato «la durata settimanale di lavoro da 44 a 36 ore» e proibito «ai padroni di obbligare i loro salariati a lavorare dei tempi straordinari» (sic).
Quindi? Al referendum? «Un nuovo trionfo dell’uomo più popolare di America Latina è molto probabile, dal momento che ha già vinto circa 12 turni elettorali consecutivi». Di più: stando a Chávez l’opposizione sarà «schiacciata e polverizzata».
Una nuova vittoria contro tutto e tutti, prefigurava l’editoriale di Rifondazione. Nonostante l’«isteria mediatica internazionale» scatenata contro la riforma. Per «i padroni del mondo Hugo Chávez è un esempio pericoloso, un leader che respinge il loro appoggio e mette in discussione la loro egemonia devastatrice. Per questo motivo tentano di screditarlo in qualunque modo possibile con la vigliacca complicità dei mezzi di comunicazione occidentali che, tirando la deontologia giornalistica nella spazzatura, non vacillano davanti a niente nel manipolare la realtà e brillano nel campo della disinformazione». Domanda: Liberazione compresa? Mah...
Gian Antonio Stella
CORRIERE DELLA SERA 4/12/2007
SERGIO ROMANO
Il referendum fallito di Hugo Chávez è più di una battaglia perduta. Il presidente venezuelano ha ambizioni continentali e internazionali. Non è soltanto un caudillo nazional-populista, nello stile di altri leader che hanno conquistato il potere in America Latina. convinto di essere un modello per il continente e di potere recitare sulla scena mondiale un ruolo «anti-imperialista» simile a quello che Fidel Castro ebbe per qualche decennio. I suoi viaggi a Cuba non sono soltanto manifestazioni di amicizia per l’amico malato. Sono pellegrinaggi destinati a creare la convinzione che il colonnello paracadutista sarà, con altro stile e altri mezzi, l’erede, il successore, l’esecutore testamentario del «líder máximo». Il «socialismo bolivariano» è una categoria ideologica imprecisa, priva di qualsiasi rigore scientifico, farcita di affermazioni retoriche e dichiarazioni roboanti. Ma ha il pregio di essere la versione indigena delle ideologie europee, di stare al marxismo come la santeria e altri culti nativi del continente stanno al cristianesimo. Le bordate contro gli Stati Uniti hanno assicurato a Chávez la simpatia di larghi settori del continente latino- americano. Le promesse e i benefici sociali hanno conquistato la piccola borghesia, i campesinos, i miserabili delle favelas, di una parte della funzione pubblica e i quadri inferiori delle forze armate.
La modifica della costituzione avrebbe rafforzato i poteri presidenziali, gli avrebbe permesso di restare indefinitamente al vertice dello Stato e, soprattutto, lo avrebbe reso indipendente dal fattore che ha maggiormente contribuito al suo successo: il vertiginoso aumento del prezzo del petrolio. Avremmo assistito nei prossimi mesi alla nascita di uno Stato nuovo, assemblato, come certi sincretismi religiosi, con alcuni degli ingredienti che hanno caratterizzato i regimi autoritari e totalitari del Ventesimo secolo: controllo dei mezzi d’informazione e degli altri poteri istituzionali, fra cui quello della Banca centrale, eliminazione o asservimento dei partiti politici, dirigismo economico, educazione «civica » della gioventù, culto della personalità, liturgie di regime.
probabile che Chávez non abbia rinunciato alle sue speranze. Accetta l’esito delle urne, ma spiega il voto sostenendo che l’opinione pubblica è stata influenzata da una forte campagna internazionale, ovviamente americana, e che Fidel Castro lo aveva ammonito. Non si dichiara vinto e aggiunge che l’alta percentuale dei sì (circa il 49%) è comunque un importante «passo politico». Vi saranno altre prove di forza, quindi. Ma Chávez non ha osato contestare il risultato delle urne (come il perdente usa fare, ormai, in tutto il mondo). Il fallimento della riforma costituzionale dimostra l’esistenza in Venezuela di una opposizione che può ostacolare i programmi del presidente e, forse, sbarrare la strada al suo grande disegno.
Lo smacco subito domenica scorsa avrà parecchie ripercussioni, soprattutto in America Latina. Molti leader hanno coltivato l’amicizia di Chávez soprattutto per due ragioni. La sua generosità petrolifera e finanziaria si è dimostrata provvidenziale per i Paesi in gravi difficoltà, come l’Argentina di Nestor Kirchner, la Bolivia di Evo Morales, la Cuba di Fidel Castro. E il suo ruolo di paladino anti-Usa, soprattutto dopo l’elezione di Bush alla Casa Bianca, ha risvegliato gli spiriti nazionalisti del continente latino-americano. Ma è difficile immaginare che Luiz da Silva in Brasile, Cristina Fernandez de Kirchner in Argentina, Michelle Bachelet in Cile, Tabaré Vazquez in Uruguay e Alan Garcia Pérez in Perù siano oggi disposti a tollerare con la pazienza di ieri gli umori e le sortite ideologiche del colonnello paracadutista di Caracas.
Ed è probabile d’altro canto che altri Paesi, dall’Iran alla Cina, tratteranno il Venezuela, d’ora in poi, come un utile partner commerciale, e non più come un lontano cugino ideologico. Esiste ancora un fenomeno Chávez, ma il «modello» è più pallido, meno smagliante e attraente per gli amici, meno minaccioso per i nemici.
Sergio Romano
LA STAMPA 4/12/2007
EMILIANO GUANELLA
EMILIANO GUANELLA
CARACAS
Sono stati gli studenti universitari gli eroi più festeggiati nella storica vittoria dell’opposizione al progetto di riforma costituzionale di Hugo Chávez. Poco più che ventenni, scivolavano ieri da un programma televisivo all’altro, stuzzicati dagli intervistatori che speravano di strappar loro dichiarazioni forti contro il presidente, che loro però sapevano evitare dimostrando un grado di maturità visto raramente in passato tra le fila dell’opposizione.
Nessun proclama di battaglia, e toni pacati: hanno ripetuto più volte che il voto di domenica non è stato sul governo ma sul progetto di Stato socialista voluto da Chávez e sottolineato che molto è dipeso dall’alta astensione, apparsa per la prima volta tra i sostenitori del presidente. «Dobbiamo tenere presente - ha detto, dopo una nottata insonne passata a festeggiare, Ricardo Sanchez, dell’Università Centrale del Venezuela - che Chávez ha ancora la maggioranza in questo Paese e che governerà fino al 2013. Molta gente lo appoggia, ma non ha voluto avallare questa riforma e per questo non è andata a votare. La nostra sfida è quella di unire l’opposizione, formare una nuova maggioranza, parlare alla gente dei problemi del Paese».
Continuerà lo slancio? A Caracas è sempre difficile fare previsioni, ancora meno dopo la risicata affermazione di una coalizione assolutamente eterogenea, reduce da batoste pesanti e che inizia a cercare una nuova identità. Davanti non ha certo un dilettante. Hugo Chávez Frias è un animale politico abilissimo e lo ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, nel discorso pronunciato nella notte tra domenica e lunedì, sicuramente uno dei più difficili della sua vita. Obiettivi immediati: smorzare le tensioni, invitare alla calma, richiamare all’ordine.
La riflessione - o forse sarebbe meglio dire il regolamento di conti con i suoi - su quei 14 punti persi in dodici mesi, potrebbe tenere occupato il presidente per i prossimi giorni. Uno dei possibili protagonisti della nuova stagione politica venezuelana è l’ex ministro della Difesa Raul Isaia Baduel, il primo a lanciare ieri una proposta concreta: la creazione di un’assemblea costituente per poter metter d’accordo tutti su una piattaforme di riforme necessarie al Paese. Il militare in pensione aspira a essere il leader di una posizione moderata tra le due fazioni da sempre in conflitto. uno dei nomi lanciati come futuro capo dell’opposizione nelle prossime presidenziali del 2012, quando Chavez, a meno di ulteriori invenzioni politiche, non potrà più candidarsi.
Nel complicatissimo panorama venezuelano c’è pure chi dice che Baduel faccia parte di una strategia macchiavellica, pensata dal Capo per contare chi sta davvero con lui, nelle forze armate e fuori. Ci sono casi del genere in passato ma, visto il risultato del referendum, un piano del genere sembra improbabile. Così come difficili sono gli scenari di accordo tra i due blocchi. Chavez non ha bisogno di un grande dialogo, anche perché una parte sostanziale della riforma può passare comunque attraverso altre vie, grazie alla "Legge abilitante", una serie di facoltà speciali concessegli dal Parlamento, grazie alle quali può promulgare decreti legge d’urgenza. «Questa proposta non è morta - ha detto dal Palazzo di Miraflores, indicando il libretto rosso con le modifiche costituzionali -. Va avanti in quei punti sui quali vi è grande consenso della società».
Consenso c’è, ad esempio, sulla riduzione dell’orario di lavoro a 36 ore - da otto a sei ore al giorno - e l’inclusione nel sistema assistenziale e pensionistico di lavoratori autonomi o in nero, mentre dovrebbero essere accantonati i cambiamenti nei governi locali, che hanno causato molte resistenza da parte di sindaci e governatori, timorosi di finire sotto l’influenza diretta del presidente. Il potere popolare, per ora, può attendere: urge conservare quello rimastogli dopo la domenica nera del Venezuela socialista.
LA STAMPA 4/12/2007
CARACAS
José Guerra è stato fino al 2005 economista capo della Banca Centrale del Venezuela. ma ne è uscito prima che prendesse forma il progetto di riforma costituzionale bocciato dagli elettori.
Come giudica la bocciatura?
«Il popolo ha detto no a una riforma che non stava né in cielo né in terra, prodotta dalla tendenza egemonica del Presidente ma impraticabile e pericolosa per il Paese. Chavez dovrà prendere atto della decisione popolare ma non si fermerà qui; ha ancora cinque anni di potere e mezzi straordinari per poster imporre scelte e strategie».
Quali sono queste mezzi?
«Nel suo discorso ha parlato di una stagione di conciliazione ma questo non vuol dire che rinuncerà a portare avanti il suo progetto. Il parlamento gli ha consegnato attraverso la "Legge abilitante" poteri speciali in numerosi campi».
Che futuro ha lo Stato socialista in campo economico?
«Un aspetto chiave della riforma era la fine dell’autonomia della Banca Centrale. Chavez aspirava a controllare a suo piacimento le riserve internazionali del Paese. La riforma privata, che veniva sottilmente messa in discussione, è salva. Ci si aspetta un maggiore controllo sulle banche, soprattutto sui finanziamenti obbligatori a determinati settori della società. Ora la quota di crediti agevolati per case, agricoltura, microimprese è del 35% sugli attivi delle banche, in futuro potrà essere alzata al 50%. L’idea di base di questa riforma è che lo Stato controlli e regoli l’economia. Non credo che Chavez abbandoni questo concetto centrale della sua concezione del potere. Il problema sarà di capire come si muoverà alla ricerca di un successore. Ma per questo mancano ancora cinque anni»./
LA STAMPA 4/12/2007
FRANCESCO SEMPRINI
NEW YORK
«La vittoria dei "no" rappresenta un passo falso per il presidente Hugo Chavez anche se non gli impedirà di inseguire il progetto di rafforzamento dei poteri e le sue mire di accentramento economico». Per Peter De Shazo, esperto del Centro per gli Studi strategici e internazionali di Washington dove dirige il pro gramma di ricerca sull’America Latina, il voto di ieri pur non cambiando gli equilibri politici venezuelani nel breve periodo, rafforza l’opposizione il cui ruolo sarà cruciale in questi cinque anni di governo chavista.
Come interpreta la bocciatura?
«Senza dubbio è un passo falso per Hugo Chavez non solo a livello di immagine ma anche di sostanza. Il popolo venezuelano ha detto no a una riforma inaccettabile da un punto vista pratico che rischiava di trascinare il Paese ad un punto di non ritorno».
Merito dell’opposizione ?
«E’ stata una scelta del popolo. La gente si è accorta che il presidente si stava spingendo oltre i limiti e ha deciso di fermarlo: guardando i numeri delle urne questo ha riguardato sia gli oppositori sia i suoi sostenitori».
Chavez rinuncerà ai suoi progetti?
«No. Lo dimostra anche il modo in cui ha arringato la folla dopo aver preso atto della sconfitta. Continuerà con i suoi programmi, attraverso strategie e mezzi diversi, come il rafforzamento del consenso a livello locale».
Che cosa è cambiato allora?
«Si sono ridotte le possibilità di successo dei suoi piani, come del resto si sono rafforzate le prospettive di crescita dell’opposizione interna. Il presidente rimarrà in carica ancora cinque anni e l’azione dei suoi avversari sarà cruciale per salvaguardare gli equilibri politici del Paese».